(2. T.A.R. Lazio, Sez. I – ter,
sentenza 9 gennaio 2013 n. 121)
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3781 del 2012,
proposto da Verdi Ambiente e Società VAS ONLUS, Forum Ambientalista ONLUS e
Angelo Bonelli, Consigliere Regionale Capogruppo della Federazione dei Verdi,
rappresentati e difesi dall'avv. Valentina Stefutti, con domicilio eletto
presso Valentina Stefutti in Roma, viale Aurelio Saffi, 20;
Cointeressati ricorrenti: Provincia di Latina,
rappresentata e difesa dagli avv.ti Carla Vani, Giulio Tatarelli, con domicilio
eletto presso la Segreteria del TAR del Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
contro
Regione Lazio, rappresentata e difesa dall'avv. Teresa
Chieppa, domiciliata in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
Presidenza del Consiglio dei Ministri, - Dipartimento
per le Politiche Europee, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura
Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Provincia di Roma, rappresentata e difesa dall'avv. Giovanna De Maio, con
domicilio eletto presso Provincia di Roma in Roma, via IV Novembre, 119/A;
Provincia di Latina, rappresentata e difesa
dagli avv.ti Carla Vani, Giulio Tatarelli, con domicilio eletto presso Tar
Lazio Segreteria Tar Lazio in Roma, via Flaminia, 189;
Provincia di Viterbo, Provincia di Rieti e Provincia di Frosinone (non
costituite);
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Ass.ne Retuvasa, Rete per la Tutela della Valle del
Sacco Onlus, rappresentata e difesa dagli avv.ti Daniela Terracciano e
Vittorina Teofilatto, con domicilio eletto presso Vittorina Teofilatto in Roma,
via Mirabello,6.
per l'annullamento, previa adozione di
misure cautelari,
del Piano di gestione dei rifiuti del Lazio approvato
con deliberazione del Consiglio regionale del Lazio del 18 gennaio 2012 n. 14
(pubblicata nel supplemento ordinario n. 15 del Bollettino Ufficiale della Regione
Lazio del 14 marzo 2012), ai sensi dell'articolo 7, comma 1 della legge
regionale 9 luglio 1998, n. 27; del relativo Rapporto ambientale e della
Dichiarazione di sintesi (Valutazione Ambientale Strategica), nonché di ogni
atto annesso, connesso, conseguente e presupposto, compresa anche la
deliberazione della Giunta regionale del Lazio del 20.5.2011 n. 244, con la
quale é stato adottata e sottoposta all'esame del Consiglio regionale la
proposta della summenzionata deliberazione consiliare.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della
Regione Lazio, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Provincia di
Roma, della Provincia di Latina e dell’Ass.ne Retuvasa, Rete per la Tutela
della Valle del Sacco Onlus;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 dicembre
2012 il dott. Roberto Proietti e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
Con delibera del proprio Consiglio Regionale n.112 del
10 luglio 2002, la Regione Lazio approvò il Piano regionale di Gestione dei
Rifiuti, contenente numerosi profili di criticità, tanto che la Commissione
Europea aprì la procedura di infrazione n. 2002/2284, unitamente alla procedura
che riguarda la discarica di Malagrotta.
In tale occasione, la Commissione Europea osservò come
la Direttiva 75/442/CEE, all'epoca vigente, avesse come obiettivo quello di
assicurare lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti, e quello di incoraggiare
l'adozione di misure tese a limitarne la produzione, promuovendo tecnologie
pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili.
Con lettera del 19 dicembre 2002, la Commissione
richiamò l’attenzione delle Autorità italiane in merito all'attuazione delle
Direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE, con particolare riferimento,
rispettivamente, agli artt. 7 n.1 e 6, segnalando come diverse Regioni, che
l'Ordinamento nazionale indica quali ‘Autorità competenti’, non avessero
compilato i Piani di gestione ivi previsti.
Non avendo ricevuto l'insieme dei piani richiesti, la
Commissione, in data 13 luglio 2005, inviò un parere motivato, in cui
evidenziò, tra l’altro, come il Piano di gestione dei rifiuti e dei rifiuti
pericolosi della Regione Lazio non fosse conforme a quanto stabilito
dall'art.7, n.1, quarto trattino, della Direttiva 75/442/CEE, come modificata
dalla Direttiva 91/156/CEE, quanto all'indicazione dei luoghi adatti per lo
smaltimento.
Ne è seguito il deferimento della Repubblica Italiana,
da parte della Commissione, alla Corte di Giustizia che, con sentenza 14 giugno
2007 (causa C-82/06), ha condannato, ex art. 226 del Trattato, la Repubblica
Italiana ai sensi delle citate norme.
A sostegno della propria decisione, la Corte ha posto
la circostanza che pur avendo la Regione adottato tre piani differenti (un
Piano di gestione dei rifiuti, un piano di interventi di emergenza ed un piano
di individuazione del siti idonei ad ospitare impianti di termovalorizzazione),
i tre documenti non consentivano di individuare i luoghi o gli impianti adatti
allo smaltimento dei rifiuti.
Al dichiarato fine di superare la procedura di
infrazione 2002/2284 e di aggiornare il Piano al mutato quadro nazionale e
comunitario, costituito dal D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 e della Direttiva quadro
sui rifiuti 2008/98/CE, che aveva nel frattempo sostituito la Direttiva
06/12/CE (che, a sua volta, aveva abrogato le sopra citate Direttive del 1995 e
del 1991), è stato predisposto il Piano dei Rifiuti oggetto della Deliberazione
consiliare n.14 del 18 gennaio 2012.
Sotto il profilo procedurale, con deliberazione 19
novembre 2010 n.523, la Giunta Regionale ha adottato lo schema di Piano
Regionale dei Rifiuti, comprensivo del Rapporto Ambientale e della Sintesi non
Tecnica di cui al Titolo II del D.lgs. n.152/06.
Terminate le consultazioni, l'Autorità competente, con
nota prot. 214998 del 18 maggio 2011 ha reso il parere di rito e la proposta di
Piano regionale, unitamente al Rapporto Ambientale della Valutazione Ambientale
Strategica (VAS), è stata approvata con la Delibera del Consiglio Regionale
indicata in epigrafe, ritenendo "inderogabile dover adottare la proposta
di piano regionale dei rifiuti ... al fine di ottemperare a quanto disposto
dalla normativa in materia e dalla sentenza della Corte di Giustizia 14 giugno
2007, causa C-82/06, allo scopo di evitare l'applicazione di sanzioni
pecuniarie nei confronti dello Stato Italiano che andrebbero a ricadere sul
bilancio regionale".
Ritenendo erronee ed illegittime le determinazioni
assunte dall’Amministrazione regionale, Verdi Ambiente e Società VAS ONLUS,
Forum Ambientalista ONLUS, e Angelo Bonelli, Consigliere Regionale Capogruppo
della Federazione dei Verdi, hanno proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio,
avanzando la domanda di annullamento indicata in epigrafe.
La Provincia di Roma si è costituita formalmente in
giudizio.
Anche la Provincia di Latina si è costituita in
giudizio e, con una articolata memoria corredata da produzione documentale, ha
sostenuto l’illegittimità del Piano dei Rifiuti impugnato.
Tale Amministrazione provinciale ha rappresentato, in
particolare, di aver impugnato la deliberazione del Consiglio Regionale del 18
gennaio 2012 n.14 (recante l’Approvazione del piano di Gestione Rifiuti del
Lazio ai sensi dell'art.7, comma 1 della Legge Regionale 9 Luglio 1998, n.27)
con ricorso proposto dinanzi al TAR del Lazio, Sezione distaccata di Latina
(R.G. n.498/2012) ma che, con decreto n. 429/2012 del 22.06.2012, il giudice
adito ha rimesso, ai sensi dell'art. 47 comma 2 del cod. proc. amm., la causa
al TAR Lazio, sede di Roma.
Preso atto che con atto notificato in data 14.05.2012,
Verdi Ambiente Società Vas Onlus, Forum Ambientalista ONLUS ed il Consigliere
regionale capogruppo della federazione dei verdi Angelo Bonelli, avevano
impugnato la medesima deliberazione regionale, la Provincia di Latina si è
costituita in tale giudizio, condividendo la domanda di annullamento indicata
in epigrafe.
Nella medesima causa, con atto di intervento ad
adiuvandum depositato il 6.12.2012, Retuvasa Rete per la Tutela della Valle del
Sacco (che ha come scopo statutario quello di tutelare la Valle del Sacco), ha
condiviso le doglianze proposte dalla parte ricorrente, segnalando che: - anche
per la discarica di Colle Fagiolara, in Colleferro, il Piano impugnato si limita
a prevedere il conferimento dei rifiuti in discarica senza previo trattamento
(cfr. pag. 93 del Piano); - nell’approvare il Piano si è omesso di valutare gli
effetti sull’ambiente e di applicare il processo VAS; - l’ATO di Roma è stato
esteso ingiustificatamente e senza previo accordo con i Comuni e le Province
interessati.
L’Amministrazione regionale, costituitasi in giudizio,
ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ed ha affermato l’infondatezza delle
censure proposte dalle parti ricorrenti.
All’udienza del 20 luglio 2012 le parti ricorrenti
hanno rinunciato alle rispettive domande cautelari e le cause sono state
rinviate, per la trattazione del merito, all’udienza pubblica del 13 dicembre
2012.
Con successive memorie le parti hanno argomentato ulteriormente
le rispettive difese.
All’udienza del 13 dicembre 2012 le cause sono state
trattenute dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, il Collegio
respinge le eccezioni di rito avanzate dall’Amministrazione regionale.
La Regione Lazio ha eccepito, anzitutto,
l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse e difetto di
legittimazione attiva delle Associazioni ambientaliste ricorrenti.
