AMBIENTE:
la normativa e tutta la vicenda processuale che ha portato il Consiglio di Stato a "salvare"
la normativa e tutta la vicenda processuale che ha portato il Consiglio di Stato a "salvare"
il "Piano
Rifiuti" della Regione Lazio
(1.
Cons.
St., Sez, V, ordinanza 16 aprile 2013 n. 1358)
Ordinanza ordinaria per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha
pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso in appello numero di registro
generale 1862 del 2013, proposto da:
Regione Lazio in persona del Presidente,
rappresentata e difesa dall'avvocato Francesco Saverio Marini, con domicilio
eletto presso il suo studio in Roma, via dei Monti Parioli n. 48;
contro
Verdi Ambiente e Società Vas Onlus, Forum
Ambientalista, Angelo Bonelli non costituiti in questo grado del giudizio;
nei confronti di
Provincia di Latina, Provincia di Viterbo,
Provincia di Rieti, Provincia di Frosinone, Associazione Retuvasa, Rete per la
Tutela della Valle del Sacco Onlus in persona dei rispettivi legali
rappresentanti, non costituite in questo grado del giudizio;
Provincia di Roma in persona del
Presidente, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanna De Maio, elettivamente
domiciliata presso il proprio Ufficio legale in Roma, via IV Novembre n. 119/A;
Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo
del Lazio, sede di Roma, Sezione I ter, n. 00121/2013, resa tra le parti,
concernente approvazione del piano di gestione dei rifiuti del Lazio
Visti il ricorso in appello ed i relativi
allegati;
Visto l'art. 98 cod. proc. amm.;
Visti gli atti di costituzione in giudizio
di Provincia di Roma e di Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Vista la domanda di sospensione
dell'efficacia della sentenza del Tribunale amministrativo regionale di
accoglimento del ricorso di primo grado, presentata in via incidentale dalla
parte appellante;
Relatore nella camera di consiglio del
giorno 16 aprile 2013 il Cons. Manfredo Atzeni e udito l’avvocato Corea, per
delega dell'avvocato Marini;
Ritenuto che l’appello presenta
consistenti profili di “fumus” nella parte in cui contesta la presenza
dell’interesse ad agire delle associazioni ambientaliste e del privato in
relazione all’impugnativa di un atto generale che per il suo contenuto programmatorio
non incide direttamente sulla sfera giuridica degli odierni appellati (cf. C.
di S., V, 6261/12, IV, 4926/12, VI, 1371/02).
Ritenuta l’esistenza del danno grave ed
irreparabile paventato dall’appellante in quanto l’annullamento del piano
espone lo Stato italiano, e specificamente la Regione Lazio, a procedura
comunitaria di infrazione.
Ritenuto, pertanto, di dover accogliere
l’istanza cautelare.
Ritenuto che le spese della presente fase
debbano essere integralmente compensate
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta) accoglie l'istanza cautelare (Ricorso numero:
1862/2013) e, per l'effetto, sospende l'esecutività della sentenza impugnata.
Compensa integralmente spese ed onorari
della presente fase cautelare.
La presente ordinanza sarà eseguita
dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che
provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 16 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente FF
Francesco Caringella, Consigliere
Manfredo Atzeni, Consigliere, Estensore
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.
*********************************************************************************
2.
T.A.R.
Lazio, Sez. I – ter,
sentenza
9 gennaio 2013 n. 121
Normativa
1. La Comunità europea ha, nel corso
del tempo, evidenziato la necessità di programmare le politiche e gli
interventi in materia, adottando una specifica disciplina in tema di rifiuti:
direttiva 75/442/Cee, modificata e integrata dalla direttiva 91/156/Cee;
direttiva 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi; direttiva 94/62/Ce sugli
imballaggi e i rifiuti di imballaggi; direttiva 99/31/Ce relativa alle
discariche.
