martedì 26 maggio 2015

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' & PROCESSO: la retrocessione parziale (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sentenza 25 maggio 2015, n. 7413).



ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA' 
& PROCESSO: 
la retrocessione parziale 
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 
sentenza 25 maggio 2015, n. 7413)


Massima

1. L’istituto della retrocessione, prima disciplinato dagli art. 60-63, della legge n. 2359 del 1865 e ora dagli art. 46-48, del d.P.R. n. 327 del 2001, dà titolo alla restituzione dei beni espropriati ove non sia stata posta in essere o non sia più utilizzabile l'opera alla cui realizzazione gli stessi erano stati destinati dalla dichiarazione di pubblica utilità – avendosi in tal caso la retrocessione totale - ovvero quando, pur essendo stata eseguita l'opera pubblica o di pubblica utilità, emerga che uno o più fondi espropriati non abbiano ricevuto, in tutto o in parte, la prevista destinazione, verificandosi in tal caso un’ipotesi di retrocessione parziale.
2. Mentre con riferimento alla retrocessione totale, contraddistinta dalla mancata realizzazione dell'opera prevista dalla dichiarazione di pubblica utilità, ivi compreso il caso della sostituzione con un'opera completamente diversa da quella programmata, sussiste un vero e proprio diritto soggettivo dell'originario proprietario ad ottenere la restituzione del bene oggetto della procedura ablatoria, a fronte di una mancata utilizzazione solo parziale del terreno interessato dall'opera pubblica, la situazione soggettiva del privato è qualificabile in termini di interesse legittimo, potendo la retrocessione parziale essere riconosciuta solo a seguito di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione che abbia dichiarato, nell’esercizio di una pubblica funzione condizionata dal perseguimento dell'interesse pubblico, che quei fondi più non servono all'opera pubblica.
3. La posizione di interesse legittimo alla retrocessione parziale dei proprietari dei suoli rimasti inutilizzati, come radicata in ragione dell’utilizzo solo parziale dei suoli di cui alla dichiarazione di pubblica utilità, può essere in via generale tutelata nella forma del silenzio-rifiuto di cui all'art. 117 c.p.a., volto all'accertamento dell'inservibilità delle aree espropriate ma non interamente utilizzate, venendo in rilievo la scelta discrezionale dell'Amministrazione in ordine all’eventuale mantenimento della parte residua per ragioni di pubblico interesse, ovvero, in caso di diniego espresso ad accordare la retrocessione parziale, attraverso l’ordinaria azione impugnatoria, potendo ritenersi implicita nel diniego la pronuncia negativa in ordine alla inservibilità dell’area, che costituisce valutazione discrezionale propedeutica alla possibilità di concedere la retrocessione parziale.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7679 del 2013, proposto da: 
SOC IRPAG S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli Avv. Carlo Celani, Alessandro Picozzi, con domicilio eletto presso Alessandro Picozzi in Roma, Via dei Condotti, 9; 

                                                               contro
ROMA CAPITALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Umberto Garofoli, domiciliata in Roma, Via Tempio di Giove, 21; 
nei confronti di
ASSSOCIAZIONE SPORTIVA MONDOFITNESS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Tiziana Polverari, con domicilio eletto presso Tiziana Polverari in Roma, Via Savonarola, 6; 
per l'annullamento
- della determinazione dirigenziale n. 364 del 09/05/2013 emessa da Roma Capitale, recante il rigetto dell’istanza di retrocessione proposta dalla società ricorrente per beni immobili espropriati per la realizzazione del Parco pubblico attrezzato di Tor di Quinto;
- di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguenziale;
e per ottenere
- la condanna dell’Amministrazione a disporre la retrocessione a favore della ricorrente;

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale e dell’Associazione Sportiva MondoFitness;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2015 il Consigliere Elena Stanizzi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Espone in fatto la società odierna ricorrente di aver incorporato le società che sono addivenute, con contratto del 18 ottobre 2001, alla cessione volontaria di aree in loro proprietà interessate dal procedimento espropriativo di cui alla deliberazione della Giunta Municipale n. 8817 del 2 novembre 1988, di approvazione del progetto relativo alla realizzazione del parco pubblico attrezzato di Tor di Quinto, rientrante tra le opere connesse al Campionato del mondo di Calcio del 1990.
