giovedì 19 dicembre 2013

RESPONSABILITA' CONTABILE: è ammissibile esperire l'azione revocatoria per i c.d. "crediti litigiosi" davanti al Giudice contabile (Corte dei Conti, I Sez. Giuris. Centrale d'Appello, sentenza 5 novembre 2013 n. 913).


RESPONSABILITA' CONTABILE: 
è ammissibile esperire l'azione revocatoria 
per i c.d. "crediti litigiosi" 
davanti al Giudice contabile 
(Corte dei Conti, I Sez. Giuris. Centrale d'Appello, sentenza 5 novembre 2013 n. 913). 


Massima

1. Sulla questione relativa alla revoca di atti dispositivi relativamente ad un credito “litigioso” è stato affermato che “ai fini dell'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria da parte del creditore avverso un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore è sufficiente l'esistenza di una ragione di credito, ancorché non accertata giudizialmente - la definizione dell'eventuale controversia sull'accertamento del credito non costituisce l'antecedente logico - giuridico indispensabile della pronunzia sulla domanda revocatoria” (v. Sez. I appello n. 560/2009 e Sez. III appello n. 769/1998) e che il giudice della revocatoria può accertare, in via incidentale, l’esistenza del credito, se del caso anche con efficacia di giudicato (cfr. Cass. Civ., Sez. III, n. 769/98).
2.  Una volta che, in adesione alla giurisprudenza de qua, siano ritenuti ammessi alla tutela revocatoria anche i crediti c.d. litigiosi, è giocoforza concludere, se non si vuole incorrere in un’evidente contraddizione, che l’accertamento incidentale del giudice della revocatoria dovrà concernere, di norma,  l’esistenza non di un credito effettivo ma di un credito eventuale, sotto forma di credito litigioso: “nel giudizio ex art. 2901 cod. civ. è sufficiente al creditore procedente l'allegazione d'un decreto ingiuntivo (anche se opposto) ottenuto nei confronti del preteso debitore per dimostrare la titolarità di un credito meritevole di tutela” (Cass. Civ., Sez. 2, sentenza n. 12849/2007).


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
LA CORTE DEI CONTI
Iª SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO
EPIGRAFE


SENTENZA:
nel giudizio sugli appelli riuniti iscritti ai n.ri 42555 e 42556 del registro di Segreteria, proposti dai sig.ri Giuseppe Lascialfari rappresentato e difeso dall’avvocato Giovanni Giovannelli e dalla sig.ra Marinella Dini, rappresentata e difesa dagli avvocati Cristiano Giovannelli e Alessandro Pasquini, avverso la sentenza n. 170 del 9 marzo 2011 – 10 maggio 2011, resa dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Toscana;
Visti gli atti e documenti di causa;
Uditi, nella pubblica udienza del 21 giugno 2013, il relatore Presidente dott.ssa Piera Maggi l’avvocato Giovannelli in proprio e su delega orale dichiarata a verbale ai sensi dell’art. 14 della l. 231/2012 dell’avvocato Cristiano Gioveannelli, e il Procuratore Generale nella persona del vice Procuratore Generale dott.ssa Maria Giovanna Giordano;

