RESPONSABILITA' P.A.:
il c.d. danno
da "contatto sociale"
(Cons. St., Sez.VI,
sentenza 30 dicembre 2014, n. 6421)
La responsabilità della P.A. da "contatto sociale", almeno a mio avviso, rappresenta un istituto di grande interesse concettuale, quindi rilevante al livello dottrinale, ma di assai rilevante impatto processuale, quindi di scarso peso professionale e giurisdizionale (basta leggere la sentenza per capire che alcuni istituti civilistici sono sì presi a riferimento, ma rielaborati in senso "creativo" dal G.A.).
Da una parte accademici e concorsisti, dall'altra Avvocati e Giudici (almeno per una volta!) quindi...
Comuqnue la massima riporta brevemente la fattispecie concreta, per cui la lettura della sentenza per esteso (come delle norme citate nella stessa) risulta sempre indispensabile.
Massima
1. Va rilevato che alcuni orientamenti giurisprudenziali tendono ad estendere alla pubblica amministrazione la responsabilità da contatto sociale, quando il comportamento dell'amministrazione (tenendo conto dell'immediata percepibilità del canone di corretta condotta) sia da qualificare come negligente o imprudente secondo i parametri dell'azione amministrativa di cui all'art. 1 della L.n. 241/1990, i quali implicano il corretto sviluppo procedimentale e la legittima emanazione del provvedimento finale, salvo errore scusabile.
2. Tanto comporta che la responsabilità dell'amministrazione pubblica per lesione di interessi legittimi non del tutto coincide con quella extracontrattuale, sussistendo anche profili (rilevanti, in particolare, sul piano probatorio) assimilabili a quelli della responsabilità contrattuale, in considerazione dell'interesse giuridicamente protetto al giusto procedimento amministrativo (es. Cons. Stato, VI, 4 luglio 2012, n. 3897).
Tuttavia, questa responsabilità da contatto sociale pur sempre presuppone un collegamento funzionale tra procedimento e condotta addebitata (da stimare nel concreto in relazione alla gravità dei vizi del provvedimento adottato) e il relativo inadempimento dev’essere configurabile come astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato.
3. Va ben sottolineato che, secondo regole generali dell’ordinamento, il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale per illegittimità dell’atto amministrativo, ma richiede altresì la positiva verifica di tutti gli appositi elementi previsti dalla legge, siano essi di ordine contrattuale o extracontrattuale: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, è indispensabile che sia accertata la presenza di una colpa (o del dolo) dell’amministrazione, che sia provata l’esistenza di un danno ingiusto al patrimonio del preteso danneggiato, che sussista un nesso causale tra l’illecito ed il danno subito.
4. Conclusivamente, il rapporto che si instaura con lo svolgimento dei così dall’ordinamento chiamati lavori socialmente utili trae origine da ragioni essenzialmente di ordine assistenziale (c.d. ammortizzatori sociali), riguardando un impegno lavorativo di suo precario e dai caratteri peculiari (quale il compenso orario uguale per tutti, sostitutivo dell’indennità di disoccupazione, versato dallo Stato o dalla Regione e non dal datore di lavoro beneficiario della prestazione): si tratta pertanto di un rapporto che si colloca, concettualmente e per disciplina normativa, al di fuori dall’ambito del rapporto di lavoro subordinato e, tra l’altro, non è assistito da alcuna automatica stabilizzazione (es. Cons. Stato, VI, 15 marzo 2007, n. 1253; 27 giugno 2007, n. 3664; 11 settembre 2008, n. 4344).