L’eccezione di difetto di legittimazione attiva è
basata sulla circostanza che, per le Associazioni non riconosciute dal
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, non sarebbe
sufficiente, ai fini della legittimazione ad agire in giudizio, affermare che
la figura soggettiva abbia tra i suoi scopi statutari la tutela dell'ambiente.
L’eccezione non può riguardare, ovviamente, la
legittimazione processuale delle Associazioni riconosciute ai sensi dell'art.13
della legge 8 luglio 1986 n.349 e, quindi, si rivela infondata perché sia
l'Associazione Verdi Ambiente e Società ONLUS, che Forum Ambientalista ONLUS,
rientrano in tale ambito, essendo state riconosciute, la prima, con DM 29 marzo
1994, e la seconda, con DM 7 giugno 2007, come emerge anche a pagina 1 del
ricorso introduttivo del giudizio.
Sotto il profilo dell’asserita carenza di interesse ad
agire, l’Amministrazione regionale ha rilevato che i ricorrenti non avrebbero
interesse a contestare l’atto impugnato in quanto trattasi di atto generale di
pianificazione (il Piano regionale di rifiuti del Lazio, appunto) che non
provoca lesioni concrete ed effettive alle parti ricorrenti.
Sul punto, di contro, va considerato che l’atto in
contestazione, qualora si rivelassero fondate le censure proposte dai
ricorrenti, risulterebbe, oltre che viziato, dannoso anche per la salute e
l’ambiente e, quindi, pregiudizievole per gli interessi rappresentati dai
soggetti ricorrenti.
2. In via preliminare, il Collegio
rileva anche che la Provincia di Latina ha rappresentato di aver impugnato la
deliberazione del Consiglio Regionale del 18 gennaio 2012 n.14 (recante
l’Approvazione del piano di Gestione Rifiuti del Lazio ai sensi dell'art.7,
comma 1 della Legge Regionale 9 Luglio 1998, n.27) con ricorso proposto dinanzi
al TAR del Lazio, Sezione distaccata di Latina (R.G. n.498/2012).
Con decreto n. 429/2012 del 22.06.2012, il giudice
adito ha rimesso, ai sensi dell'art. 47, comma 2, c.p.a., la causa al TAR Lazio
sede di Roma.
Ora, ai sensi del primo comma del citato articolo 47
c.p.a., fuori dei casi di cui all’articolo 14 c.p.a., non è considerata questione
di competenza la ripartizione delle controversie tra Tribunale Amministrativo
Regionale con sede nel capoluogo e sezione staccata e, pertanto, il ricorso
avrebbe dovuto proseguire autonomamente dinanzi al TAR presso il capoluogo di
Regione, mentre la Provincia di Latina ha scelto di costituirsi nella diversa
causa proposta con atto notificato in data 14.05.2012, da Verdi Ambiente e
Società VAS Onlus ed altri, che hanno impugnato la medesima deliberazione
regionale.
Ne consegue che il Collegio avuto riguardo
all’irritualità del descritto iter processuale seguito, ritiene di dover
esaminare e prendere in considerazione le censure proposte dalla Provincia di
Latina nei limiti in cui coincidono con quelle avanzate dalle parti ricorrenti
della causa RG n. 3781/2012.
3. Sempre in via preliminare, va
rilevato che, con atto di intervento ad adiuvandum depositato
il 6.12.2012, Retuvasa Rete per la Tutela della Valle del Sacco (che ha come
scopo statutario quello di tutelare la Valle del Sacco), ha condiviso le
doglianze proposte dalla parte ricorrente, segnalando che: - anche per la
discarica di Colle Fagiolara, in Colleferro, il Piano impugnato si limita a
prevedere il conferimento dei rifiuti in discarica senza previo trattamento
(cfr. pag. 93 del Piano); - nell’approvare il Piano si è omesso di valutare gli
effetti sull’ambiente e di applicare il processo VAS; - l’ATO di Roma è stato
esteso ingiustificatamente e senza previo accordo con i Comuni e le Province
interessati.
Anche le censure prospettate da Retuvasa vanno prese
in considerazione nei limiti in cui coincidono con quelle proposte dalla parte ricorrente,
in quanto l'intervento spiegato ai sensi dell'art. 28, comma 2, c. proc. amm. è
di tipo adesivo dipendente.
Quindi, ai sensi dell'art. 28 comm 2, c. proc. amm.
l'intervento nel processo amministrativo, non essendo di tipo litisconsortile
autonomo ma adesivo dipendente, può essere proposto solo a sostegno delle
ragioni di una o di altra parte (Consiglio di Stato sez. V, 22 marzo 2012, n.
1640).
4. Ciò posto, va rilevato che avverso gli
atti impugnati sono stati proposti i seguenti motivi
di ricorso.
I) - Violazione
di legge; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, par.1, 2
lett. h) e 6 lett. a) della Direttiva 1999/31/CE e degli artt. 4 e 13 della
Direttiva 08/98/CE; violazione dell'art.7 del D.lgs. 13 gennaio 2003 n.36;
travisamento, illogicità, difetto di presupposto.
Il Piano impugnato, violando la Direttiva 1999/31/CE e
l'art. 7, comma 1, del D.lgs. 13 gennaio 2003 n.36, prevede che i rifiuti
vengano collocati in discarica non preventivamente trattati negli impianti di
trattamento meccanico biologico (TMB).
Ciò è già stato censurato dalla Commissione Europea
con nota prot. 2012042381, in data 10 giugno 2012, quanto alla procedura di
infrazione n.2011/4021, ma la Regione Lazio non ha ritenuto di dover mutare
opinione al riguardo.
Sul punto non si può richiamare, come fa
l’Amministrazione regionale, la circolare del Ministero dell'Ambiente prot.
GAB-2009-0014963 del 30/06/2009, posto che la stessa ha preceduto i descritti
rilievi della Commissione Europea e, comunque, prevedeva un'opzione del tutto
transitoria.
II) - Violazione
dell'art. 7, comma 1, della LR 9 luglio 1998 n.27; omissione di un passaggio
procedimentale obbligatorio.
Il Piano impugnato risulta viziato per omissione di un
passaggio procedimentale obbligatorio, in quanto è stato approvato in
violazione dell'art. 7, comma 1, della LR 9 luglio 1998 n.27 (recante
"Disciplina regionale della gestione del rifiuti"), il quale
stabilisce che: "1. Il Consiglio regionale, su proposta della Giunta
regionale e sentito il comitato tecnico-scientifico per l'ambiente previsto
dalla Legge regionale 18 novembre 1991, n. 74, approva il piano regionale di
gestione dei rifiuti ...”.
Nel caso di specie, il Piano è stato approvato
omettendo di acquisire preventivamente il parere obbligatorio del Comitato
tecnico-scientifico per l'ambiente.
III) - Violazione
dell'art.28, par. 3, lett. d), della Direttiva 08/98/CE; violazione degli artt.
11, comma 5, e 199, comma 3, lett. c), del D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152;
travisamento e difetto di istruttoria; illegittimità del Rapporto di VAS in via
diretta e derivata.
Con sentenza del 14/06/07, resa nell’ambito della
procedura di infrazione n. 2002/ 2284, Causa C 82/06, la Corte di Giustizia
Europea ha condannato l'Italia per violazione della Direttiva 75/442/CEE, art.
7, n. 1, quarto trattino, come modificata dalla Direttiva 91/156/CEE.
Nella caso di specie, è stata ritenuta fondata la
censura relativa alla mancata elaborazione, da parte della Regione Lazio, di un
Piano dei Rifiuti rispettoso delle normative comunitarie, essendo stato
affermato che il piano approvato "non ha un grado di precisione
sufficiente per assicurare la piena efficacia della Direttiva 75/442, come
modificata dalla Direttiva 91/156/CE" e non consente di "individuare
i luoghi o impianti adatti allo smaltimento dei rifiuti, in particolare per
quanto riguarda i rifiuti pericolosi".
La Direttiva 75/442/CEE è stata codificata e abrogata
dalla Direttiva 06/12/CE del 5 aprile 2006, ed il dettato
dell'art. 7, n. 1, quarto trattino della Direttiva 75/442/CEE, è ora contenuto
nell'art. 7, paragrafo 1, lettera d), Direttiva 2006/12/CE.
Al contempo, come rilevato dalla stessa Commissione
Europea, nella lettera di messa in mora del 16 giugno 2011, nel Piano di
gestione dei Rifiati per il periodo 2011-2017, viene evidenziata dalla stessa
Regione Lazio (cfr. pag. 91) l'insufficienza della capacità impiantistica
dedicata al TMB a livello regionale, inferiore ai quantitativi di rifiuto
indifferenziato prodotto, che pure continua ad essere collocato nelle discariche
laziali, ivi comprese quelle individuate nel Piano.
Pertanto, l’esecuzione del Piano impugnato
determinerebbe l'aggravarsi del contenzioso con la Commissione Europea, con
conseguenze pregiudizievoli facilmente prevedibili a carico dell’Italia.
Inoltre, in contrasto con quanto stabilito
dall'art.28, paragrafo 3, lett. c), della Direttiva 2008/98/CE, e dall’articolo
199 del codice dell’ambiente, il Piano impugnato non tiene conto della chiusura
degli impianti esistenti ed, in particolare, della chiusura della discarica di
Malagrotta, che non è stata presa in considerazione neanche in sede di
Valutazione Ambientale Strategica e nell’ambito del Rapporto ambientale.
IV) - Violazione
dell'art. 174 del Trattato; violazione del principio di precauzione; violazione
dell'art. 1, della legge 7 agosto 1990 n.241.