Per razionalizzare le disposizioni succedutesi nel
corso del tempo è stata adottata la direttiva 2006/12/Ce, che ha sostituito la
direttiva quadro precedente, riproducendone, sostanzialmente, i contenuti e,
poi, la Dir. 19-11-2008 n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento Europeo e del
Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive).
Dal complesso delle norme comunitarie, si evince
l’ordine di priorità che si deve seguire nel trattamento dei rifiuti: -
prevenzione della produzione dei rifiuti; - recupero; - lo smaltimento (come
ultima opzione).
Tra i principi cardine contenuti
nella normativa comunitaria dedicata ai rifiuti, va ricordato quello di
‘programmazione’, da cui si desume che il ciclo integrato dei rifiuti
impone, per la sua complessità, una metodologia di pianificazione rigorosa, al
fine di garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati con il consenso più
ampio possibile. Ciò comporta, anzitutto, una descrizione in termini precisi
dell'oggetto dell'attività pianificatoria e degli ambiti ecologici, sociali ed
economici in cui il Piano deve sviluppare la sua influenza.
Accanto al principio di programmazione, si
pongono quelli di ‘prossimità’ (in base al quale, ogni bacino deve
gestire, riciclare, recuperare e smaltire i rifiuti che ha prodotto presso
impianti il più possibile vicini al luogo di produzione) e quello di
‘autosufficienza’ (che tende a far si che la dotazione impiantistica
garantisca, tendenzialmente, la completa autosufficienza dei bacini, anche al
fine di affermare il principio di responsabilità nella produzione dei rifiuti).
2. A livello nazionale, per quel che
interessa in questa sede, va rilevato che la disciplina generale in tema di
rifiuti è contenuta nel D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, il quale, nella Parte IV,
contiene disposizioni in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti
inquinati, recando nel Titolo I (Gestione dei rifiuti), tra le altre,
disposizioni generali (cfr. Capo I: artt. 177 - 194), norme in tema di
competenze (cfr. Capo II: artt. 195 – 198) e la disciplina del Servizio di
gestione integrata dei rifiuti (cfr. Capo III: artt. 199 – 207) recante regole
inerenti specificatamente il Piano di gestione dei rifiuti regionale.
Per ciò che interessa in questa sede, va, altresì,
citato il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, recante norme di attuazione della
direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
3. A livello regionale, poi, la
legge della Regione Lazio del 9.7.1998 n. 27 , contiene la disciplina regionale
della gestione dei rifiuti.
Con specifico riferimento ai Piani di gestione dei
rifiuti, va ricordato che, ai sensi dell'art. 199, D.Lgs. n. 152/2006, cosi
come modificato dal D.Lgs. n. 205/2010, i piani regionali di gestione dei
rifiuti comprendono l'analisi della gestione dei rifiuti esistenti nell'ambito
geografico interessato, le misure da adottare per migliorare l'efficacia ambientale
delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché una valutazione del
modo in cui i piani contribuiscono all'attuazione degli obiettivi e delle
disposizioni della parte quarta del decreto legislativo n. 152/2006.
4. Ai sensi di quanto stabilito
dall’art. 199 del codice dell’ambiente, i piani di gestione dei rifiuti
devono obbligatoriamente prevedere:
a) tipo, quantità e fonte dei prodotti
all'interno del territorio, suddivisi per ambito territoriale ottimale per
quanto riguarda i rifiuti urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti
da o verso il territorio nazionale e valutazione dell'evoluzione futura dei
flussi di rifiuti, nonché la fissazione degli obiettivi di raccolta
differenziata da raggiungere a livello regionale, fermo restando quanto
disposto dall'articolo 205;
b) i sistemi di raccolta dei rifiuti e
gli impianti di smaltimento e recupero esistenti, inclusi eventuali sistemi
speciali per oli usati, rifiuti pericolosi o flussi di rifiuti disciplinati da
una normativa comunitaria specifica;
c) una valutazione della necessita di
nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti esistenti per i
rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i rifiuti in
conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli articoli
181, 182 e 182-bis e, se necessario, degli investimenti correlati;
d) informazioni sui criteri di
riferimento per l'individuazione dei siti e la capacità dei futuri impianti di
smaltimento o dei grandi impianti di recupero, se necessario;
e) politiche generali di gestione dei
rifiuti, incluse tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o
altre politiche per i rifiuti che pongono problemi particolari di
gestione;
f) la delimitazione di ogni singolo
ambito territoriale ottimale sul territorio regionale, nel rispetto delle linee
guida di cui all'articolo 195, comma 1, lettera m), d.lgs. n. 152/2006;
g) il complesso delle attività e dei
fabbisogni degli impianti necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani
secondo criteri di trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e
autosufficienza della gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di
ciascuno degli ambiti territoriali ottimali di cui all'articolo 200 del d.lgs.