5. Inoltre, in relazione a questa peculiare ed essenziale natura assistenziale del lavoro socialmente utile, nella fattispecie concreta deve ravvisarsi quantomeno la presenza di un errore scusabile nell’operato della Commissione Regionale per l’Impiego, che ha sospeso l’iscrizione nelle liste di mobilità nelle more dei necessari chiarimenti in rapporto agli atti ispettivi ed alla comunicazione dell’Inps, alla luce del mutamento intervenuto nella situazione originaria di fatto dei requisiti abilitanti e, quindi, a ragione dei sopravvenuti motivi di pubblico interesse insiti nel rispetto delle condizioni di legge per accedere da parte degli aventi titolo alle liste di mobilità.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Consiglio di Stato
in
sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha
pronunciato la presente
SENTENZA
sul
ricorso numero di registro generale 65 del 2011, proposto da:
Linda Crispino, Di Martino Giovanna, Di Martino Lucia, Di Martino Immacolata, Grasso Olga, Marino Anna, Murolo Carmela, Murolo Carolina, Murolo Immacolata, Putignano Patrizia, Scognamiglio Sara, Scognamiglio Salvatore, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Luigi Tremante e Roberto Ferrari, con domicilio eletto presso Ivan Canelli in Roma, via Montebello, 8;
Linda Crispino, Di Martino Giovanna, Di Martino Lucia, Di Martino Immacolata, Grasso Olga, Marino Anna, Murolo Carmela, Murolo Carolina, Murolo Immacolata, Putignano Patrizia, Scognamiglio Sara, Scognamiglio Salvatore, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Luigi Tremante e Roberto Ferrari, con domicilio eletto presso Ivan Canelli in Roma, via Montebello, 8;
contro
Regione
Campania, nella persona del presidente in carica, rappresentato e difeso
dall'avv. Rosaria Saturno, con domicilio eletto presso Rosaria Saturno in Roma,
via Poli,29;
Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali, nella persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali, nella persona del ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per
la riforma
della
sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VIII n. 00885/2010, resa tra le
parti, concernente risarcimento danni per illegittima cancellazione dalle liste
dei lavoratori socialmente utili
Visti
il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio della regione intimata e della difesa
statale;
Viste
le memorie difensive;
Visti
tutti gli atti della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 20 maggio 2014 il Cons. Vito Carella e uditi
per le parti gli avvocati Saturno, e dello Stato Soldani;
Ritenuto
e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
e DIRITTO
1.-
Risulta dalla sentenza appellata in tema di risarcimento danni che il Tribunale
amministrativo regionale della Campania, Napoli, ritenuta la giurisdizione che
era stata declinata dal giudice del lavoro (sentenza del 24 maggio 2006), ha
respinto il ricorso riassunto dai ricorrenti, già lavoratori del calzaturificio
“Caraibi s.a.s.” dichiarato fallito nel 1990 e soggetti in mobilità inseriti
nei progetti di lavori socialmente utili (LSU).
Con
tale decisione è stata ravvisata l’inesistenza dei presupposti connessi
all’instaurata azione risarcitoria nonché della lamentata responsabilità
colposa dell’amministrazione per il pregiudizio patrimoniale patito a ragione
della mancata corresponsione delle indennità maturate medio tempore,
della perdita di chance, della privazione della possibilità di
sviluppi e progressioni nell’attività lavorativa che avrebbe consentito ai
reclamanti di conseguire l’agognata stabilizzazione.
In
particolare, la sentenza considera che i ricorrenti, odierni appellanti, hanno
poggiato la domanda di risarcimento dei danni sulla sentenza del medesimo
Tribunale amministrativo per la Campania, sede di Napoli, n. 3594 del 9 aprile
2003 (non impugnata in appello al Consiglio di Stato, e che aveva annullato il
provvedimento di sospensione dalle liste di mobilità emesso il 5 gennaio 1996
dalla Commissione Regionale per l’Impiego della Campania).
Il
giudicato è fondato sulla statuizione di omessa comunicazione di avvio del
procedimento ed essendo disposta una sospensione sine die in
attesa degli approfondimenti istruttori, fatti “salvi gli ulteriori
provvedimenti dell’amministrazione”.
La
vicenda era sorta in esito ad alcuni accertamenti svolti dall’Ufficio Regionale
del Lavoro e dall’I.N.P.S. (donde il predetto atto di sospensione) in merito
alle rilevate discordanze tra l’elenco degli operai in servizio presso il
calzaturificio Caraibi e quello relativo ai dipendenti avviati alle liste di
mobilità, risultati numericamente eccedenti rispetto ai dati in possesso dei
predetti enti, tanto che la sede I.N.P.S. di Napoli, con nota del 5 dicembre
1995, aveva espressamente disconosciuto l’esistenza dei rapporti di lavoro
subordinato tra la citata azienda ed i lavoratori in questione.
Avendo
la Commissione Regionale istituita presso la Regione Campania (nel frattempo
subentrata alla Commissione Regionale per l’Impiego), in ottemperanza alla
citata sentenza n. 3594 del 2003, disposto la revoca della sospensione già
annullata in sede giurisdizionale e la conseguente reiscrizione dei ricorrenti
nelle liste di mobilità, con il gravame di primo grado i ricorrenti hanno
avanzano richiesta di risarcimento dei danni per equivalente monetario, dal
momento che l’annullamento giurisdizionale del provvedimento di sospensione
dalle liste di mobilità (ed anche la successiva reiscrizione disposta dalla
Commissione Regionale nel 2003) non sarebbero pienamente satisfattivi della
pretesa dedotta alle indennità maturate nel frattempo e alla perdita della
possibilità di conseguire la stabilizzazione del rapporto di lavoro.
