PROVVEDIMENTO:
autotutela tramite annullamento d'ufficio
e motivazione
(Cons. St., Sez. IV, sentenza 25 giugno 2013 n. 3449)
Massima
La regola per la quale, in caso di annullamento d'ufficio, l'Amministrazione ha l'obbligo di evidenziare quale sia l'interesse pubblico al ritiro del provvedimento, non opera e non può operare, per la stessa ratio tutoria alla quale s'ispira, nei casi in cui l'annullamento del provvedimento consegua automaticamente all'avverarsi di una condizione risolutiva che sia stata posta in funzione di un controllo da esperire successivamente e fin da un momento anteriore all'adozione dell'atto, atteso che secondo questo modulo procedimentale semplificato la rimozione consegue direttamente ed automaticamente, come fisiologico effetto del controllo, e dunque come atto dovuto, alla mancata ottemperanza della prescrizione condizionante apposta al titolo e rimasta inottemperata, non occorrendo un'ulteriore ed autonoma verifica dell'interesse pubblico al ritiro.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 7924 del 2010, proposto da
BORLANDELLI E VOLPI & C. S.a.s., in persona del legale rappresentante pro
tempore, e dai signori Luciano BORLANDELLI, Antonio VOLPI e Gigliola
VOLPI (questi ultimi due in qualità di eredi del signor Egidio VOLPI),
rappresentati e difesi dagli avv.ti Annarosa Corselli e Carlo Luigi Scrosati,
con domicilio eletto presso lo studio Grez e Associati in Roma, corso Vittorio
Emanuele II, 18,
contro
FERROVIENORD S.p.a., in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli
avv.ti Gabriele Pafundi ed Ezio Antonini, con domicilio eletto presso il primo
in Roma, viale Giulio Cesare, 14,
nei confronti di
COMUNE DI MAGNAGO, in persona del Sindaco pro
tempore, non costituito,
per la integrale riforma
della sentenza emessa dal T.A.R. della Lombardia,
Sezione Terza di Milano, nr. 1484/10 del 14 maggio 2010, non notificata.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di
Ferrovienord S.p.a.;
Viste le memorie prodotte dagli appellanti (in date 6
e 16 maggio 2013) e da Ferrovienord S.p.a. (in date 10 e 17 maggio 2013) a
sostegno delle proprie difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 28 maggio
2013, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Pafundi per Ferrovienord S.p.a. e l’avv.
Alfredo Codacci Pisanelli, su delega dell’avv. Scrosati, per gli appellanti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
La società Borlandelli & Volpi & C. S.a.s. e i
signori Luciano Borlandelli, Antonio Volpi e Gigliola Volpi (questi ultimi
quali eredi del ricorrente in primo grado, signor Egidio Volpi) hanno impugnato
la sentenza con la quale il T.A.R. della Lombardia ha respinto il ricorso da
loro stessi proposto avverso il decreto di acquisizione sanante ai sensi
dell’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327, emesso da Ferrovienord S.p.a.
su un’area in loro proprietà, già oggetto di occupazione per l’esecuzione di
opere connesse al collegamento ferroviario con l’Aeroporto di Malpensa.
L’appello risulta affidato ai seguenti motivi:
1) violazione di legge; errata applicazione dell’art.
43 del d.P.R. nr. 327 del 2001; insufficienza di motivazione (stante
l’inapplicabilità della norma alla presente fattispecie);
2) violazione di legge; errata applicazione dell’art.
43 del d.P.R. nr. 327 del 2001; insufficiente e contraddittoria motivazione
(atteso il sacrificio dei diritti delle parti private);
3) violazione di legge; errata applicazione dell’art.
43 del d.P.R. nr. 327 del 2001; insufficiente motivazione (stante la mancata
indicazione della data cui risale l’indebita utilizzazione dell’area);
4) violazione di legge (legge 7 agosto 1990, nr. 241)
e dell’art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001; difetto di motivazione;
contraddittorietà (stante la mancata ponderazione degli interessi privati in
rapporto all’interesse pubblico);
5) violazione di legge; errata applicazione dell’art.
43 del d.P.R. nr. 327 del 2001; disapplicazione del decreto legislativo 30
aprile 1992, nr. 285, e del d.P.R. 16 dicembre 1992, nr. 495; nullità della
sentenza per mancata disamina; insufficiente motivazione (stante l’omessa
pronuncia sul motivo d’impugnazione con cui erano stati dedotti tali vizi);
6) violazione di legge; errata applicazione dell’art.
43 del d.P.R. nr. 327 del 2001 e dell’art. 100 cod. proc. civ. (stante l’omessa
pronuncia sul motivo d’impugnazione con cui erano stati dedotti tali vizi);
7) violazione di legge; errata applicazione dell’art.
43 del d.P.R. nr. 327 del 2001; insufficiente e illogica motivazione (stante
l’acquisizione di solo parte della superficie occupata);
8) violazione di legge; errata applicazione dell’art.
43 del d.P.R. nr. 327 del 2001 (stante l’acquisizione anche di aree di
proprietà della società istante, del tutto estranee al contenzioso, ed in
relazione alle quali il decreto di esproprio originario non era stato mai
annullato);
9) violazione di legge; errata applicazione dell’art.
43 del d.P.R. nr. 327 del 2001; insufficiente e contraddittoria motivazione
(stante la mancata sospensione del giudizio in pendenza di appello avverso
altra sentenza intervenuta tra le parti).