n. 152/2006, nonché ad assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti
speciali in luoghi prossimi a quelli di produzione al fine di favorire la
riduzione della movimentazione di rifiuti;
h) la promozione della gestione dei
rifiuti per ambiti territoriali ottimali, attraverso strumenti quali una
adeguata disciplina delle incentivazioni, prevedendo per gli ambiti più
meritevoli, tenuto conto delle risorse disponibili a legislazione vigente, una
maggiorazione di contributi; a tal fine, le regioni possono costituire nei
propri bilanci un apposito fondo; i) la stima dei costi delle
operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti urbani;
l) i criteri per l'individuazione, da parte
delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di
recupero e smaltimento dei rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o
impianti adatti allo smaltimento del rifiuti, nel rispetto del criteri generale
di cui all'articolo 195, comma 1, lettera p), d.lgs. n. 152/2006;
m) le iniziative volte a favorire, il
riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dai rifiuti di materiale ed energia,
ivi incluso il recupero e lo smaltimento dei rifiuti che ne derivino; n) le
misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta, della cernita e
dello smaltimento dei rifiuti urbani;
o) la determinazione, nel rispetto
delle norme tecniche di cui all'articolo 195, comma 2, lettera a), d.lgs. n.
152/2006, di disposizioni speciali per specifiche tipologie di rifiuto;
p) le prescrizioni in materia di
prevenzione e gestione degli imballaggi e rifiuti di imballaggio di cui
all'articolo 225, comma 6, d.lgs. n. 152/2006;
q) il programma per la riduzione dei
rifiuti biodegradabili da collocare in discarica di cui all'articolo 5 del
decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36;
r) un programma di prevenzione della
produzione dei rifiuti, elaborato sulla base del programma nazionale di
prevenzione dei rifiuti di cui all’art. 180, che descriva le misure di
prevenzione esistenti e fissi ulteriori misure adeguate. Il programma fissa anche
gli obiettivi di prevenzione. Le misure e gli obiettivi sono finalizzati a
dissociare la crescita economica dagli impatti ambientali connessi alla
produzione dei rifiuti. Il programma deve contenere specifici parametri
qualitativi e quantitativi per le misure di prevenzione al fine di monitorare e
valutare i progressi realizzati, anche mediante la fissazione di indicatori.
Costituiscono parte integrante del piano regionale i
piani per la bonifica delle aree inquinate.
Rappresentano oggetto di specifica attività di
pianificazione, le fasi della gestione dei rifiuti che riguardano la produzione
e la raccolta dei rifiuti urbani, il trattamento meccanico biologico dei
rifiuti urbani indifferenziati, nonché lo smaltimento dei rifiuti urbani non
pericolosi e dei rifiuti derivanti dal loro trattamento.
Con riferimento alle discariche ove vengono conferiti
gli scarti da trattamento meccanico-biologico e da termovalorizzazione, il
Piano descrive la situazione della produzione di rifiuti ed il relativo
fabbisogno di impianti.
5. Per completezza, quanto allo smaltimento
in discarica dei rifiuti urbani, va ricordato che l'art. 7, D.Lgs. n.