2.-
Con l’appello in esame, suffragato da due motivi di censura, i deducenti hanno
criticato la sentenza perché affermata erronea in punto di qualificazione della
fattispecie come da responsabilità extracontrattuale, da ascriversi invece
nella figura dell’inadempimento da contatto sociale qualificato in
rapporto alla differenziata relazione procedimentale, assimilabile a quella da
contratto (compresa la presunzione di colpa).
A
loro dire l’amministrazione non avrebbe fatto discendere dall’annullamento
giurisdizionale tutte le inevitabili conseguenze giuridiche con il loro
reinserimento nei progetti LSU, accordato a taluni soltanto dei destinatari
dell’illegittima sospensione; di conseguenza, i ricorrenti hanno anche
denunciato, in subordine, palese incoerenza, disparità di trattamento,
travisamento, illogicità e irragionevolezza della pronuncia gravata, nonostante
l’assoluta identità delle situazioni di fatto.
La
Regione Campania ha resistito come da memoria depositata il 3 aprile 2014,
mentre la difesa statale si è formalmente costituita.
All’udienza
del 20 maggio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
3.-
L’appello è infondato per tutti i profili di censura, che sono suscettibili di
trattazione congiunta, e la sentenza merita di essere confermata, perché esente
dalle doglianze mosse.
In
anteprima, va rilevato che alcuni orientamenti giurisprudenziali tendono ad
estendere alla pubblica amministrazione la responsabilità da contatto
sociale, quando il comportamento dell'amministrazione (tenendo conto
dell'immediata percepibilità del canone di corretta condotta) sia da
qualificare come negligente o imprudente secondo i parametri dell'azione
amministrativa di cui all'art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, i quali
implicano il corretto sviluppo procedimentale e la legittima emanazione del
provvedimento finale, salvo errore scusabile. Tanto comporta che la responsabilità
dell'amministrazione pubblica per lesione di interessi legittimi non del tutto
coincide con quella extracontrattuale, sussistendo anche profili (rilevanti, in
particolare, sul piano probatorio) assimilabili a quelli della responsabilità
contrattuale, in considerazione dell'interesse giuridicamente protetto al
giusto procedimento amministrativo (es. Cons. Stato, VI, 4 luglio 2012, n.
3897).
Tuttavia,
questa responsabilità da contatto sociale pur sempre
presuppone un collegamento funzionale tra procedimento e condotta addebitata
(da stimare nel concreto in relazione alla gravità dei vizi del provvedimento
adottato) e il relativo inadempimento dev’essere configurabile come
astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato.
Anche
ad aderire a detto indirizzo, dunque, si deve considerare che queste condizioni
e caratteristiche non si riscontrano nel caso di specie, in quanto: la sentenza
del Tribunale amministrativo della Campania, Napoli, n. 3594 del 2003 si è
pronunciata solo in tema di omesso avviso di comunicazione e sulla sospensione sine
die dalle liste di mobilità in attesa degli approfondimenti istruttori
“salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione”; la sospensione
peraltro è intervenuta in materia assistenziale in esito a regolari atti
ispettivi dell’ufficio regionale del Lavoro e dell’Inps, finalizzati a
prevenire gli abusi - come nella fattispecie emerso - e, quindi, con attività
legittimamente esercitata a fronte di discordanze tra libro matricola della
ditta fallita e numero maggiore di lavoratori risultati dichiarati in mobilità;
l’amministrazione, sia pure a seguito della sentenza che ha censurato una
modalità formale della sospensione applicata per l’omesso avviso di avvio del
relativo procedimento in attesa degli accertamenti amministrativi e penali, ha
revocato la sospensione temporanea, il cui atto non è stato opposto; la
cancellazione dalle liste di mobilità non ha inciso sul rapporto di LSU in
essere sino alla scadenza naturale ed in seguito si è soltanto sostanziata
nella eliminazione dell’opzione tra assegno per attività di lavoro socialmente
utile ed indennità di disoccupazione.
4.-
Va ben sottolineato che, secondo regole generali dell’ordinamento, il
risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell’annullamento
giurisdizionale per illegittimità dell’atto amministrativo, ma richiede altresì
la positiva verifica di tutti gli appositi elementi previsti dalla legge, siano
essi di ordine contrattuale o extracontrattuale: oltre alla lesione della
situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento, è indispensabile
che sia accertata la presenza di una colpa (o del dolo) dell’amministrazione,
che sia provata l’esistenza di un danno ingiusto al patrimonio del preteso
danneggiato, che sussista un nesso causale tra l’illecito ed il danno subito.