Non essendo stata realizzata alcuna opera pubblica nelle aree di cui al foglio 253, particelle 318, 10 e 316, parte ricorrente ha, quindi, avanzato istanza volta ad ottenere la retrocessione di tali aree.
Tale istanza, previo esito favorevole del giudizio proposto avverso il silenzio serbato sulla stessa, conclusosi con la sentenza del TAR Lazio n. 1166/2013, è stata negativamente esitata mediante adozione della gravata determinazione, con la quale – previo richiamo ai pareri espressi dai competenti uffici, interpellati al fine di conoscere l’eventuale sussistenza di motivi ostativi – il rigetto dell’istanza è stato ricondotto al carattere funzionale delle aree in questione rispetto alle attività dell’Amministrazione.
Avverso tale determinazione deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura:
1 - Violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990. Violazione degli art. 60 e 61 della legge n. 2359 del 1865, ora art. 47 del D.P.R. n. 327 del 2001. Violazione dell’art. 42, comma 3, della Costituzione. Eccesso di potere. Travisamento dei fatti.
Lamenta parte ricorrente l’assenza di adeguata motivazione a sostegno della gravata determinazione, non potendo ritenersi tale il mero richiamo al contenuto dei pareri negativi espressi, da parte dei competenti uffici, sul rilievo della destinazione delle aree in questione a verde ed impianti sportivi e del loro inserimento nel progetto dei punti verde qualità.
L’Amministrazione, sostiene parte ricorrente, avrebbe dovuto verificare la persistenza dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera cui era finalizzata la procedura ablatoria, dandone compiuta motivazione, avuto particolare riguardo alla perdurante utilità del bene per gli scopi pubblici prefissati con l’approvazione del progetto.
Afferma inoltre parte ricorrente come non sia sufficiente, al fine di avvalorare la persistenza dell’interesse pubblico al mantenimento della proprietà dell’area, la circostanza che la stessa sia inserita nel programma relativo ai Punti Verde Qualità, essendo tale programma del tutto diverso dall’originario progetto di parco pubblico e quindi inidoneo a sostituire il precedente vincolo preordinato all’esproprio.
L’estraneità del programma dei Punti Verde rispetto all’interesse pubblico originario riferito alla realizzazione del Parco di Tor di Quinto dimostrerebbe, quindi, implicitamente la mancanza di utilità per l’Amministrazione in ordine alla proprietà delle aree, altrimenti risultando snaturato l’istituto dell’espropriazione per pubblica utilità, non rinvenibile nella concessione a privati dei Punti Verde Qualità finalizzata alla realizzazione di utilità economiche.
2 – Eccesso di potere. Difetto di istruttoria. Travisamento dei fatti.
Denuncia parte ricorrente come la gravata determinazione e gli atti nella stessa richiamati omettano di indicare la sussistenza, sull’area, di un vincolo archeologico che ne precluderebbe la concessione senza il preventivo nulla osta, dal che discenderebbe l’illegittimità dell’utilizzo che ne è stato fatto, volto a consentire manifestazioni sportive organizzate da società private, tra cui l’Associazione Sportiva Mondofitness.
3 - Eccesso di potere. Difetto di istruttoria. Travisamento dei fatti.
Nella considerazione che nel bando per l’affidamento dei Punti Verde Qualità, di cui alla deliberazione del Consiglio Comunale n. 212 del 2006, non è ricompresa la particella n. 316, chiede parte ricorrente, in subordine, la sola retrocessione di tale area.
Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione Comunale sottolineando la natura discrezionale del giudizio di inservibilità dell’area e sostenendo, previa ricostruzione della vicenda, l’infondatezza del ricorso, con richiesta di corrispondente pronuncia.
Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha controdedotto a quanto ex adverso sostenuto, insistendo nelle proprie richieste.