L'Amministrazione regionale ha delineato uno scenario
che non consente di perseguire gli obiettivi dettati dalla citata normativa
comunitaria, non è rispettoso della gerarchia delineata dall'art. 179 del
codice dell’ambiente, non garantisce che tutti i rifiuti conferiti in
discarica siano realmente sottoposti a trattamento e che il conferimento
avvenga mediante rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le
discariche, finalizzati a stabilire misure, procedure e orientamenti volti a
prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente,
ed, in particolare, l’inquinamento delle acque superficiali, delle acque
freatiche, del suolo e dell’atmosfera e sull'ambiente globale, compreso
l'effetto serra, nonché i rischi per la salute umana risultanti dalle
discariche di rifiuti.
Il Piano si rivela, altresì, in contrasto con il principio
di precauzione, cristallizzato dall'art.174 del Trattato, che costituisce
uno dei canoni fondamentali del diritto dell'ambiente.
La rilevanza di tale principio generale, direttamente
cogente per tutte le pubbliche amministrazioni, menzionato nel Trattato proprio
in relazione alla politica ambientale, assume valenza non solo programmatica,
ma direttamente imperativa nel quadro degli ordinamenti nazionali, vincolati ad
applicarlo qualora sussistano incertezze riguardo all'esistenza o alla portata
di rischi per l'ambiente.
5. A sostegno delle censure proposte
avverso l’impugnata deliberazione del Consiglio regionale del Lazio del 18
gennaio 2012 n. 14, anche la Provincia di Latina ha contestato il Piano di
gestione dei rifiuti del Lazio, rappresentando che, in base a quanto stabilito
dall'art.199, comma 3, lettera c) del D. Lgs. 152/06, con il Piano regionale di
gestione dei rifiuti devono essere delimitati gli ambiti territoriali ottimali
sul territorio regionale. La delimitazione degli ambiti secondo i criteri ed i
principi di cui agli art. 147 e 200 del D.lgs. n.152, avrebbe dovuto dare
prevalenza ad una valutazione prioritaria degli ambiti provinciali, che però il
Piano regionale ha parzialmente disatteso, senza supportare la scelta operata
da adeguata motivazione.
Infatti, sebbene il Piano fornisca una fotografia dei
territori ed una classificazione di questi ultimi, omette di corredare la
delimitazione operata da un adeguata motivazione, segno di una inadeguata
istruttoria.
In particolare, per quanto concerne l'ambito ATO
Latina (corrispondente al territorio della Provincia di Latina), risultano
ingiustificatamente esclusi 5 Comuni (Gaeta, Catelforte, Spigno Saturnia,
Minturno, Santi Cosma e Damiano) ricadenti nell'ambito territoriale di ATO
Frosinone (cfr. pag.134 del Piano).
L’individuazione delle aree viene supportata dalle
considerazioni sviluppate nel par.9.1 "Suddivisione del territorio in aree
omogenee", attraverso le quali avrebbe dovuto emergere la motivazione
sottesa alla individuazione delle cinque aree e la loro composizione. Dalla
enucleazione di taluni criteri (densità e popolazione residente) vengono dal
Piano individuate fasce omogenee di Comuni inseriti in cinque ambiti in modo
del tutto avulso e non correlato all'intento pianificatorio del documento, il
quale manca l’obiettivo di fondo, ovverosia quello della fissazione dei
principi di una programmazione della gestione integrata dei rifiuti nel
comprensorio laziale, seria e puntuale, improntata al perseguimento di
obiettivi realistici.
Del tutto inidonea si palesa l'analisi del territorio
regionale e non emerge quale dei parametri considerati o dei criteri che il
legislatore ha fissato per la individuazione dell'ambito ritenuto ottimale, ha
indotto ad accludere i citati cinque Comuni della Provincia di Latina
all'interno dell'Ato Frosinone.
Sotto altro profilo, la Provincia di Latina ha rilevato
che, alla nota 21 relativa al paragrafo 7.1.1 del Piano (rubricato "La
normativa regionale e l'individuazione degli ATO rifiuti nel Lazio") si
legge: "21 Con disposizione di legge successiva, ed entro i tempi
previsti, la Regione Lazio provvederà nell'attribuire le funzioni già
esercitate dalle Autorità di cui all'art.202 del decreto legislativo n152 del
2006 a soggetto da definirsi.".
In sostanza, la Regione Lazio, nel dare attuazione
alla prescritta programmazione, ha omesso di provvedere all'adozione degli atti
prodromici ed ineludibili alla programmazione stessa, rimandandone
l'adempimento ad un momento successivo ed indeterminato.
Il Piano
risulta contraddittorio ove, da una parte, afferma la sufficienza dell’attuale
impiantistica e, dall’altra, smentisce tale assunto (cfr. pagg. 218 ss.), ed
illegittimo in quanto non tiene conto del Piano della Provincia di Latina di
cui alla deliberazione n. 71 del 30.9.1997 e dei successivi aggiornamenti, e
della disciplina concernente la valutazione di incidenza in relazione
all’influenza del Piano su siti della rete Natura 2000.
La Provincia di Latina ha anche rilevato che, in
relazione alla VAS, non sono indicati: - la procedura seguita e la sua
interazione con il processo di formazione del Piano; - i soggetti competenti
coinvolti; - i settori del pubblico interessati.
Infine, sempre a parere della Provincia di Latina, nel
provvedere alla pianificazione della gestione dei rifiuti, la Regione Lazio
avrebbe violato le procedure di cooperazione ed i meccanismi concertativi che
avrebbe avuto l’obbligo di rispettare a difesa delle istanze delle autonomie
locali destinatarie delle prescrizioni del Piano.
Come sopra precisato al punto sub 2), il Collegio
avuto riguardo ai profili concernenti l’irritualità dell’iter (descritto al
citato punto sub 2) seguito per proseguire dinanzi al TAR del Lazio con sede in
Roma la causa inizialmente proposta dall’Amministrazione provinciale dinanzi
alla Sezione staccata di Latina del medesimo Tribunale, ritiene di dover
prendere in considerazione le censure proposte dalla Provincia di Latina nei
limiti in cui coincidono con quelle avanzate dalle parti ricorrenti della causa
RG n. 3071/2012 e, comunque, attengono a queste ultime.
6. L’Amministrazione regionale resistente ha
prodotto note, memorie e documenti per sostenere la correttezza del proprio
operato e l’infondatezza del ricorso.
La Regione Lazio, sotto il profilo della procedura
finalizzata all’approvazione del Piano di gestione dei rifiuti, ha rilevato che
con D.G.R. del 19 novembre 2010. n. 523, concernente "Adozione dello
schema di Piano regionale di gestione dei rifiuti del Lazio”, ha provveduto ad
adottare lo Schema di Piano di gestione dei rifiuti comprensivo anche del
Rapporto Ambientale e della Sintesi non tecnica, ai sensi del d.lgs. n.
152/2006.
La citata D.G.R. n. 523/2010, con i relativi allegati,
è stata pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 209 al BURL n. 45 del 7
dicembre 2010.
Tale pubblicazione ha costituito avviso per
l’attivazione delle consultazioni e chiunque, entro il termine di sessanta
giorni dalla pubblicazione dell'avviso, ha potuto prendere visione dello schema
di piano e presentare proprie osservazioni all'autorità procedente (Direzione
regionale Attività Produttive e Rifiuti), e all’autorità competente alla VAS
(Direzione regionale Ambiente), anche fornendo nuovi o ulteriori elementi
conoscitivi e valutativi.
Lo Schema di Piano è stato pubblicato sul sito www.regione.lazio.it,
depositato presso gli uffici dell'autorità procedente e dell'autorità
competente, nonché trasmesso, con nota prot. n. 41687 del 7 dicembre 2010, alle
Province per il deposito e l'attivazione delle consultazioni di competenza
(cfr. doc. n. 2 Regione Lazio).
Decorsi i termini per la presentazione delle
osservazioni, l'autorità competente, in collaborazione con l'autorità
procedente, ha svolto le attività tecnico-istruttorie, acquisito e valutato le
osservazioni, obiezioni e suggerimenti pervenuti nell'ambito delle conferenze
tenutesi nei giorni 1, 4 e 6 maggio 2011 (cfr. doc. n. 3 Regione Lazio).
L'autorità competente ha rilasciato il proprio parere
motivato con nota prot. n. 214998 del 18 maggio 2011 (cfr. doc. n. 4 Regione
Lazio).
L'autorità procedente, in collaborazione con
l’autorità competente, ha provveduto alla revisione dello Schema di Piano
tenendo conto delle risultanze del parere motivato.
Alle osservazioni pervenute è stato dato riscontro
nell'ambito del documento "Dichiarazione di sintesi" pubblicato sul
sito web regionale nel periodo intercorrente tra l'adozione del Piano e la sua
approvazione (cfr. doc. n. 5 Regione Lazio).
Con D.G.R. n. 244 del 20 maggio 2011, la Giunta
Regionale ha adottato la "Proposta di deliberazione consiliare
concernente: Approvazione del Piano di gestione dei rifiuti del Lazio ai, sensi
dell’art. 7, comma 1, della L. R. n. 27 del 1998 e s.m.i.'".
Con Deliberazione del Consiglio Regionale del 18
gennaio 2012 n. 14, pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 15 al BURL del 14
marzo 2012, è stato approvato il Piano di gestione dei rifiuti del Lazio.
Per quanto concerne lo smaltimento in discarica dei
rifiuti urbani, la Regione Lazio ha richiamato l'art. 7, del D.Lgs. n. 36/2003,
il quale prevede che i rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo
trattamento, a meno che non si tratti di rifiuti inerti il cui trattamento non
è tecnicamente fattibile o non si tratti di rifiuti il cui trattamento non
contribuisce a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente
ed i rischi per la salute umana. Nella definizione di "trattamento"
sono ricompresi "i processi fisici, termici, chimici, o biologici, inclusa
la cernita, che modificano le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne
il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il
recupero".
Ai sensi dell'art. 2, comma 1, lett. h), D. Lgs.