Sotto
tali aspetti, la pretesa dei ricorrenti deve essere valutata negativamente: l’invocato
risarcimento è innanzitutto incompatibile con il regime giuridico-assistenziale
degli LSU, con le relative finalità lavorative e con i suoi ambiti di
operatività; l’atto adottato di sospensione è stato riconosciuto irregolare
solo dal punto di vista procedimentale e la sua riedizione era fatta salva dal
giudicato; la Commissione Regionale per l’Impiego, nell’adottare detta
sospensione, non è venuta meno alle regole sostanziali di imparzialità, di
correttezza e di buona amministrazione, ovvero ai canoni di diligenza e di
perizia, alla luce degli atti ispettivi e delle infrazioni private al diritto
nazionale e comunitario; l’ordinamento pone in via alternativa il beneficio
patrimoniale accordato agli LSU e l’indennità di disoccupazione, non potendo
quindi essere duplicato uno stesso vantaggio di natura assistenziale.
E,
comunque, se quest’ultima indennità alternativa non era stata percepita, era
onere dei deducenti attivarla a seguito della cancellazione dalle liste di
mobilità. Pertanto, costoro non possono ora venire contro il fatto proprio.
Di
conseguenza, nessun addebito ragionevole di colpa può essere formulato a carico
dell’amministrazione, avuto riguardo alla quasi nulla ampiezza di valutazione
discrezionale nell’adottata sospensione in relazione alle risultanze ispettive,
il contesto nel quale l’atto è maturato, le condizioni concrete stesse e
l’apporto dato dai privati all’iscrizione nelle liste di mobilità di soggetti
in situazione lavorativa non limpida.
Nemmeno
è possibile configurare, in capo ai ricorrenti assegnati a progetti LSU e
percettori di assegno INPS, una disparità di trattamento rispetto ad altri LSU
ai fini del loro reinserimento e successiva (eventuale) stabilizzazione: stante
la non identità delle situazioni di fatto (nella specie peraltro solo enunciate
e senza comprovati termini di paragone); dipendendo la fattispecie legale degli
LSU dall’individuale collocamento nella lista di mobilità; scaturendo la
relativa scelta di avvio dalla professionalità specifica richiesta a livello
circoscrizionale e di progetto.
5.-
Conclusivamente, il rapporto che si instaura con lo svolgimento dei così
dall’ordinamento chiamati lavori socialmente utili trae
origine da ragioni essenzialmente di ordine assistenziale (c.d. ammortizzatori
sociali), riguardando un impegno lavorativo di suo precario e dai caratteri
peculiari (quale il compenso orario uguale per tutti, sostitutivo
dell’indennità di disoccupazione, versato dallo Stato o dalla Regione e non dal
datore di lavoro beneficiario della prestazione): si tratta pertanto di un
rapporto che si colloca, concettualmente e per disciplina normativa, al di
fuori dall’ambito del rapporto di lavoro subordinato e, tra l’altro, non è
assistito da alcuna automatica stabilizzazione (es. Cons. Stato, VI, 15 marzo
2007, n. 1253; 27 giugno 2007, n. 3664; 11 settembre 2008, n. 4344).
Inoltre,
in relazione a questa peculiare ed essenziale natura assistenziale del lavoro
socialmente utile, nella fattispecie concreta deve ravvisarsi quantomeno la
presenza di un errore scusabile nell’operato della Commissione Regionale per
l’Impiego, che ha sospeso l’iscrizione nelle liste di mobilità nelle more dei
necessari chiarimenti in rapporto agli atti ispettivi ed alla comunicazione
dell’Inps, alla luce del mutamento intervenuto nella situazione originaria di
fatto dei requisiti abilitanti e, quindi, a ragione dei sopravvenuti motivi di
pubblico interesse insiti nel rispetto delle condizioni di legge per accedere
da parte degli aventi titolo alle liste di mobilità.
L’appello
va dunque respinto con il conseguente rigetto della domanda risarcitoria e la
sentenza, quindi, deve essere confermata per le considerazioni sopra svolte.
Per
la natura e la particolarità della fattispecie, le spese di lite relative al
grado possono essere equamente compensate tra tutte la parti.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente
pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto (ricorso numero: 65 del
2011), respinge l’appello e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata come
da motivazione.
Spese
del grado compensate.
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Giuseppe
Severini, Presidente
Maurizio
Meschino, Consigliere
Vito
Carella, Consigliere, Estensore
Roberta
Vigotti, Consigliere
Carlo
Mosca, Consigliere
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L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA
IN SEGRETERIA
Il
30/12/2014
IL
SEGRETARIO
(Art.
89, co. 3, cod. proc. amm.)
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