36/2003, prevede che i rifiuti possono essere collocati in discarica solo
dopo trattamento, a meno che non si tratti di rifiuti inerti il cui trattamento
non è tecnicamente fattibile o non si tratti di rifiuti il cui trattamento non
contribuisce a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente
ed i rischi per la salute umana, non risultando, pertanto, indispensabile ai
fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente.
Massima
1. L'art.
7, del D.Lgs. n. 36/2003 prevede che i rifiuti possono essere
collocati in discarica solo dopo trattamento, a meno che non si tratti di
rifiuti inerti il cui trattamento non è tecnicamente fattibile o non si tratti
di rifiuti il cui trattamento non contribuisce a ridurre il più possibile le
ripercussioni negative sull'ambiente ed i rischi per la salute umana.
Nella definizione di "trattamento" sono ricompresi "i processi
fisici, termici, chimici, o biologici, inclusa la cernita, che modificano le
caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura
pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero".
Ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. h), D. Lgs.
36/2003 il trattamento può essere anche finalizzato a favorire lo
smaltimento in condizioni di sicurezza. Il trattamento meccanico biologico, la
bioessiccazione e la digestione anaerobica previa selezione, rappresentano a
tutti gli effetti forme di trattamento, in quanto si tratta di processi
finalizzati sia a modificare le caratteristiche merceologiche e chimico-fisiche
del rifiuto urbano, sia a consentire l'avvio delle frazioni in uscita a
circuiti di valorizzazione.
La tritovagliatura, quale
trattamento fisico finalizzato a ridurre il volume dei rifiuti e a separare
alcune frazioni merceologiche come i metalli è da considerarsi
pretrattamento del rifiuto indifferenziato ai fini dell'assolvimento
dell'obbligo di cui all'art. 7, comma 1, D. Lgs. 36/2003,
2. Nella
lettera di messa in mora del 16 giugno 2011, la Commissione Europea ha svolto
una serie di contestazioni afferenti, anzitutto, la violazione dell’art. 1,
par.1, e degli artt. 2 lett. h) e 6 lett. a) della Direttiva 1999/31/CE,
evidenziando che nella Regione Lazio i rifiuti sono collocati in discarica non
preventivamente trattati negli impianti di trattamento meccanico
biologico (TMB), contrariamente a quanto previsto dal citato articolo 1, il
quale stabilisce che lo scopo della normativa comunitaria è quello di
prevedere, mediante rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le
discariche, misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il
più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente, ed, in particolare,
l’inquinamento delle acque superficiali, delle acque freatiche, del suolo e
dell'atmosfera e sull'ambiente globale, compreso l'effetto serra, nonché i rischi
per la salute umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l'intero
ciclo della vita della discarica, al fine di adempiere alle disposizioni della
Direttiva 75/ 442/CEE, ed in particolare degli artt. 3 e 4, oggi trasfusi negli
artt. 4 e 13 della Direttiva 08/98/CE.
Al riguardo, oltre a quanto sopra ricordato, va
considerato che con nota prot. 2012042381 del 10 giugno 2012, quanto alla
procedura di infrazione n.2011/4021, la Commissione Europea ha inviato un
parere motivato rivolto alla Repubblica Italiana, ai sensi dell'art.258 TFUE (ex art.226
TCE) – che, per quanto interessa in questa sede, menziona il Piano Rifiuti
della Regione Lazio alle pagine 5 e 6, in relazione alle problematiche
afferenti il deficit di trattamento e la non adeguatezza delle
soluzioni adottate -, con il quale ha integralmente confermato quanto già
dettagliatamente espresso nella citata lettera di messa in mora, affermando che
nel Piano impugnato si registra la violazione degli artt. 1 par.1, 2 lett.h) e
6 lett. a) della Direttiva 1999/31/CE.
La Commissione Europea ha confermato, in particolare,
che il cd. scenario di controllo, previsto dal Piano Rifiuti,
disegna un quadro non corrispondente a quanto richiesto dalle citate Direttive
comunitarie.