36/2003 il trattamento può essere anche finalizzato a favorire lo smaltimento
in condizioni di sicurezza. Il trattamento meccanico biologico, la
bioessiccazione e la digestione anaerobica previa selezione, rappresentano a
tutti gli effetti forme di trattamento, in quanto si tratta di processi
finalizzati sia a modificare le caratteristiche merceologiche e chimico-fisiche
del rifiuto urbano, sia a consentire l'avvio delle frazioni in uscita a
circuiti di valorizzazione.
La tritovagliatura, quale trattamento fisico
finalizzato a ridurre il volume dei rifiuti e a separare alcune frazioni
merceologiche come i metalli è da considerarsi pretrattamento del rifiuto
indifferenziato ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di cui all'art. 7, comma
1, D. Lgs. 36/2003, come emerge dalla circolare del Ministero dell'Ambiente
prot. GAB-2009-0014963 del 30.06.2009, con la quale (in vista della definitiva
entrata a regime del D.Lgs. n. 36/2003) sono stati forniti chiarimenti in
ordine allo smaltimento in discarica dei rifiuti urbani, nonché sui criteri
generali di valutazione del rischio ai fini dell'ammissibilità in discarica dei
rifiuti. Secondo la circolare ministeriale, anche la raccolta differenziata
della frazione cosiddetta pericolosa contribuisce a ridurre la natura
pericolosa del rifiuto e, quindi, qualora sia effettuata un'adeguata raccolta
differenziata delle frazioni pericolose del rifiuti urbani (farmaci scaduti,
pile e batterie), nel caso in cui la capacità impiantistica di trattamento
meccanico biologico non sia sufficiente a coprire l'intero fabbisogno, "in
via del tutto provvisoria e nelle more della completa realizzazione
dell'impiantistica di piano i rifiuti urbani possono essere conferiti in
discarica previo trattamento in impianti di tritovagliatura. Tali impianti
devono comunque consentire, ad esito della tritovagliatura, il recupero di
alcune frazioni merceologiche, quali i metalli".
Quanto alle contestazioni mosse dalla Commissione
europea nell'ambito della procedura di infrazione n. 2011/4021 circa le
violazioni delle disposizioni di cui alle Direttive 1999/31 e 2008/98 (mancato
rispetto della normativa che impone l'obbligo di trattare i rifiuti prima del
loro collocamento in discarica ed insufficienza della rete impiantistica
regionale dedicata al trattamento meccanico biologico) l’Amministrazione
regionale evidenzia che la procedura di infrazione indicata non ha per oggetto
la contestazione del Piano di gestione dei rifiuti ed, anzi, il Piano mira
proprio ad ottemperare alle disposizioni comunitarie che si assumono essere
state violate.
In merito alla contestazione circa la portata dei due
scenari previsti dal Piano, l’Amministrazione regionale ha rilevato che lo
scenario di controllo nasce con l'intento di fornire indirizzi ai fini degli
interventi in caso di mancata realizzazione dello scenario di Piano e,
pertanto, si muove in una logica che già in sé prevede il mancato
raggiungimento degli obbiettivi di RD comunitari, oltre che la mancata
efficacia della politica di riduzione dei rifiuti.
Gli effetti dello scenario di Piano potranno essere
valutati soltanto a seguito del monitoraggio di piano previsto annualmente.
Il Piano, nel quadro dello scenario di controllo,
evidenzia il deficit impiantistico presente sul territorio regionale, prevede i
criteri di localizzazione per i nuovi impianti, prevede (circa il trattamento
dei rifiuti prima del loro collocamento in discarica), il fabbisogno
impiantistico di impianti di trattamento meccanico biologico che consentano di
pretrattare il complesso dei rifiuti indifferenziati.
Quanto alle unità di tritovagliatura, la Regione Lazio
evidenzia che, a prescindere dal soddisfacimento dei requisiti di cui all'art.
7 del D.lgs. n. 36/2003, le stesse consentono una riduzione volumetrica dei
rifiuti prima del loro collocamento in discarica oltre che il recupero di
metalli.
In ordine al fatto che, nel Piano, non sarebbe stata
considerata la chiusura della discarica di Malagrotta, l’Amministrazione
regionale ha rilevato che il Piano indica le volumetrie residue della
discarica, il deficit impiantistico con riguardo allo smaltimento dei rifiuti e
disciplina i criteri di localizzazione per i successivi eventuali impianti di
smaltimento, nel rispetto delle competenze attribuite alla Regione Lazio.
In merito alla presunta violazione dell'art. 7 della
legge regionale n. 27/1998 ed, in particolare, all’asserita assenza del parere
di competenza del Comitato Tecnico Scientifico per l'Ambiente (CTSA),
l’Amministrazione regionale ha osservato che il citato Comitato (organo tecnico
disciplinato dalla legge regionale n. 74 del 1991), previsto allo scopo di
fornire supporto agli organi regionali, è stato chiamato ad esprimersi prima
della adozione della proposta di Piano da parte della Giunta Regionale, sulla
coerenza della bozza di Piano stesso con le Linee Guida per l'adeguamento del
Piano di Gestione dei Rifiuti del Lazio e con il bando di gara per il servizio
di assistenza tecnica ai fini dell'adeguamento del Piano. La verifica di tale
coerenza ha dato esito positivo e si è rinviato per l'espressione del parere di
competenza una volta che il Piano fosse stato adottato dalla Giunta (cfr.
verbale di seduta del CTSA del 9 novembre 2009).
Tale Comitato, però, ha cessato le sue funzioni in
data 29 maggio 2010 (come indicato dall'Area Conservazione Qualità
dell'Ambiente alla Direzione competente in data 14 settembre 2011 nell'ambito
dei procedimenti relativi all'autorizzazione di impianti mobili) e, quindi,
prima dell'adozione del Piano da parte della Giunta Regionale, e non sono stati
nominati i nuovi componenti.
Tuttavia, la Regione Lazio ha evidenziato che, sotto
il profilo tecnico, nell'ambito delle consultazioni di VAS sono stati invitati
ad esprimere il loro parere a riguardo i soggetti competenti in materia
ambientale, tra cui anche l'ARPA Lazio.
7. Al fine di affrontare l’esame delle
censure proposte dalle parti ricorrenti, è opportuno richiamare, seppure
sinteticamente, le fonti che costituiscono il quadro di riferimento della
principale normativa comunitaria e nazionale applicabile alla fattispecie
oggetto di causa.
La Comunità europea ha, nel corso del tempo,
evidenziato la necessità di programmare le politiche e gli interventi in
materia, adottando una specifica disciplina in tema di rifiuti: direttiva
75/442/Cee, modificata e integrata dalla direttiva 91/156/Cee; direttiva
91/689/Cee sui rifiuti pericolosi; direttiva 94/62/Ce sugli imballaggi e i
rifiuti di imballaggi; direttiva 99/31/Ce relativa alle discariche.
Per razionalizzare le disposizioni succedutesi nel
corso del tempo è stata adottata la direttiva 2006/12/Ce, che ha sostituito la
direttiva quadro precedente, riproducendone, sostanzialmente, i contenuti e,
poi, la Dir. 19-11-2008 n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento Europeo e del
Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive).
Dal complesso delle norme comunitarie, si evince
l’ordine di priorità che si deve seguire nel trattamento dei rifiuti: -
prevenzione della produzione dei rifiuti; - recupero; - lo smaltimento (come
ultima opzione).
Tra i principi cardine contenuti nella normativa
comunitaria dedicata ai rifiuti, va ricordato quello di ‘programmazione’, da
cui si desume che il ciclo integrato dei rifiuti impone, per la sua
complessità, una metodologia di pianificazione rigorosa, al fine di garantire
il raggiungimento degli obiettivi fissati con il consenso più ampio possibile.
Ciò comporta, anzitutto, una descrizione in termini precisi dell'oggetto
dell'attività pianificatoria e degli ambiti ecologici, sociali ed economici in
cui il Piano deve sviluppare la sua influenza.
Accanto al principio di programmazione, si pongono
quelli di ‘prossimità’ (in base al quale, ogni bacino deve gestire, riciclare,
recuperare e smaltire i rifiuti che ha prodotto presso impianti il più
possibile vicini al luogo di produzione) e quello di ‘autosufficienza’ (che
tende a far si che la dotazione impiantistica garantisca, tendenzialmente, la
completa autosufficienza dei bacini, anche al fine di affermare il principio di
responsabilità nella produzione dei rifiuti).
A livello nazionale, per quel che interessa in questa
sede, va rilevato che la disciplina generale in tema di rifiuti è contenuta nel
D.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, il quale, nella Parte IV, contiene disposizioni in
materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati, recando nel
Titolo I (Gestione dei rifiuti), tra le altre, disposizioni generali (cfr. Capo
I: artt. 177 - 194), norme in tema di competenze (cfr. Capo II: artt. 195 –
198) e la disciplina del Servizio di gestione integrata dei rifiuti (cfr. Capo
III: artt. 199 – 207) recante regole inerenti specificatamente il Piano di
gestione dei rifiuti regionale.
Per ciò che interessa in questa sede, va, altresì,
citato il D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, recante norme di attuazione della
direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti.
A livello regionale, poi, la legge della Regione Lazio
del 9.7.1998 n. 27 , contiene la disciplina regionale della gestione dei
rifiuti.
Ciò posto, va rilevato che il Piano impugnato nasce al
dichiarato scopo di uniformare e razionalizzare la programmazione che si è
susseguita nel tempo, di rispondere a quanto richiesto dalla Comunità Europea
(di cui si dirà al punto che segue) e di adeguarsi al mutato quadro normativo
nazionale definito dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e dalla Direttiva Europea
sui rifiuti 2008/98/CE.