Si è costituita Ferrovienord S.p.a., chiedendo la
reiezione dell’appello e la conferma della sentenza impugnata, dopo aver
ampiamente argomentato a sostegno dell’infondatezza delle doglianze attoree.
Con successiva memoria, parte appellante ha
evidenziato il sopravvenire della declaratoria di illegittimità costituzionale
dell’art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001 (Corte cost., sent. 8 ottobre 2010,
nr. 293), chiedendo dichiararsi anche per questo motivo l’illegittimità
dell’impugnato decreto di acquisizione.
Ferrovienord S.p.a. ha replicato, assumendo
l’ininfluenza di tale sopravvenienza sul presente giudizio e insistendo per la
definizione del giudizio nei sensi di cui alle proprie richieste originarie.
All’udienza del 28 maggio 2013, la causa è stata
trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Oggetto del presente contenzioso è un decreto di
acquisizione adottato da Ferrovienord S.p.a., ai sensi dell’art. 43 del d.P.R.
8 giugno 2001, nr. 327, su aree in proprietà della società Borlandelli &
Volpi & C. S.a.s. e dei signori Borlandelli e Volpi, già oggetto di una
procedura di esproprio i cui atti erano stati annullati in sede
giurisdizionale.
Con l’appello oggi all’esame della Sezione, gli
originari ricorrenti hanno impugnato la sentenza con cui il T.A.R. della
Lombardia ha respinto il ricorso nel quale essi avevano lamentato lo scorretto
esercizio, sotto vari profili, del potere di acquisizione di cui al precitato
art. 43.
2. Ciò premesso, prima di ogni altra questione occorre
affrontare il problema di quali siano gli effetti sul presente giudizio della
sentenza della Corte costituzionale nr. 293 dell’8 ottobre 2010, intervenuta
dopo la proposizione dell’appello, con la quale è stata dichiarata
l’illegittimità costituzionale del ricordato art. 43 del d.P.R. nr. 327 del
2010 per eccesso di delega legislativa.
Al riguardo, parte ricorrente nelle proprie memorie
successive all’appello ha sostenuto che tale decisione non può che comportare
l’illegittimità sopravvenuta di tutti i provvedimenti, come quello qui
impugnato in prime cure, che risultassero adottati nell’esercizio del potere di
acquisizione già disciplinato dalla norma espunta dall’ordinamento; al contrario,
l’appellata Ferrovienord S.p.a. assume – anche con richiamo a pregressa
giurisprudenza di questo Consiglio di Stato e di primo grado – che il venir
meno della norma non precluderebbe la definizione del giudizio nel merito, in
assenza di un motivo di ricorso con il quale si fosse già ab initio denunciata
l’incostituzionalità della previsione normativa.
3. La Sezione condivide le prospettazioni degli
appellanti, ritenendo invece l’opposta tesi dell’appellata non in linea col
prevalente indirizzo giurisprudenziale (che in questa sede non si ritiene in
alcun modo di dover disattendere).
E difatti, in tema di effetti della sopravvenuta
declaratoria di illegittimità costituzionale della norma attributiva di un
potere alla p.a. sul provvedimento che ne costituisce esercizio, il più recente
orientamento è nel senso che, pur non essendovi travolgimento automatico del
provvedimento per effetto del venir meno della norma a monte(trattandosi
di illegittimità derivata dell’atto applicativo e non già di sua inesistenza o
nullità, come pure era stato ipotizzato), non è onere della parte ricorrente
proporre motivi aggiunti per dedurre il vizio sopravvenuto quante volte la
stessa nel ricorso introduttivo, attraverso uno o più motivi specifici, abbia
fatto venire in rilievo la norma in questione, ancorché non sotto il profilo di
una sua illegittimità costituzionale (cfr. ex plurimis Cons.
Stato, sez. IV, 18 giugno 2009, nr. 4002).
Come si vede, il presupposto perché il giudice possa
conoscere del vizio sopravvenuto è soltanto che il ricorrente abbia fin
dapprincipio svolto censure che chiamino direttamente in causa la norma de
qua e non anche, come vorrebbe parte odierna appellata, che ne abbia
specificamente lamentato fin dapprincipio l’illegittimità costituzionale.
È quanto indubbiamente avvenuto nel caso che qui
occupa, laddove a essere impugnato era proprio un decreto emesso ai sensi
dell’art. 43 del d.P.R. nr. 327 del 2001, con plurime censure che lamentavano
l’errata o scorretta applicazione della norma medesima.
Ne discende che, in accoglimento dell’appello, va
riformata la sentenza impugnata con l’accoglimento del ricorso di primo grado e
l’annullamento del decreto con esso censurato, restando assorbita ogni altra
censura.
4. Non è fuori luogo aggiungere, peraltro, che la
presente decisione non pregiudica la facoltà dell’Amministrazione di procedere,
ove ne ravvisi le condizioni, a nuova acquisizione dell’area ai sensi dell’art.
42-bis del d.P.R. nr. 327 del 2001, norma che medio tempore ha
preso il posto del previgente art. 43, e che indubbiamente fonda un potere
autonomo e originario della p.a., suscettibile di essere esercitato
indipendentemente da pendenze e statuizioni giurisdizionali esistenti tra le
parti.
5. In considerazione delle ragioni dell’accoglimento
dell’appello, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di
entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il
ricorso di primo grado e pertanto annulla il provvedimento con lo stesso
censurato.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado del
giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 28 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/06/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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