Con ordinanza collegiale n. 2671/2015 sono stati disposti incombenti istruttori a carico della resistente Amministrazione, diretti alla conoscenza di quali opere fossero previste sulle aree cui si riferisce l’istanza di retrocessione secondo il progetto originario e la loro realizzazione o meno.
In adempimento a tale ordinanza, parte resistente ha depositato al fascicolo di causa la nota, datata 16 aprile 2015, con cui viene illustrata la situazione dell’area, dando atto dell’esito negativo della conferenza dei servizi per la concessione della stessa al vincitore del bando per i Punti Verde Qualità, rappresentando che con determinazione dirigenziale n. 9 del 3 marzo 2015 è stata disposta la restituzione dell’area da parte di Mondofitness al fine di restituirla alla destinazione originaria di parco pubblico.
Si è costituita in giudizio l’Associazione Sportiva Mondofitness difendendo la legittimità dell’operato dell’Amministrazione, nel dettaglio illustrando i provvedimenti con i quali è stata realizzata la vocazione pubblicistica dell’area, coerentemente con le finalità impresse dall’originario procedimento espropriativo, chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla pubblica udienza del 6 maggio 2015 la causa è stata chiamate e, sentiti i difensori delle parti presenti, trattenuta per la decisione, come da verbale.

DIRITTO
Con il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso la determinazione dirigenziale – meglio descritta in epigrafe nei suoi estremi – con cui è stata rigettata l’istanza della società ricorrente volta ad ottenere la retrocessione parziale delle aree identificate in catasto al foglio 253, particelle 318, 10 e 316, interessate dal procedimento espropriativo di cui alla deliberazione della Giunta Municipale n. 8817 del 2 novembre 1988 di approvazione del progetto relativo alla realizzazione del parco pubblico attrezzato di Tor di Quinto, rientrante tra le opere connesse al Campionato del mondo di Calcio del 1990, che hanno formato oggetto di cessione volontaria.
Tale istanza, presentata nella considerazione della mancata realizzazione su dette aree delle opere cui era finalizzata la procedura ablatoria, è stata rigettata, previo richiamo dei pareri contrari espressi dai competenti uffici, sul rilievo che le aree sono funzionali all’attività dell’Amministrazione.
Tali pareri, provenienti, segnatamente, dal Dipartimento Programmazione Attuazione Urbanistica e dal Dipartimento Tutela Ambientale e del Verde, hanno rispettivamente segnalato che le aree oggetto di richiesta di retrocessione ricadono, quanto a destinazione urbanistica, nel Sistema dei Servizi e della Infrastrutture, componente Verde e Servizi Pubblici, ricomprese tra i servizi pubblici di interesse locale verde ed impianti sportivi e quindi istituzionalmente preposte all’uso pubblico, nonchè l’inserimento di tali aree nel progetto dei Punti Verde Qualità di cui alla deliberazione del Consiglio Comunale n. 202 del 2006 da affidare in concessione.
In esito all’istruttoria disposta dalla Sezione con ordinanza collegiale n. 2671/2015, volta ad avere chiarimenti in ordine alle opere previste sulle aree in questione secondo il progetto originario e la loro realizzazione o meno, è risultato che tali aree, inizialmente inutilizzate per gli scopi di cui al progetto, non realizzato sulle stesse, sono state affidate all’Associazione Sportiva Mondofitness per la realizzazione di manifestazioni temporanee di carattere sportivo e ludico ed hanno formato oggetto di procedimento ad evidenza pubblica per la concessione e gestione di Punti Verde Qualità, il cui iter si è tuttavia arrestato, successivamente all’individuazione del vincitore, in ragione dell’esito negativo della Conferenza dei Servizi allo scopo convocata.
Con determinazione dirigenziale n. 9 del 3 marzo 2015 sono state approvate le risultanze negative della Conferenza dei Servizi ed è stato determinato di restituire l’area alla precedente destinazione quale parco pubblico demandando all’Ufficio di Scopo “all’istruttoria volta verificare la permanenza dell’interesse pubblico per la realizzazione dell’opera e a redigere un progetto preliminare”.