Con specifico riferimento ai Piani di gestione dei
rifiuti, va ricordato che, ai sensi dell'art. 199, D.Lgs. n. 152/2006, cosi
come modificato dal D.Lgs. n. 205/2010, i piani regionali di gestione dei
rifiuti comprendono l'analisi della gestione dei rifiuti esistenti nell'ambito
geografico interessato, le misure da adottare per migliorare l'efficacia
ambientale delle diverse operazioni di gestione dei rifiuti, nonché una
valutazione del modo in cui i piani contribuiscono all'attuazione degli
obiettivi e delle disposizioni della parte quarta del decreto legislativo n.
152/2006.
Ai sensi di quanto stabilito dall’art. 199 del codice
dell’ambiente, i piani di gestione dei rifiuti devono obbligatoriamente
prevedere: a) tipo, quantità e fonte dei prodotti all'interno del territorio,
suddivisi per ambito territoriale ottimale per quanto riguarda i rifiuti
urbani, rifiuti che saranno prevedibilmente spediti da o verso il territorio
nazionale e valutazione dell'evoluzione futura dei .flussi di rifiuti, nonché
la fissazione degli obiettivi di raccolta differenziata da raggiungere a
livello regionale, fermo restando quanto disposto dall'articolo 205; b) i
sistemi di raccolta dei rifiuti e gli impianti di smaltimento e recupero
esistenti, inclusi eventuali sistemi speciali per oli usati, rifiuti pericolosi
o flussi di rifiuti disciplinati da una normativa comunitaria specifica; c) una
valutazione della necessita di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli
impianti esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti
per i rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di
cui agli articoli 181, 182 e 182-bis e, se necessario, degli investimenti
correlati; d) informazioni sui criteri di riferimento per l'individuazione dei
siti e la capacità dei futuri impianti di smaltimento o dei grandi impianti di
recupero, se necessario; e) politiche generali di gestione dei rifiuti, incluse
tecnologie e metodi di gestione pianificata dei rifiuti, o altre politiche per
i rifiuti che pongono problemi particolari di gestione; f) la delimitazione di
ogni singolo ambito territoriale ottimale sul territorio regionale, nel
rispetto delle linee guida di cui all'articolo 195, comma 1, lettera m), d.lgs.
n. 152/2006; g) il complesso delle attività e dei fabbisogni degli impianti
necessari a garantire la gestione dei rifiuti urbani secondo criteri di
trasparenza, efficacia, efficienza, economicità e autosufficienza della
gestione dei rifiuti urbani non pericolosi all'interno di ciascuno degli ambiti
territoriali ottimali di cui all'articolo 200 del d.lgs. n. 152/2006, nonché ad
assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti speciali in luoghi prossimi
a quelli di produzione al fine di favorire la riduzione della movimentazione di
rifiuti; h) la promozione della gestione dei rifiuti per ambiti territoriali
ottimali, attraverso strumenti quali una adeguata disciplina delle
incentivazioni, prevedendo per gli ambiti più meritevoli, tenuto conto delle
risorse disponibili a legislazione vigente, una maggiorazione di contributi; a
tal fine, le regioni possono costituire nei propri bilanci un apposito fondo;
i) la stima dei costi delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti
urbani; l) i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree
non idonee alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei
rifiuti nonché per l'individuazione dei luoghi o impianti adatti allo
smaltimento del rifiuti, nel rispetto del criteri generale di cui all'articolo
195, comma 1, lettera p), d.lgs. n. 152/2006; m) le iniziative volte a
favorire, il riutilizzo, il riciclaggio ed il recupero dai rifiuti di materiale
ed energia, ivi incluso il recupero e lo smaltimento dei rifiuti che ne
derivino; n) le misure atte a promuovere la regionalizzazione della raccolta,
della cernita e dello smaltimento dei rifiuti urbani; o) la determinazione, nel
rispetto delle norme tecniche di cui all'articolo 195, comma 2, lettera a),
d.lgs. n. 152/2006, di disposizioni speciali per specifiche tipologie di
rifiuto; p) le prescrizioni in materia di prevenzione e gestione degli
imballaggi e rifiuti di imballaggio di cui all'articolo 225, comma 6, d.lgs. n.
152/2006; q) il programma per la riduzione dei rifiuti biodegradabili da
collocare in discarica di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 13 gennaio
2003, n. 36; r) un programma di prevenzione della produzione dei rifiuti,
elaborato sulla base del programma nazionale di prevenzione dei rifiuti di cui
all’art. 180, che descriva le misure di prevenzione esistenti e fissi ulteriori
misure adeguate. Il programma fissa anche gli obiettivi di prevenzione. Le
misure e gli obiettivi sono finalizzati a dissociare la crescita economica
dagli impatti ambientali connessi alla produzione dei rifiuti. Il programma
deve contenere specifici parametri qualitativi e quantitativi per le misure di
prevenzione al fine di monitorare e valutare i progressi realizzati, anche
mediante la fissazione di indicatori.
Costituiscono parte integrante del piano regionale i
piani per la bonifica delle aree inquinate.
Rappresentano oggetto di specifica attività di
pianificazione, le fasi della gestione dei rifiuti che riguardano la produzione
e la raccolta dei rifiuti urbani, il trattamento meccanico biologico dei
rifiuti urbani indifferenziati, nonché lo smaltimento dei rifiuti urbani non
pericolosi e dei rifiuti derivanti dal loro trattamento.
Con riferimento alle discariche ove vengono conferiti
gli scarti da trattamento meccanico-biologico e da termovalorizzazione, il Piano
descrive la situazione della produzione di rifiuti ed il relativo fabbisogno di
impianti.
Per completezza, quanto allo smaltimento in discarica
dei rifiuti urbani, va ricordato che l'art. 7, D.Lgs. n. 36/2003, prevede che i
rifiuti possono essere collocati in discarica solo dopo trattamento, a meno che
non si tratti di rifiuti inerti il cui trattamento non è tecnicamente fattibile
o non si tratti di rifiuti il cui trattamento non contribuisce a ridurre il più
possibile le ripercussioni negative sull'ambiente ed i rischi per la salute
umana, non risultando, pertanto, indispensabile ai fini del rispetto dei limiti
fissati dalla normativa vigente.
8. Prima di esaminare i motivi di ricorso
proposti dalle parti ricorrenti è anche opportuno ricordare gli antefatti che
hanno preceduto l’approvazione dell’impugnato Piano dei rifiuti della Regione
Lazio.
Con delibera del Consiglio della Regione Lazio n.112
del 10 luglio 2002 fu approvato il Piano di Gestione dei Rifiuti della Regione
Lazio, che ha dato luogo all’apertura da parte della Commissione Europea della
procedura di infrazione 2002/2284, unitamente alla procedura che riguarda la
discarica di Malagrotta.
In particolare, la Commissione Europea, con lettera 19
dicembre 2002, richiamò l’attenzione delle Autorità italiane in merito
all'attuazione delle Direttive 75/442/CEE e 91/689/CEE, con particolare
riferimento agli artt. 7 n.1 e 6, segnalando come diverse Regioni non avessero
redatto i Piani di gestione ivi previsti.
Ne seguì, in data 13 luglio 2005, un parere motivato,
in cui la Commissione evidenziò, tra l’altro, come il Piano di gestione dei
rifiuti e dei rifiuti pericolosi della Regione Lazio non fosse conforme a
quanto stabilito dall'art.7, n.1, quarto trattino, della Direttiva 75/ 442/
CEE, come modificata dalla Direttiva 91/156/CEE, quanto all'indicazione dei
luoghi adatti per lo smaltimento.
Quindi, la Corte di Giustizia CE, con sentenza 14
giugno 2007 (causa C-82/06), ha condannato la Repubblica Italiana, ex art. 226
del Trattato, ai sensi delle citate norme evidenziando, tra l’altro, la
circostanza che pur avendo la Regione adottato tre piani differenti (un Piano
di gestione del rifiuti, un piano di interventi di emergenza ed un piano di
individuazione del siti idonei ad ospitare impianti di termovalorizzazione), i
tre documenti non consentivano di individuare i luoghi o gli impianti adatti
allo smaltimento dei rifiuti.
Va anche ricordato che, con DPCM 22 luglio 2011, il
Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell'art.5, comma 1, della
legge 24 febbraio 1992 n.225, ha decretato - fino al 31 dicembre 2012 e per
quanto concerne la Provincia di Roma -, lo stato di emergenza in relazione alla
prevista chiusura della discarica di Malagrotta ed alla conseguente necessità
di realizzare un sito alternativo per lo smaltimento dei rifiuti.
Proprio per quanto riguarda la discarica di
Malagrotta, il cui esercizio è stato prorogato, la Commissione Europea, con
Atto di costituzione in mora C(2011) 4113 del 16 giugno 2011, ha aperto la
procedura di infrazione n.4021 nei confronti della Repubblica Italiana,
nell'ambito della quale ha osservato come, quanto a Malagrotta, fossero state
violate le disposizioni di cui agli artt. 6 lett. a) della Direttiva 99/31/CE e
4 e 13 della Direttiva 2008/98/CE, atteso che nel 2011, "viene ancora
collocato nella discarica di Malagrotta un certo quantitativo di rifiuti urbani
non sottoposti a previo trattamento".
Al dichiarato fine di superare la procedura di
infrazione 2002/2284 e di aggiornare il Piano al mutato quadro nazionale e
comunitario, costituito dal D.lgs. 3 aprile 2006 n.152 e della Direttiva quadro
sui rifiuti 2008/98/CE, che aveva nel frattempo sostituito la Direttiva
06/12/CE (che, a sua volta, aveva abrogato le sopra citate Direttive del 1995 e
del 1991), è stato predisposto il Piano dei Rifiuti oggetto della DGR Lazio 18
gennaio 2012.
In questo quadro, quindi, è stato varato il Piano
Rifiuti della Regione Lazio relativo al periodo 2011-2017.
9. Il Collegio, ritiene che il ricorso
sia fondato e debba essere accolto per le ragioni di seguito esposte.
