Massima
1. Nelle cause di valore superiore ad € 2.582,28, qualora la parte, dopo avere proposto personalmente il ricorso, sani l'irritualità del detto ricorso, munendosi di assistenza tecnica, è al primo atto del difensore che vanno ricollegate le prescritte preclusioni processuali;
2. Tale opzione ermeneutica appare l'unica compatibile con l'esercizio effettivo del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., essendo indubbio che, una volta ritenuto dal legislatore necessaria l'assistenza tecnica, deve essere consentito al difensore abilitato la più ampia difesa del contribuente, senza che la stessa sia limitata, pena la violazione stessa dell'art. 24 Cost., da precedenti errate scelte processuali del contribuente, difesosi personalmente, e quindi, in modo non rituale.
Sentenza per esteso
[...]
FATTO
Con distinti ricorsi proposti in data 11-11-1994
dinanzi alla CTP di Roma F.G. impugnava gli avvisi di accertamento ai fini
ERPEF ed ILOR per gli anni 1985-1990 relativi ad omesse dichiarazioni di
redditi conseguiti da locazioni di immobili siti in Roma.
L'adita CTP, previa riunione, accoglieva parzialmente
i ricorsi, ritenendo errati gli accertamenti in quanto riferiti a quattro
appartamenti, mentre in realtà i diversi contratti di locazione erano riferiti
allo stesso immobile; mandava quindi all'Ufficio di modificare gli accertamenti
impugnati.
Con sentenza depositata il 3-9-2008 la CTR di Roma
accoglieva l'appello del contribuente; in motivazione la CTR affermava che
titolari della proprietà immobiliare in questione erano F. E. e F.M., unici
legittimati passivi, mentre il ricorrente F.G. aveva solo concluso i contratti
di locazione; accoglieva, di conseguenza, l'eccezione di carenza di
legittimazione passiva sollevata in primo grado dal ricorrente con memoria
tecnica 13-2-2006; al riguardo evidenziava l'irrilevanza della novità di tale
eccezione, atteso che la legittimatio ad causam, attenendo non al merito della
causa ma alla regolarità dell'instaurazione del contradditorio, si poneva come
condizione dell'azione, riscontrabile ex officio dal Giudice in ogni stato e
grado sulla base della semplice prospettazione della parte ed a prescindere
dall'effettiva sussistenza del diritto azionato.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione
l'Agenzia, affidato ad un motivo; il contribuente non svolgeva attività
difensiva.
DIRITTO
Con l'unico motivo l'Agenzia, deducendo - ex art. 360
c.p.c., n. 4, quale error in procedendo - la violazione del D.Lgs. n. 546
del 1992, art. 18, comma 2, e art. 24,
nonchè art. 112
c.p.c., rilevava che il ricorrente nei ricorsi introduttivi
depositati l'11-11-1994 aveva censurato gli impugnati avvisi di accertamento
solo in quanto i contratti di locazione non avevano avuto esecuzione, e quindi
non vi era stata alcuna percezione di reddito; solo successivamente, con la
memoria 10-2-2006, aveva per la prima volta introdotto un nuovo tema di indagine,
affermando di non essere soggetto passivo dell'imposta in quanto non titolare
di alcun diritto sul bene concesso in locazione.
Siffatto motivo è infondato.
Va, in primo luogo, precisato che l'accertamento
impugnato appare diretto nei confronti di chi ha percepito il reddito da
locazione, nell'implicita premessa che siffatto soggetto sia anche il
proprietario dell'immobile locato; la circostanza che poi tale soggetto non sia
effettivamente il proprietario implica una verifica sul rapporto sostanziale e
sull'effettiva sussistenza dello stesso (cioè sull'effettiva titolarità del
rapporto) ed attiene quindi al merito; la relativa eccezione, pertanto, intesa
come titolarità passiva del rapporto fiscale e responsabilità per il pagamento
dell'imposta, non è rilevabile d'ufficio, atteso che la sussistenza o meno
dell'asserito difetto della responsabilità fiscale dipende dall'accertamento di
una situazione avente rilevanza giuridica, e cioè dalla proprietà degli
immobili in questione.