Così ricostruito il contenuto della gravata determinazione di rigetto dell’istanza di retrocessione delle aree ed effettuata la ricognizione dello stato di tali aree anche alla luce degli approfondimenti istruttori svolti, ritiene il Collegio – anticipando le conclusioni che, sulla base delle considerazioni che si andranno ad esporre, intende trarre - che il ricorso debba essere accolto.
Dalla ricostruzione del quadro provvedimentale e fattuale della vicenda da cui origina la presente controversia, emerge infatti come sull’area di cui è chiesta la retrocessione non siano state realizzate opere riconducibili all’originario progetto, approvato con deliberazione della Giunta Municipale n. 8817 del 2 novembre 1988, relativo alla realizzazione del parco pubblico attrezzato di Tor di Quinto, non avendo l’Amministrazione Comunale indicato – pur se sollecitata in tal senso dall’istruttoria disposta dalla Sezione - quali opere avrebbero dovuto concretamente interessare detta area ai sensi del progetto originario e se le stesse siano state o meno realizzate.
Risulta invece incontrovertibile, sulla base delle risultanze istruttorie e delle stesse affermazioni e documentazione depositata a cura delle parti del presente giudizio, che tale area sia stata dapprima presa in consegna dal Servizio Giardini sin dal 1993 che “la teneva chiusa poiché non completata per l’attuazione dei successivi finanziamenti necessari al completamento dell’opera secondo i progetti originari e per gli evidenti problemi di ordine pubblico” – per come risultante dalla nota del Dipartimento Tutela Ambientale e del Verde del 21 dicembre 2012 versata in atti – per poi essere utilizzata dalla controinteressata Associazione Sportiva Mondofitness per lo svolgimento di manifestazioni sportive di carattere temporaneo.
Tale area è stata inserita, con deliberazione del Consiglio Comunale n. 202 del 2006, nel programma Punti Verdi Qualità ai fini dell’affidamento in concessione a privati.
In tale contesto si innesta il gravato provvedimento di diniego sull’istanza di retrocessione, basato sulla dichiarata funzionalità dell’area alle attività dell’Amministrazione in quanto avente destinazione urbanistica a verde e servizi pubblici ed inserita nel programma dei Punti Verdi Qualità.
Tanto premesso, la delibazione in ordine alle questioni sottoposte all’esame del Collegio transita attraverso la previa ricognizione della fisionomia dell’istituto della retrocessione parziale – quale quella che viene in rilievo nella fattispecie in esame, in cui viene chiesta la retrocessione di solo una parte delle aree interessate dal procedimento ablatorio ed oggetto di cessione volontaria - al fine di delineare il perimetro del potere discrezionale rimesso all’Amministrazione a fronte della posizione soggettiva del soggetto espropriato che chiede la restituzione del bene non utilizzato per le finalità di cui al procedimento ablatorio.
In tale direzione, va rilevato che l’istituto della retrocessione, prima disciplinato dagli art. 60-63, della legge n. 2359 del 1865 e ora dagli art. 46-48, del d.P.R. n. 327 del 2001, dà titolo alla restituzione dei beni espropriati ove non sia stata posta in essere o non sia più utilizzabile l'opera alla cui realizzazione gli stessi erano stati destinati dalla dichiarazione di pubblica utilità – avendosi in tal caso la retrocessione totale - ovvero quando, pur essendo stata eseguita l'opera pubblica o di pubblica utilità, emerga che uno o più fondi espropriati non abbiano ricevuto, in tutto o in parte, la prevista destinazione, verificandosi in tal caso un’ipotesi di retrocessione parziale.
Mentre con riferimento alla retrocessione totale, contraddistinta dalla mancata realizzazione dell'opera prevista dalla dichiarazione di pubblica utilità, ivi compreso il caso della sostituzione con un'opera completamente diversa da quella programmata, sussiste un vero e proprio diritto soggettivo dell'originario proprietario ad ottenere la restituzione del bene oggetto della procedura ablatoria, a fronte di una mancata utilizzazione solo parziale del terreno interessato dall'opera pubblica, la situazione soggettiva del privato è qualificabile in termini di interesse legittimo, potendo la retrocessione parziale essere riconosciuta solo a seguito di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione che abbia dichiarato, nell’esercizio di una pubblica funzione condizionata dal perseguimento dell'interesse pubblico, che quei fondi più non servono all'opera pubblica.