9.1. Come rilevato al punto che precede,
nella lettera di messa in mora del 16 giugno 2011, la Commissione Europea ha
svolto una serie di contestazioni afferenti, anzitutto, la violazione dell’art.
1, par.1, e degli artt. 2 lett. h) e 6 lett. a) della Direttiva 1999/31/CE,
evidenziando che nella Regione Lazio i rifiuti sono collocati in discarica non
preventivamente trattati negli impianti di trattamento meccanico biologico
(TMB), contrariamente a quanto previsto dal citato articolo 1, il quale
stabilisce che lo scopo della normativa comunitaria è quello di prevedere,
mediante rigidi requisiti operativi e tecnici per i rifiuti e le discariche,
misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il più possibile
le ripercussioni negative sull'ambiente, ed, in particolare, l’inquinamento
delle acque superficiali, delle acque freatiche, del suolo e dell'atmosfera e
sull'ambiente globale, compreso l'effetto serra, nonché i rischi per la salute
umana risultanti dalle discariche di rifiuti, durante l'intero ciclo della vita
della discarica, al fine di adempiere alle disposizioni della Direttiva 75/
442/CEE, ed in particolare degli artt. 3 e 4, oggi trasfusi negli artt. 4 e 13
della Direttiva 08/98/CE.
Al riguardo, oltre a quanto sopra ricordato, va
considerato che con nota prot. 2012042381 del 10 giugno 2012, quanto alla
procedura di infrazione n.2011/4021, la Commissione Europea ha inviato un
parere motivato rivolto alla Repubblica Italiana, ai sensi dell'art.258 TFUE
(ex art.226 TCE) – che, per quanto interessa in questa sede, menziona il Piano
Rifiuti della Regione Lazio alle pagine 5 e 6, in relazione alle problematiche
afferenti il deficit di trattamento e la non adeguatezza delle soluzioni adottate
-, con il quale ha integralmente confermato quanto già dettagliatamente
espresso nella citata lettera di messa in mora, affermando che nel Piano
impugnato si registra la violazione degli artt. 1 par.1, 2 lett.h) e 6 lett. a)
della Direttiva 1999/31/CE.
La Commissione Europea ha confermato, in particolare,
che il cd. scenario di controllo, previsto dal Piano Rifiuti, disegna un quadro
non corrispondente a quanto richiesto dalle citate Direttive comunitarie.
Sul punto, va considerato che l'art. 7, comma 1, del
D.lgs. 13 gennaio 2003 n.36, recante "Attuazione della Direttiva
1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti", in ordine ai rifiuti
ammessi in discarica, prevede che i "rifiuti possono essere collocati in
discarica solo dopo trattamento. Tale disposizione non si applica; a) ai
rifiuti inerti il cui trattamento non sia tecnicamente fattibile; b) ai rifiuti
il cui trattamento non contribuisce al raggiungimento delle finalità di cui
all'art. 1, riducendo la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e
l'ambiente, e non risulta indispensabile ai fini del rispetto dei limiti
fissati dalla normativa vigente".
Come correttamente rilevato dalla Commissione Europea
negli atti richiamati, l'art. 4 della Direttiva 08/98/CE (cd. Direttiva Quadro
Rifiuti) impone agli Stati Membri, nell'applicare la gerarchia dei rifiuti ivi
indicata, di adottare misure volte ad incoraggiare le opzioni che offrano il
miglior risultato ambientale complessivo. Il livello di trattamento dei rifiuti
destinati a discarica costituisce una delle misure efficaci per garantire il
rispetto della gerarchia dei rifiuti.
Sotto i descritti profili, il Collegio ritiene che la
Regione Lazio abbia violato la normativa di riferimento indicata e che le
argomentazioni offerte in giudizio a sostegno del proprio operato,
sostanzialmente coincidenti con quelle prospettate alle Autorità comunitarie a
riscontro delle suindicate censure, non siano condivisibili.
A parere dell’Amministrazione regionale, infatti,
dovrebbero essere considerati ‘rifiuti trattati’ ai sensi dell'art.2 lett. h)
della citata Direttiva comunitaria, i rifiuti non preventivamente trattati in
impianti TMB, ma compressi durante il trasporto e dopo lo scarico, e, da
ultimo, sottoposti a cernita grossolana. Ciò, sempre secondo la Regione Lazio,
dovrebbe indurre a ritenere rispettate le disposizioni comunitarie considerato
che la raccolta differenziata, nel Comune di Roma, ha raggiunto 22,4%, che sono
in funzione servizi per la raccolta di rifiuti ingombranti e pericolosi e che,
al fine di migliorare la qualità del trattamento cui sono sottoposti, la
Regione ha predisposto l'attivazione di impianti di tritovagliatura per ridurne
il volume e recuperare i metalli ferrosi prima della collocazione in discarica
dei rifiuti.
Il tenore e la ratio del citato articolo 2, lett. h),
della Direttiva comunitaria applicabile alla fattispecie inducono a ritenere
censurabile la soluzione della tritovagliatura (indicata dalla Regione Lazio),
posto che la Direttiva Quadro e la normativa nazionale di recepimento non
convalidano la tesi secondo cui la tritovagliatura può essere considerata forma
di pretrattamento del rifiuto indifferenziato, ai fini dell'assolvimento
dell'obbligo di cui all'art. 7, comma 1 del D.Lgs, 36/2003.
Come correttamente affermato dalla Commissione
Europea, infatti, per essere conforme alla direttiva discariche ed alla
direttiva quadro sui rifiuti, il trattamento dei rifiuti destinati a discarica
deve consistere in processi che, oltre a modificare le caratteristiche dei
rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne
il trasporto o favorirne il recupero, abbiano l'effetto di evitare o ridurre il
più possibile le ripercussioni negative sull'ambiente nonché i rischi per la
salute umana.
Sul tema della ‘tritovagliatura, del resto, questa
Sezione ha già avuto modo di pronunciarsi con la sentenza del 31 maggio 2011,
n. 4195, con la quale – trattando la questione dello smaltimento fuori Regione
dei rifiuti urbani non pericolosi -, è stato osservato, tra l’altro, che: “la
semplice separazione meccanica della frazione secca dalla frazione umida di un
rifiuto non può comportare il mutamento della natura del rifiuto da urbano a
speciale, con conseguente sottrazione del ‘rifiuto speciale’ alla disciplina
del ‘rifiuto urbano’. Altrettanto si giungerebbe alla conclusione irrazionale
che ciò che non può essere smaltito e trasportato fuori Regione “intero” (il
rifiuto urbano), possa poi essere smaltito e trasportato una volta “frazionato”
(il rifiuto speciale con codice CER 19.12.12). In sostanza, a tal fine non può
essere considerata decisiva l’attribuzione del codice CER 19.12.12, perché le
operazioni di tritovagliatura (e, cioè, il trattamento che consiste in una
operazione di pretrattamento composta di triturazione e vagliatura; la fase di
triturazione serve a ridurre il volume dei rifiuti, mentre la vagliatura ha lo
scopo di separare i diversi tipi di materiale, ad esempio, in base alla
pesantezza, che compongono un determinato rifiuto) si pongono come preliminari
rispetto a quella che sarà l’operazione compiuta di recupero o smaltimento cui
il rifiuto deve essere sottoposto e non sono, quindi, utili, da sole, a
cambiare la classificazione del rifiuto secondo l’origine. Affermare il
contrario significherebbe consentire – mediante la semplice operazione
meccanica e di riduzione del volume – di disattendere la normativa che
disciplina la gestione dei rifiuti urbani, il principio di autosufficienza ed
il divieto di smaltimento in regioni diverse da quella di produzione (cfr. Cass.
Penale, Sez. III, 9 dicembre 2009, n. 46843: Tribunale di Milano, Ufficio GIP,
23 marzo 2006). In conclusione, deve ritenersi che proprio considerazioni del
genere espresso dalla richiamata giurisprudenza abbiano indotto il legislatore
ad abrogare la lettera n) del terzo comma dell’articolo 184 del Codice
dell’Ambiente (soppressa dall'art. 2, comma 21-bis, del D.Lgs. 16 gennaio 2008,
n. 4) sostanzialmente, facendo rientrare i rifiuti derivati dalle attività di
selezione meccanica dei rifiuti solidi urbani (in precedenza inclusi tra i
rifiuti speciali) nell’ambito della classificazione dei rifiuti urbani.”.
In sostanza, un trattamento che consista nella mera
compressione e/o triturazione di rifiuti indifferenziati da destinare a
discarica, senza una adeguata selezione delle diverse azioni dei rifiuti ed una
qualche forma di stabilizzazione della frazione organica dei rifiuti stessi,
non è tale da evitare o ridurre il più possibile le ripercussioni negative
sull'ambiente ed i rischi per la salute umana.
Quindi, il Collegio ritiene che la Regione Lazio abbia
violato l'art.1 della Direttiva Discariche, gli artt. 4 e 13 della Direttiva
Rifiuti, l’art. 7, comma 1 del D.Lgs, 36/2003 e, comunque, anche l'art. 174 del
Trattato e, quindi, il principio di precauzione che dovrebbe caratterizzare le
scelte (anche pianificatorie) dell’amministrazione ove si presentino eventuali
dubbi o perplessità in ordine alle decisioni da assumere nel caso concreto.