FATTO
Con la sentenza impugnata la Sezione giurisdizionale della Toscana, a seguito dell’atto di citazione depositato in data 20 giugno 2010 con cui era stata proposta azione revocatoria, ha revocato e, per l'effetto, dichiarato inefficace, l'atto di disposizione stipulato da Giuseppe Lascialfari in favore della coniuge Marinella Dini il giorno 7 luglio 2005, a rogito notaio Raffaele Lenzi di Montecatini (repertorio n. 44954 trascritto nei R.R. E di Pescia il giorno 08.07.2005 al n. 1977, avente per oggetto la vendita e il trasferimento dei diritti di comproprietà in ragione di 1/2 sui seguenti immobili:
a) porzione del fabbricato residenziale posto in Comune di Pescia, Via Capitano Emilio Maraviglia n. 15; più precisamente, detta porzione è costituita da un appartamento ad uso civile abitazione, di tipo economico e non di lusso, posto al piano secondo, composto da ingresso, cucina, disimpegno, sala, due camere e bagno, corredato di due terrazzi di cui uno sul lato est e l'altro sui lati sud ed ovest, in proprietà esclusiva. Confini: parti condominiali, beni residui della parte acquirente, affaccio su detta via, salvo se altri. Quanto in oggetto trova rappresentazione al Catasto Fabbricati del Comune di Pescia sul foglio di mappa 76, dalla particella 272 subalterno 3, categoria A/3, classe 4, della consistenza di vani 5,5, rendita catastale di euro 340,86.
b) Vano per civile abitazione posto, al piano secondo del suddetto fabbricato funzionalmente e strutturalmente collegato con l'immobile sopra descritto al punto a), in modo tale da formare una unica unità abitativa, rappresentato al Catasto Fabbricati del Comune di Pescia sul foglio di mappa 76, dalla particella 272, subalterno 6, categoria A/3, classe 4, della consistenza di vani l, rendita catastale di euro 61,97. Confini: parti condominiali, beni della parte acquirente, affaccio su detta via, salvo se altri. Era compresa nella presente vendita la corrispondente quota di comproprietà indivisa e indivisibile sulle parti del fabbricato che per legge, consuetudine o destinazione, sono , da considerarsi comuni".
La Procura contabile adduceva la responsabilità erariale patrimoniale del signor Lascialfari in relazione a fatti delittuosi già oggetto di procedimento penale, conclusosi con sentenza irrevocabile di condanna. In particolare, riferiva che il Lascialfari era stato destinatario della sentenza penale di condanna n. 675/2005 depositata il 24.10.2005, irrevocabile, parzialmente riformata in appello e in Cassazione (12/08/2008}, con cui costui era stato riconosciuto colpevole di 17 capi di imputazione riconducibili alla realizzazione -in concorso con altri correi - di reati edilizi e -singolarmente - di reati con la P.A. (artt. 314, 317, 323, 326 c.3, c.p.) e di falso (artt. 476 e 479); i suddetti illeciti erano stati commessi nello svolgimento di pubbliche funzioni, in qualità di responsabile dell'area Servizio Utilizzazione ed Assetto del Territorio del Comune di Pescia, di Segretario della Commissione Edilizia Integrata del Comune di Pescia e quale relatore di diverse pratiche edilizie.
Riferiva la Procura che, in data 07.07.2005, nell'imminenza della pronunzia della sentenza del Tribunale di Pistoia n. 675/05 cit. (p.p.n.971/01 RGNR), e nelle more delle determinazioni del GUP sulla richiesta di rinvio a giudizio relativa ad altro procedimento penale (il n. 3112/02 RGNR) su cui pende altra istruttoria della Procura Regionale, i due convenuti, legati da rapporto di coniugio, avevano proceduto ad un'operazione negoziale, altamente pregiudizievole per le ragioni creditorie dell'Erario; essa aveva condotto al trasferimento della quota parte di proprietà della casa di abitazione di Lascialfari alla moglie, Marinella Dini, che era divenuta proprietaria esclusiva dell'immobile in regime di separazione patrimoniale dei beni.