Ne consegue che, in linea generale, il predetto motivo
di impugnazione dell'accertamento (difetto di titolarietà) andava proposto sin
dal ricorso introduttivo, restando preclusa alla parte la possibilità di
sottoporre alla CTP ulteriori profili di illegittimità rispetto a quelli originariamente
dedotti; non sussiste, invero, alcuna ragione per discostarsi dal consolidato
principio di questa Corte, secondo cui "nel processo tributario,
caratterizzato dall'introduzione della domanda nella forma della impugnazione
dell'atto tributario per vizi formali o sostanziali, l'indagine sul rapporto
sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei
presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell'Amministrazione che il
contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo
grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di
invalidità dell'atto impugnato, il giudice deve attenersi all'esame di essi e
non può, "ex officio", annullare il provvedimento impositivo per vizi
diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti
al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono
ritenersi estranei al "thema controversum", come definito dalle
scelte del ricorrente. L'oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di
ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina
processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, D.Lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, ex art. 24, nel solo caso di "deposito
di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della
commissione" (Cass.
19337/2011), ipotesi non verificatasi nel caso di specie.
Ciò posto, va tuttavia rilevato:
a) che, come appare evidente anche dalla lettura della
gravata sentenza, i ricorsi in questione, pur introducenti controversie di
valore superiore ad Euro 2.582,28, sono stati proposti dapprima, in data
11-11-1994, "con atto sottoscritto personalmente dalla parte", e solo
successivamente integrati con memoria tecnica (e, cioè, con memoria
sottoscritta da difensore abilitato all'assistenza tecnica dinanzi alle
Commissioni Tributarie: D.Lgs. n. 546
del 1992, art. 12) depositata il 13-2-2006, nella quale è stato per
la prima volta eccepito il "difetto di qualità di soggetto d'imposta per
non essere il ricorrente proprietario dell'immobile"; siffatta
"eccezione di carenza di legittimazione passiva" è stata
"sollevata dalla difesa tecnica nel ricorso introduttivo", e quindi,
per la prima volta, con la su menzionata "memoria tecnica" depositata
il 13-2-2006;
b) che, in tema di assistenza tecnica del contribuente
nei giudizi tributali di importo superiore ad Euro 2.582,28, questa Corte, in
continuità con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale nelle note sentenze
189/2000 e 158/2003,
ha condivisibilmente affermato che la mancanza di siffatta difesa tecnica
"determina semplicemente il dovere per il giudice tributario adito di
imporre l'ordine di munirsi di detta assistenza, ai sensi del D.Lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, art. 12, comma 5; ciò in quanto " la
disposizione va interpretata, in una prospettiva costituzionalmente orientata,
in linea con l'esigenza di assicurare l'effettività del diritto di difesa nel
processo e l'adeguata tutela contro gli atti della P.A., evitando nel contempo
irragionevoli sanzioni di inammissibilità, che si risolvano in danno per il
soggetto che si intende tutelare" (Cass.
3166/2012;
v. anche Cass. Sez.
unite 22601/2004).
Tanto premesso, appare doversi ritenere come
corollario indefettibile, che nel caso in cui - in una causa di valore
superiore ad Euro 2.582,28 - la parte, dopo avere proposto personalmente il
ricorso, sani l'irritualità del detto ricorso, munendosi di assistenza tecnica,
è al primo atto del difensore che vanno ricollegate le prescritte preclusioni
processuali; siffatta interpretazione appare, invero, l'unica compatibile con
l'esercizio effettivo del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.,
essendo indubbio che, una volta ritenuto dal legislatore necessaria (per i
giudizi di importo superiore ad Euro 2.582,28) l'assistenza tecnica, deve
essere consentito al difensore abilitato la più ampia difesa del contribuente,
senza che la stessa sia limitata (pena, appunto, la violazione dell'art. 24 Cost.)
da precedenti impostazioni del contribuente, difesosi personalmente, e quindi,
(come detto) in modo non rituale.
In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato e,
sia pur con la motivazione di cui sopra, va confermata l'impugnata decisione;
nulla per le spese, attesa la mancata costituzione dell'intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della
Sezione Tributaria, il 28 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2013
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