La posizione di interesse legittimo alla retrocessione parziale dei proprietari dei suoli rimasti inutilizzati, come radicata in ragione dell’utilizzo solo parziale dei suoli di cui alla dichiarazione di pubblica utilità, può essere in via generale tutelata nella forma del silenzio-rifiuto di cui all'art. 117 c.p.a. – peraltro azionato nella fattispecie in esame ed esitato nella sentenza di questo Tribunale n. 1166/2013 - volto all'accertamento dell'inservibilità delle aree espropriate ma non interamente utilizzate, venendo in rilievo la scelta discrezionale dell'Amministrazione in ordine all’eventuale mantenimento della parte residua per ragioni di pubblico interesse, ovvero, in caso di diniego espresso ad accordare la retrocessione parziale, attraverso l’ordinaria azione impugnatoria, potendo ritenersi implicita nel diniego la pronuncia negativa in ordine alla inservibilità dell’area, che costituisce valutazione discrezionale propedeutica alla possibilità di concedere la retrocessione parziale.
Avuto riguardo alla fattispecie in esame, il gravato diniego in ordine all’istanza della società ricorrente di retrocessione parziale dell’area espropriata e non utilizzata, contiene la dichiarazione di rispondenza dell’area agli interessi dell’Amministrazione, con implicito negativo accertamento negativo dell'inservibilità dei beni.
Posto che, nei casi di retrocessione parziale, la legge rimette all'Autorità espropriante la discrezionale valutazione in ordine alla eventuale inservibilità dell’area per le finalità risultanti dalla dichiarazione di pubblica utilità e alla destinazione della parte del bene espropriato che non può più essere utilizzata - che di conseguenza può tornare nella disponibilità del soggetto che ne è stato privato - occorre stabilire il perimetro entro il quale l’esercizio di tale potere discrezionale può essere esercitato.
In ragione dei principi costituzionali che sorreggono l'istituto dell'espropriazione, al bene sottratto al proprietario per il conseguimento di un determinato interesse pubblico è impresso il vincolo discendente da tale destinazione e tale bene non può essere unilateralmente ed arbitrariamente utilizzato per un fine diverso da quello per il quale fu espropriato e per il quale ha ricevuto la formale e specifica destinazione pubblica per effetto della dichiarazione di pubblica utilità.
Ciò in quanto il vincolo imposto dalla dichiarazione di pubblica utilità, nella logica della legge fondamentale 25 giugno 1865, n. 2359, rimasta pressoché inalterata nel vigente testo unico di cui al D.P.R. n. 327 del 2001, individua il concreto interesse pubblico da perseguire attraverso l’approvazione del progetto dell’opera da realizzare, e destina definitivamente il bene del privato, necessario per la realizzazione di quell’opera, al soddisfacimento dei relativi interessi generali connessi alla realizzazione dell’opera.
Nell’ottica del contemperamento dei valori in gioco sottesi alla procedura espropriativa – ovvero quello pubblico al perseguimento degli interessi collettivi e generali, quello della solidarietà sociale e quello del proprietario a non vedersi sottrarre un bene, da cui ha diritto di trarre ogni possibile e lecita utilità, se non per prevalenti ragioni di interesse pubblico – la dichiarazione di pubblica utilità costituisce quindi la causa giustificatrice del potere ablatorio ed attesta il necessario collegamento tra l’opera dichiarata di pubblica utilità e i beni oggetto di esproprio, in quanto funzionali rispetto alla realizzazione dell’opera.
Tale collegamento delinea i limiti del potere ablatorio, dovendo lo stesso sorreggersi sulla stretta corrispondenza tra il provvedimento espropriativo ed il bene dichiarato di pubblica utilità, essendo l’Amministrazione autorizzata a sottrarre il bene al legittimo proprietario solo ed esclusivamente nella misura in cui effettivamente il bene stesso sia effettivamente utilizzato per il conseguimento dello specifico interesse pubblico fissato con la dichiarazione di pubblica utilità.