Sul punto, va considerato che l'art. 7,
comma 1, del D.lgs. 13 gennaio 2003 n.36, recante "Attuazione
della Direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti", in ordine
ai rifiuti ammessi in discarica, prevede che i "rifiuti possono essere
collocati in discarica solo dopo trattamento. Tale disposizione non si
applica; a) ai rifiuti inerti il cui trattamento non sia
tecnicamente fattibile; b) ai rifiuti il cui trattamento non
contribuisce al raggiungimento delle finalità di cui all'art. 1, riducendo la
quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l'ambiente, e non risulta
indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa
vigente".
Come correttamente rilevato dalla Commissione Europea
negli atti richiamati, l'art. 4 della Direttiva 08/98/CE (cd. Direttiva Quadro
Rifiuti) impone agli Stati Membri, nell'applicare la gerarchia dei rifiuti ivi
indicata, di adottare misure volte ad incoraggiare le opzioni che offrano il
miglior risultato ambientale complessivo. Il livello di trattamento dei rifiuti
destinati a discarica costituisce una delle misure efficaci per garantire il
rispetto della gerarchia dei rifiuti.
Sotto i descritti profili, il Collegio ritiene che la
Regione Lazio abbia violato la normativa di riferimento indicata.
3. Sotto altro
profilo, va rilevato che la Regione Lazio, pur avendo preso atto della
posizione assunta al riguardo dalla Commissione Europea, si è orientata in
senso opposto, facendo leva su una circolare ministeriale. Infatti, nel Piano
impugnato si legge che: "Per le considerazioni espresse relativamente al
conferimento dei rifiuti indifferenziati in discarica e alla previsione
dell'utilizzo della tritovagliatura come trattamento preliminare allo
smaltimento in discarica si specifica che in coerenza con il D.Lgs. 36/2003 ed
in linea con quanto chiarito dal Ministero dell'Ambiente con la circolare Prot.
GAB-2009-0014963 del 30/06/2009 la tritovagliatura con deferrizzazione è
considerabile come trattamento idoneo a ridurre il volume specifico dei
rifiuti, separando alcune frazioni merceologiche come i metalli. In
particolare, l’Art. 7, com. 1, del D.Lgs 36/2003 prevede che: ‘I rifiuti
possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento. Tale disposizione
non si applica: ai rifiuti inerti il cui trattamento non sia tecnicamente
fattibile; b) ai rifiuti il cui trattamento non contribuisce al raggiungimento
delle finalità di cui all'Art. 1, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi
per la salute umana e l'ambiente, e non risulta indispensabile ai fini del
rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente’ intendendo, per
"trattamento", in linea con quanto stabilito dalla direttiva europea
relativa alle discariche 1999/31/CE: i processi fisici, termici, chimici o
biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano le caratteristiche
dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa, di
facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di favorirne lo
smaltimento in condizioni di sicurezza".
La citata circolare ministeriale (del 2009), però,
oltre ad essere anteriore all'apertura della procedura di infrazione 2011/4021
e ad apparire in contrasto con la normativa indicata, era chiara nel precisare
(come, del resto, ammesso dalla Regione Lazio a pag.46 del Piano impugnato)
che, in ogni caso, la soluzione della
tritovagliatura avrebbe dovuto essere considerata un'opzione del tutto
transitoria, proprio alla luce della circostanza che tale soluzione
impiantistica non garantisce la riduzione dei rifiuti biodegradabili in
discarica e non consente di raggiungere gli obiettivi dettati dalla normativa
comunitaria e dal D.lgs. n.36/03.
E’ chiaro che il concetto di ‘transitorità’ non può
essere dilatato fino al punto di consentire l’adozione e l’approvazione di un
Piano quale quello contestato, a distanza di anni dall’affermazione contenuta
dalla circolare richiamata, posto che la Regione Lazio ha approvato l’atto di
pianificazione impugnato prevedendo, in presenza di una procedura di infrazione
comunitaria pendente, il conferimento fino al 2015 dei rifiuti indifferenziati
in discarica utilizzando la tritovagliatura.
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