Sotto altro profilo, va rilevato che la Regione Lazio,
pur avendo preso atto della posizione assunta al riguardo dalla Commissione
Europea, si è orientata in senso opposto, facendo leva su una circolare
ministeriale. Infatti, nel Piano impugnato si legge che: "Per le
considerazioni espresse relativamente al conferimento dei rifiuti
indifferenziati in discarica e alla previsione dell'utilizzo della
tritovagliatura come trattamento preliminare allo smaltimento in discarica si
specifica che in coerenza con il D.Lgs. 36/2003 ed in linea con quanto chiarito
dal Ministero dell'Ambiente con la circolare Prot. GAB-2009-0014963 del
30/06/2009 la tritovagliatura con deferrizzazione è considerabile come
trattamento idoneo a ridurre il volume specifico dei rifiuti, separando alcune
frazioni merceologiche come i metalli. In particolare, l’Art. 7, com. 1, del
D.Lgs 36/2003 prevede che: ‘I rifiuti possono essere collocati in discarica
solo dopo trattamento. Tale disposizione non si applica: ai rifiuti inerti il
cui trattamento non sia tecnicamente fattibile; b) ai rifiuti il cui trattamento
non contribuisce al raggiungimento delle finalità di cui all'Art. 1, riducendo
la quantità dei rifiuti o i rischi per la salute umana e l'ambiente, e non
risulta indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa
vigente’ intendendo, per "trattamento", in linea con quanto stabilito
dalla direttiva europea relativa alle discariche 1999/31/CE: i processi fisici,
termici, chimici o biologici, incluse le operazioni di cernita, che modificano
le caratteristiche dei rifiuti, allo scopo di ridurne il volume o la natura
pericolosa, di facilitarne il trasporto, di agevolare il recupero o di
favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza".
La citata circolare ministeriale (del 2009), però,
oltre ad essere anteriore all'apertura della procedura di infrazione 2011/4021
e ad apparire in contrasto con la normativa indicata, era chiara nel precisare
(come, del resto, ammesso dalla Regione Lazio a pag.46 del Piano impugnato)
che, in ogni caso, la soluzione della tritovagliatura avrebbe dovuto essere
considerata un'opzione del tutto transitoria, proprio alla luce della
circostanza che tale soluzione impiantistica non garantisce la riduzione dei
rifiuti biodegradabili in discarica e non consente di raggiungere gli obiettivi
dettati dalla normativa comunitaria e dal D.lgs. n.36/03.
E’ chiaro che il concetto di ‘transitorità’ non può
essere dilatato fino al punto di consentire l’adozione e l’approvazione di un
Piano quale quello contestato, a distanza di anni dall’affermazione contenuta
dalla circolare richiamata, posto che la Regione Lazio ha approvato l’atto di
pianificazione impugnato prevedendo, in presenza di una procedura di infrazione
comunitaria pendente, il conferimento fino al 2015 dei rifiuti indifferenziati
in discarica utilizzando la tritovagliatura.
9.2. Sempre in relazione alle
considerazioni espresse dalla Commissione Europea, che assumono rilevanza in
relazione alle censure avanzate dalle parti ricorrenti, va rilevato che nelle
risposte alla lettera di costituzione in mora le Autorità italiane ed, in
particolare, la Regione Lazio, non hanno fornito adeguati elementi di
valutazione diretti a contestare la posizione della Commissione circa il
deficit di capacità di TMB che, secondo quanto emerge dal Piano regionale di
gestione dei rifiuti, sarebbe pari a -74.393 tonnellate annue.
Secondo l’Amministrazione regionale: - il deficit in
questione sarebbe compensato dal surplus di capacità di TMB esistente nel
SubAto di Viterbo, con la conseguenza che, sino a quando nel SubAto di Rieti
non verrà realizzata la necessaria capacità di TMB, il surplus di capacità
esistente a Viterbo potrà essere usato per garantire il trattamento di tutti i
rifiuti prodotti nel SubAto di Rieti; - per quanto concerne il SubAto di
Latina, il deficit di capacita di TMB (che si dichiara essere pari a -147.358
tonnellate annue), dovrebbe essere ridotto grazie ad un incremento di capacita
pari a 60.000 tonnellate, sicché l'attuale deficit sarebbe pari a circa
-120.000 t/a, da colmare con l’entrata in esercizio di uno degli impianti di
TMB previsti dalla pianificazione regionale, con la conseguenza che il rifiuto
regionale indifferenziato prodotto nel SubAto di Latina verrebbe trattato in
impianti di TMB; - riguardo al SubAto di Roma, il deficit pari a -1.064.848
t/a, dovrebbe subire riduzioni fino ad arrivare a -550.000 t/a grazie ad alcuni
impianti di TMB in fase di realizzazione.
Al riguardo, il Collegio condivide le perplessità
manifestate dalla Commissione Europea circa il fatto che, sia nella proposta di
Piano, che nel Piano approvato (impugnato), il consistente deficit di capacita
di TMB per quanto concerne i SubAto di Latina e di Roma trova conferma ma non
adeguata prospettiva di soluzione.
Dal Piano impugnato emerge, ad esempio, che
l’Amministrazione regionale dichiara un deficit pari a -126.891 t/a per il
SubAto di Latina e di -1.015.659 t/a per il SubAto di Roma omettendo, peraltro,
di considerare la non completa operatività (oltre che la prevista chiusura)
della discarica di Malagrotta.
Va, inoltre, rilevato che il Piano contiene due
diversi scenari.
Il cd. scenario di piano, che prevede il
raggiungimento, entro il 31 dicembre 2012, degli obiettivi di raccolta
differenziata al 65%, come stabilito dall'art.1 comma 1108, della legge 27
dicembre 2006 n.296, nonché dall'art.205 del D.lgs. 3 aprile 2006 n.132.
Il raggiungimento degli obiettivi minimi di raccolta
differenziata stabilito dall'art. 205 del codice dell’ambiente, da raggiungere
per ciascun Ambito Territoriale Ottimale, è stato confermato dall'art. 21 del
D.lgs. 3 dicembre 2010 n.205 (recante ""Disposizioni di attuazione
della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19
novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive"), il
quale prevede, al comma 1-bis, una ipotesi di deroga da autorizzarsi a cura del
Ministero dell'Ambiente tramite accordo di programma.
Sulla base di tale previsione la Regione Lazio ha
basato il cd. scenario di controllo che, tuttavia, come rilevato dalle parti
ricorrenti, appare costituire l’ipotesi di piano più realistica (rispetto allo
scenario di piano), ma anche quella più pericolosa per l’ambiente e per la
posizione assunta dall’Italia dinanzi alle Autorità comunitarie, posto la
gestione dei rifiuti urbani prevista da tale scenario non risulta in linea con
gli obiettivi di raccolta differenziata fissati a livello normativo.
Infatti, esaminando, in particolare, i due ‘scenari’
emerge che nello scenario di piano, non risulta necessaria una capacità
aggiuntiva in discarica (cfr. Tab. 10.4.3., pag.198 del Piano), mentre nella
più realistica ipotesi dello scenario di controllo, il deficit delle volumetrie
disponibili passa da 828.423 mc nel 2013 a 6.859.956 mc. nel 2017 (cfr. Tab.
10.7.3 pag. 219 del Piano).
Le medesime considerazioni valgono per quanto concerne
le capacità di trattamento meccanico biologico dei rifiuti indifferenziati,
posto che nello scenario di piano i fabbisogni di trattamento risultano
soddisfatti dagli attuali impianti, mentre, nello scenario di controllo la
capacità deg1i impianti esistenti risulta insufficiente – passando da un mln.
t/a del 2011 a circa 313.000 t/a nel 2017 - e, quindi, i rifiuti
indifferenziati prodotti continueranno ad essere avviati in discarica in misura
apprezzabile senza trattamenti preventivi, con conseguente necessità di
realizzare impianti di TMB per una adeguata capacita totale.
La Regione Lazio afferma che lo scenario di Piano ha
assunto la piena realizzazione di tutte le azioni di riduzione della produzione
dei rifiuti, ed il raggiungimento del 65% di raccolta differenziata entro il
2012 (cfr. Capitolo IV del Piano: pagg. 65 ss.).
Ma, i dati ufficiali ISPRA, risalenti al Rapporto
Rifiuti del 2008 (indicati nel Piano), mostrano una tendenza diversa da quella
presa in considerazione dall’Amministrazione regionale, denotando una
produzione annua di rifiuti regionali in costante aumento (cfr. tabelle
contenute a pagg. 67 e 68 del Piano): al paragrafo 4.5 del Piano, si legge che
nel 2008 nel Lazio la raccolta differenziata si attestava su un valore medio
del 15% e, quindi, in assenza di previsioni basate su dati concreti e misure di
riduzione dei rifiuti indifferenziati attendibili (non previste nello scenario
di controllo), il raggiungimento della percentuale del 65% non sembra
verosimile.
Ciò induce a ritenere più attendibile lo scenario di
controllo che quello di piano, da cui risulta, tra l’altro, il mancato
raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata previsti dal Piano e
l'insufficienza della capacità impiantistica di TMB a livello regionale
inferiore ai quantitativi di trattamento meccanico biologico prodotto.
In questo contesto, è prevista la possibilità di
autorizzare ulteriori capacità di trattamento per il rifiuto indifferenziato e
di termovalorizzazione, fermo restando il deficit delle volumetrie delle
discariche.
Ciò rende poco attendibili anche le stime concernenti
la tritovaglatura di rifiuti indifferenziati in quanto, a fronte di 1.097.000
t/a, il Piano prevede che si passi nel 2014 a 145.000 t/a e a zero nel 2015.
Tuttavia, pur accettando la previsione circa i quantitativi
di rifiuto indifferenziato oggetto della Tabella 10.4.1, il raggiungimento
dell'autosufficienza nel 2015 si basa sull’effettivo pieno funzionamento degli
impianti esistenti e sulla messa a regime di quelli autorizzati.
Ma, a prescindere dalla considerazione circa i tempi
di realizzazione di tale prospettiva, non è contestato in giudizio che gli otto
impianti di pretrattamento presenti nel territorio regionale non lavorano a
pieno regime, come emerge, ad esempio, dal fatto che uno dei due impianti di
trattamento siti a Malagrotta non è funzionante.