Il necessario rapporto di coerenza e di finalizzazione tra la destinazione del bene e la sua espropriazione deve permeare anche la valutazione che l’Amministrazione procedente è chiamata ad effettuare a fronte della richiesta che il soggetto espropriato rivolge al fine di ottenere la retrocessione parziale del bene non utilizzato, potendo il mantenimento in mano pubblica dell’area residua essere giustificato solo in presenza di un suo utilizzo coerente con la destinazione impressa dalla dichiarazione di pubblica utilità.
Coordinando le suesposte considerazioni con i tratti caratterizzanti la fattispecie in esame, emerge come la dichiarazione inerente il carattere funzionale dell’area all’attività dell’Amministrazione – su cui poggia la gravata determinazione di rigetto dell’istanza di retrocessione di tale area – non sia riconducibile, secondo un rapporto di coerenza con la causa ablatoria del potere, all’opera pubblica approvata con il progetto originario, la cui realizzazione ha fondato l’esercizio del potere espropriativo.
La resistente Amministrazione Comunale non ha rappresentato o dimostrato – né nel gravato provvedimento, né, tantomeno, in sede di articolazione delle proprie difese – l’utilizzo dell’area per finalità coerentemente riconducibili all’originario progetto, non essendo sufficiente, a tal fine, che l’area abbia una destinazione pubblica a verde pubblico e servizi – come attestato dal Dipartimento Programmazione Attuazione Urbanistica nel parere contrario richiamato nella gravata determinazione - in astratto compatibile con tale utilizzo, a fronte della mancata realizzazione del progetto originario, attestata dal Dipartimento Tutela Ambientale e del Verde con la richiamata nota del 21 dicembre 2012.
Pur non avendo l’Amministrazione fornito i puntuali chiarimenti richiesti in via istruttoria in ordine alle opere da realizzare sull’area e sul loro completamento, osserva il Collegio che sulla base degli elementi di giudizio a disposizione, come desumibili dalla documentazione versata al fascicolo di causa, non vi è alcuna prova circa l’utilizzazione dell’area per le specifiche finalità sottese alla dichiarazione di pubblica utilità, ma anzi emergono indici che depongono in senso contrario, sulla cui base risulta che l’area sia stata tenuta chiusa dal 1993 per mancanza dei “finanziamenti necessari al completamento dell’opera secondo i progetti originari” – per come riferito nella citata nota del 21 dicembre 2012 - per poi essere utilizzata per manifestazioni sportive e ludiche di carattere temporaneo organizzate da una associazione sportiva, odierna controinteressata.
Né può riscontrarsi alcun nesso funzionale tra l’interesse pubblico sotteso alla destinazione prevista dall’originario progetto e l’inserimento dell’area reliquata nel Programma dei Punti Verde Qualità, essendo tale programma del tutto estraneo e nuovo rispetto all’opera originaria.
Ancora, non può valere a sorreggere il rigetto dell’istanza di retrocessione parziale avanzata dalla società ricorrente, la mera manifestazione della volontà dell’Amministrazione di restituire l’area alla destinazione originaria di parco pubblico – adottata a seguito della vanificazione della procedura per la concessione e la gestione del Punto Verde Qualità su tale area – trattandosi di determinazione con la quale viene espressa una mera volontà di imprimere all’area una futura utilizzazione, coerente con quella di cui al progetto originario, allo stato priva di concretezza, stante l’assenza di una deliberazione in tal senso – essendosi unicamente dato mandato all’Ufficio di Scopo di verificare la permanenza dell’interesse pubblico per la realizzazione dell’opera previa valutazione di opportunità, così acclarando la mera ipoteticità del dichiarato uso dell’area, solo astrattamente affermato e non avvalorato da concreti elementi idonei a dare consistenza alle finalità pubbliche cui il bene espropriato deve essere destinato, né accompagnato da progetti e finanziamenti volti alla sua realizzazione.
L’utilità dell’area per scopi pubblici, per come dedotta nella gravata nota e meglio specificata nei pareri resi dai competenti uffici comunali, non risulta quindi rispondente a quella impressa all’area per effetto dell’approvazione dell’originario progetto, mentre la restituzione dell’area alla destinazione originaria viene formulata, con la successiva determinazione del 3 marzo 2015, in termini astratti ed ipotetici, in quanto riferita a interventi allo stato non progettati né finanziati.
Dalla ricostruzione dell’uso che nel tempo ha caratterizzato l’area – per finalità estranee a quelle sottese all’originario procedimento espropriativo - e alla luce della nuova volontà procedimentale manifestata dall’Amministrazione Comunale – allo stato solo enunciata – tenuto conto del lungo tempo trascorso dall’approvazione del progetto originario e dalla cessione volontaria dell’area, emerge dunque come sia stato reciso il rapporto di necessaria corrispondenza tra l’interesse pubblico ed il sacrificio imposto al privato, essendosi determinata una situazione in cui un’area è stata sottratta alla titolarità degli originari proprietari, ne è stato corrisposto il relativo pagamento ma non è mai stata utilizzata per lo scopo per la quale è stato attivato il procedimento abaltorio, così determinandosi un inutile esborso di denaro pubblico per l’acquisizione di un’area mai destinata alle finalità di cui alla dichiarazione di pubblica utilità, non essendo sufficiente a fondare una dichiarazione di servibilità dell’area per tali fini, una volta decaduto il vincolo, la mera possibilità di un futuro e ancora ipotetico uso della stessa coerentemente con il progetto originario.
L’illegittimità della gravata determinazione e la non idoneità degli utilizzi che di tale area ha posto in essere la resistente Amministrazione – per come riferiti nella gravata determinazione – vanno ricondotte al principio secondo cui deve ritenersi contrastante con la normativa di riferimento il mancato utilizzo del bene espropriato in relazione al progetto nel quale il predetto bene era stato funzionalizzato alla realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità ben determinata, non potendo l’Amministrazione utilizzare tale bene per altro e diverso progetto, atteso che la dichiarazione di pubblica utilità, recata implicitamente dall'approvazione di un progetto di opera pubblica o di pubblica utilità, può ritenersi esistente unicamente se riferita al progetto approvato, in relazione all'apposto vincolo preordinato all'esproprio e nei limiti dello stesso.
In punto di diritto, un indice in tal senso si ricava dall’art. 9 del D.P.R. n. 327 del 2001il quale, proprio sul presupposto che il vincolo de quo miri a realizzare un'opera determinata e per l’eventualità che successivamente si ritenga di dover realizzare un'opera pubblica diversa, al comma 5, prevede che “Nel corso dei cinque anni di durata del vincolo preordinato all'esproprio, il Consiglio Comunale può motivatamente disporre o autorizzare che siano realizzate sul bene vincolato opere pubbliche o di pubblica utilità diverse da quelle originariamente previste nel piano urbanistico generale”, in tal modo consacrando lo stretto vincolo – peraltro desumibile dai principi costituzionali – che deve sussistere tra la dichiarazione di pubblica utilità e l’utilizzo dell’area, dovendo conseguentemente ritenersi preclusa la possibilità di utilizzare l’area per interessi pubblici diversi dalla prevista destinazione connessi alla realizzazione di una diversa opera pubblica o di pubblica utilità.
Risulta difatti invalicabile il limite discendente dal vincolo impresso dalla dichiarazione di pubblica utilità, il quale solo giustifica il sacrificio imposto al privato per il soddisfacimento degli interessi generali connessi alla realizzazione dell’opera, che costituiscono la causa giustificatrice del potere ablatorio e, al contempo, ne delinea i confini, dovendo tale potere mantenersi nei limiti della stretta corrispondenza tra l’utilizzo del bene e il conseguimento dello specifico interesse pubblico fissato con la dichiarazione di pubblica utilità.