L’inaffidabilità dello scenario di Piano e la concreta
attendibilità dello scenario di controllo, hanno indotto la Regione Lazio a
prevedere che, nel caso di mancata realizzazione dello scenario di piano, si
dovrà, comunque, garantire l'autosufficienza regionale per quanto concerne lo
smaltimento in discarica (secondo quanto stabilito dall'art.182 bis, comma 1,
lett. a, d.lgs. n. 152/2006), eventualmente mediante l'adeguamento delle
volumetrie delle discariche.
In sostanza, secondo lo scenario di controllo (come
detto, più attendibile dello scenario di piano), il Piano - in contrasto con la
disciplina comunitaria e nazionale di recepimento, sopra indicata -, risulta,
in concreto, basato più sul conferimento in discarica che sull'incremento della
raccolta differenziata, sul pretrattamento e sul recupero dei rifiuti.
Pertanto, anche sotto questo profilo, il Piano risulta
viziato.
9.3. Il Piano impugnato risulta
illegittimo anche perché, in contrasto con quanto stabilito dall'art. 7, comma
1, della LR 9 luglio 1998 n.27 (recante "Disciplina regionale della
gestione del rifiuti"), il Consiglio regionale, prima di approvare il
piano regionale di gestione dei rifiuti, non risulta aver sentito il comitato
tecnico-scientifico per l'ambiente previsto dalla Legge regionale 18 novembre
1991, n. 74.
La normativa richiamata prevede, infatti, l’obbligo di
acquisire il parere obbligatorio del Comitato tecnico-scientifico per
l'ambiente, prima di approvare il Piano.
Al riguardo, la Regione Lazio ha rilevato che il
Comitato Tecnico Scientifico per l'Ambiente (CTSA) è stato chiamato ad
esprimersi prima dell’adozione della proposta di Piano da parte della Giunta
Regionale (sulla coerenza della bozza di Piano stesso con le Linee Guida per
l'adeguamento del Piano di Gestione dei Rifiuti del Lazio e con il bando di
gara per il servizio di assistenza tecnica ai fini dell'adeguamento del Piano),
ma non dopo l’adozione del Piano da parte della Giunta (cfr. verbale di seduta
del CTSA del 9 novembre 2009: doc. n. 7 Regione Lazio), perché tale Organo
consultivo ha cessato le sue funzioni in data 29 maggio 2010 e non sono stati
nominati i nuovi componenti.
Tale ultima circostanza, a parere del Collegio, deve
ritenersi irrilevante in quanto i ritardi e le omissioni circa la tempestiva
mancata nomina dei componenti del Comitato Tecnico Scientifico per l'Ambiente
non può giustificare la mancata acquisizione di un parere prescritto dalla
legge.
Del resto, come correttamente rilevato dai ricorrenti,
la circostanza che la versione definitiva del Piano, prima della sua
approvazione da parte del Consiglio Regionale, dovesse essere sottoposta al
parere del Comitato, è stata ammessa anche dall’Assessore alle Attività
Produttive e alle Politiche dei Rifiuti con nota 6 agosto 2010 n.139504
(prodotta in giudizio), avente ad oggetto: "Procedura di infrazione
comunitaria n.2002/2284 - Causa C.-82/06 - Sentenza Corte di Giustizia Europea
del 14 giugno 2007 - Piano di gestione dei rifiuti della Regione Lazio",
ove si legge: "Risulta necessaria una nuova adozione definitiva del Piano
da parte della Giunta Regionale (poi, avvenuta nel dicembre successivo
all’adozione della citata nota del 2010) che sottoporrà il testo al Comitato
Tecnico Scientifico per l'Ambiente (CTSA) ai fini dell'espressione del parere
di cui all'art.7 comma 1 LR 27/98 (parere di merito). In seguito, lo stesso
Piano dovrà essere sottoposto al Consiglio Regionale per l'approvazione".
Ribadito che dal tenore della norma citata (art. 7, LR
9 luglio 1998 n.27), emerge chiara la natura obbligatoria del parere in
questione, deve ritenersi che la sua mancata acquisizione abbia viziato il
provvedimento adottato in sua assenza.
9.4. Sotto altro profilo, va rilevato che
l'art. 7, paragrafo 1, lettera d), della Direttiva 2006/12/CE, stabilisce che
"per realizzare gli obiettivi previsti negli articoli 3, 4 e 5, la o le
autorità competenti di cui all' articolo 6 devono elaborare quanto prima uno o
più piani di gestione dei rifiuti, che contemplino fra l’altro …. d) i luoghi o
gli impianti adatti per lo smaltimento".
L'art.28, paragrafo 3, lett. c), della Direttiva
2008/98/CE, attribuisce agli Stati membri il compito di predisporre, a norma
degli articoli 1, 4, 13 e 16, uno o più piani di gestione dei rifiuti, che
contengano .... "una valutazione della necessità di nuovi sistemi di
raccolta, della chiusura degli impianti per i rifiuti esistenti, di ulteriori
infrastrutture per gli impianti per i rifiuti ai sensi dell'articolo 16 e, se
necessario, degli investimenti correlati".
La normativa comunitaria indicata è stata recepita
dall'art. 199, comma 3, lett. c), del d.lgs. n. 152/2006, il quale stabilisce
che i piani di gestione dei rifiuti devono contenere "una valutazione
della necessità di nuovi sistemi di raccolta, della chiusura degli impianti
esistenti per i rifiuti, di ulteriori infrastrutture per gli impianti per i
rifiuti in conformità del principio di autosufficienza e prossimità di cui agli
articoli 181, 182 e 182-bis e se necessario degli investimenti correlati "
.
A fronte di tale previsione, dal Piano di gestione dei
Rifiuti per il periodo 2011-2017, emerge, da una parte, l’insufficienza della
capacità degli impianti regionali dedicati al TMB, rispetto ai quantitativi di
rifiuti indifferenziati prodotti e, dall’altra, l’omessa considerazione di
tutti gli impianti esistenti dei quali è prevista la chiusura e, in
particolare, della discarica di Malagrotta.
Tale ultimo profilo assume particolare rilievo in
quanto presso la discarica di Malagrotta risulta destinato oltre il 50% di
tutti i rifiuti solidi urbani dei Comuni di Roma, Fiumicino, Ciampino e dello
Stato della Città del Vaticano.
Ciò ha comportato la violazione del citato articolo
199 del codice dell’ambiente, oltre a mettere in dubbio gli esiti della
procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), deputata a valutare – ai
sensi della Direttiva comunitaria 2001/42/CE (Direttiva VAS), recepita nella
Parte II del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, modificata e integrata dal D.Lgs. 16
gennaio 2008, n. 4 e dal D. Lgs. 29 giugno 2010, n. 128 -, gli effetti di
determinati piani e programmi sull'ambiente naturale, considerato che
dall’omessa considerazione della chiusura di Malagrotta è derivata l’omessa
valutazione delle conseguenti soluzioni alternative e, quindi, sorgono dubbi
sull’attendibilità delle verifiche e delle analisi (oggetto della VAS e del
Rapporto ambientale) concernenti la sostenibilità degli obiettivi di piano, gli
impatti ambientali significativi delle misure di piano, la costruzione e la
valutazione delle ragionevoli alternative, la partecipazione al processo del
soggetti interessati ed il monitoraggio delle performances ambientali del
piano.
10. Per quanto concerne le puntuali e
articolate censure proposte dalla Provincia di Latina, è stato sopra precisato
(cfr. punto sub 5) che sarebbe stato possibile prenderle in considerazione nei
limiti in cui avessero coinciso con quelle avanzate dalle parti ricorrenti o,
comunque, attenuto a queste ultime.
Tuttavia, da quanto rappresentato e considerato ai
precedenti punti sub 9), emerge che le contestazioni avanzate
dall’Amministrazione provinciale (sopra descritte al punto sub 5), riguardano
profili non coincidenti e non attinenti con quelli oggetto dei motivi di
ricorso proposti dai ricorrenti.
Ciò non toglie che - in esecuzione della presente
decisione e attenendosi all’effetto conformativo derivante dalla stessa – la
Regione Lazio dovrà istruire adeguatamente il nuovo procedimento e motivare
congruamente le proprie scelte, tenendo conto di tutti gli elementi di
valutazione a disposizione e, quindi, anche dei profili evidenziati dalla
Provincia di Latina inerenti, in particolare: - la delimitazione degli ambiti
territoriali ottimali sul territorio regionale; - l’esclusione di 5 Comuni
(Gaeta, Catelforte, Spigno Saturnia, Minturno, Santi Cosma e Damiano) dall'ATO
Latina e l’inclusione degli stessi nell'ATO Frosinone; - la circostanza che
alla nota 21 relativa al paragrafo 7.1.1 del Piano (rubricato "La
normativa regionale e l'individuazione degli ATO rifiuti nel Lazio") si
legge: "21 Con disposizione di legge successiva, ed entro i tempi
previsti, la Regione Lazio provvederà nell'attribuire le funzioni già
esercitate dalle Autorità di cui all'art.202 del decreto legislativo n152 del
2006 a soggetto da definirsi."; - le risultanze del Piano della Provincia
di Latina di cui alla deliberazione n. 71 del 30.9.1997 ed i successivi
aggiornamenti, e la disciplina concernente la valutazione di incidenza in
relazione all’influenza del Piano su siti della rete Natura 2000.
11. Alla luce delle considerazioni che
precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere
accolto.
12. Le spese seguono la soccombenza,
nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto:
- accoglie il ricorso e, per l'effetto, annulla gli
atti impugnati;
- condanna la Regione Lazio al pagamento delle spese
di lite in favore delle parti ricorrenti costituite, che si liquidano in
complessivi 2.000,00 (duemila/00) euro ciascuna, compresi gli onorari di causa;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla
competente Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 13 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Linda Sandulli, Presidente
Roberto Proietti, Consigliere, Estensore
Antonella Mangia, Consigliere
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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