Gli illustrati principi mantengono la loro validità anche nel caso in cui – come nella fattispecie in esame - i beni siano stati acquisiti dall'Amministrazione in forza non di un provvedimento espropriativo, ma di una cessione volontaria, venendo in tal caso in questione uno strumento che, sebbene formalmente negoziale, mantiene la connotazione di atto autoritativo, dato che il fine pubblico può essere perseguito anche attraverso la diretta negoziazione del provvedimento finale, per come affermato da costante giurisprudenza (ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V, 20 agosto 2013, n. 4179; Sez. IV, 8 novembre 2013 n. 5346).
L’applicabilità del complesso di norme e principi sulla retrocessione anche alle ipotesi in cui i beni interessati siano stati oggetto di cessione volontaria anziché di decreto di espropriazione, trova il proprio fondamento normativo nell’art. 45, comma 3, t.u. n. 327 del 2001, il quale assimila la cessione quoad effectum al decreto di esproprio; e tale efficacia degli accordi di cessione bonaria può essere riconosciuta anche nel regime previgente al t.u. espropriazioni, trattandosi non già di contratti espressione di piena autonomia negoziale in merito alla scelta a contrattare e allo stesso quantum dell'indennità dovuta, bensì di contratti ad oggetto pubblico originati dall'avvio di un procedimento ablatorio, senza il quale il proprietario non si sarebbe ragionevolmente determinato a vendere; l'istituto della retrocessione è infatti da escludersi solo quando il trasferimento volontario del bene, in favore dell'Amministrazione interessata all'esecuzione dell'opera, si collochi del tutto al di fuori della sequenza procedimentale espropriativa, quale negozio di compravendita di diritto comune.
Nelle considerazioni sin qui illustrate risiedono, quindi, le ragioni per le quali il ricorso deve trovare accoglimento, stante la rilevata illegittimità della gravata nota che riconduce la dichiarazione di servibilità del bene, implicita nel rigetto dell’istanza di retrocessione, ad usi dell’area diversi da quelli individuati con l’approvazione del progetto originario, che non è stato realizzato su tale porzione di terreno, mentre non possono trovare ingresso le successive dichiarazioni di intento e astratte possibilità di futuri ripristini della destinazione di cui all’originario progetto, con conseguente assenza di elementi utili che legittimamente possono sorreggere la dichiarata servibilità dell’area che ha condotto al rigetto dell’istanza di parte ricorrente.
La gravata nota va, conseguentemente, annullata in quanto affetta dai vizi sopra rilevati, mentre non può procedersi al sollecitato accertamento del diritto ad ottenere la retrocessione parziale dell’area, venendo in rilievo, per quanto dianzi esposto, l’esercizio di un potere discrezionale rimesso all’Amministrazione in ordine alla valutazione della utilizzabilità dell’area. A fronte di tale potere l'espropriato vanta solo una posizione di interesse legittimo da azionare nell’ambito del giudizio di legittimità, con preclusione della possibilità per il giudice di procedere all’accertamento della spettanza della retrocessione parziale, la quale, non venendo in rilievo un potere vincolato, può conseguire solo alla dichiarazione, da parte dell'autorità espropriante, della sopravvenuta inutilizzabilità, il cui esercizio non risolve la precedente espropriazione, ma pone soltanto le condizioni di un nuovo trasferimento a favore dell’originario proprietario con effetto ex nunc: la retrocessione parziale, infatti, consegue solo all'accertamento, da parte della competente Amministrazione, della inservibilità dei beni, fermi restando, nel rinnovato esercizio di tale potere, i vincoli conformativi discendenti dalla presente pronuncia, non potendo l’Amministrazione fare riferimento a finalità diverse da quelle per il cui perseguimento è stato esercitato il potere ablatorio.
In conclusione, il ricorso in esame va accolto nella sua parte impugnatoria, con conseguente annullamento della gravata nota.
Le spese di giudizio, in ragione della peculiarità della presente vicenda contenziosa, possono essere equamente compensate tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
Roma - Sezione Seconda
definitivamente pronunciando sul ricorso N. 7679/2013 R.G., come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la gravata determinazione nel senso di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Filoreto D'Agostino, Presidente
Elena Stanizzi, Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/05/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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