Per i danni erariali prodotti al Comune di Pescia dalle condotte accertate nella suddetta sentenza, la Procura, assumendo che le stesse fossero tutte antecedenti l'atto di disposizione dei suddetti immobili, aveva emesso, nei confronti di Lascialfari, invito, a dedurre (seguito da atto di citazione del 20.06.2010) afferente all'istruttoria n. 444/2006/BNT, recante la richiesta di danni erariali per l'importo complessivo di 1.269.769,54 (o quello diverso, maggiore o minore, di giustizia), di cui: a) 150.000,00 per danni da disservizio; b) 20.000,00 per danni organizzativo/gestionali; "c) 999.769,54 per mancati introiti di oneri concessori e/o sanzioni dovuti per pratiche edilizie: d) €. 100.000,00 per danni di immagine.
Osservava il requirente che la complessa operazione, consistita nella divisione (in costanza del regime di comunione legale tra i coniugi, in essere fin dal matrimonio e, dunque, da oltre 25 anni) dei due vani di cui sopra e nella successiva modifica (dopo oltre 25 anni e appena prima della compravendita rep. 44954) del regime patrimoniale dei coniugi (col conseguente scioglimento ex artt. 191 e 194 c.c. della comunione dell'appartamento poi oggetto della citata compravendita e la formazione delle due quote del 50%), avrebbe avuto l'esclusiva finalità di consentire la stipula del rogito il 07.07.2005, rep. n.44954; con questo atto Giuseppe Lascialfari ha trasferito alla moglie (che ne ha quindi acquisito la titolarità per il 100%) la propria quota appena formata del 50% dell'appartamento di cui sopra, costituente la casa coniugale in cui i sigg. Lascialfari e Dini - che né prima né dopo il rogito rep. n. 44954 hanno fatto luogo a separazione coniugale – hanno continuato a vivere insieme (come fin dal 1971) dopo il rogito e anche dopo, senza soluzione di continuità; sicché, tra l'altro, su tale appartamento coniugale il Lascialfari, ancorché oggi integralmente intestato alla moglie, manterrebbe e mantiene i diritti successori e il diritto di abitare (oggi, per effetto del rapporto di coniugio: cfr. art. 143 co. 2° C.C.; un domani, in caso di apertura della successione della moglie ex art. 540 c.c.).
La Procura chiedeva, dunque, la declaratoria di inefficacia, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2901 c.c., della citata compravendita, avendo ritenuto che l'atto di disposizione 07.07.2005 rep. 44954 avesse recato pregiudizio alle ragioni creditorie dell'Erario (in relazione al risarcimento dei danni erariali cagionati al Comune di Pescia, come sopra riferito) e, pertanto, meritasse di essere dichiarato inefficace nei confronti dell'Erario (e del Comune di Pescia).
La sentenza n. 170/2011, oggi impugnata, accoglieva le ragioni della procura e dichiarava l’inefficacia, nei confronti dell’erario, dell’atto di disposizione di cui al rogito del 7 luglio 2005 del notaio Raffaele Lenzi di Montecatini Terme rep. N. 44954 e trascritto nei RR.E di Pescia l’8.7.2005 al n. 1977 come descritto nel dispositivo.
Con distinti atti di appello tempestivamente prodotti, i ricorrenti hanno rappresentato i motivi di censura appresso indicati.
l) Lasclalfari Giuseppe
Egli si oppone alle conclusioni della Procura regionale, accolte dal Collegio di 1° grado, deducendo l'insussistenza dei presupposti per l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e la omessa o insufficiente motivazione della sentenza.
Il medesimo sostiene, al riguardo, che al momento dell'atto dispositivo - atto notaio Lenzi del 07.07.2005 - non esisteva alcun credito del Comune di Pescia nei confronti del Geom. Giuseppe Lascialfari in quanto vi era unicamente una pendenza di un procedimento penale complesso dall'esito incerto; di conseguenza, non è un'aspettativa di diritto idonea a legittimare il creditore ad invocare i rimedi conservativi della garanzia patrimoniale generica, per cui non si condivide la dichiarata assimilabilità del credito sottoposto a termine o condizione al credito (accertato) definito litigioso, che in ambito penalistico non può configurarsi, essendo l'imputato non colpevole fino alla condanna definitiva.
Inoltre, solo con l’invito a dedurre recante la richiesta di €. 1.269.769,54 la Procura contabile ha introdotto la controversia inerente il credito vantato dall'Erario.
Per quanto concerne "l'eventus damni" si fa presente che, al momento dell'atto dispositivo di cui è causa, l'interessato era proprietario anche di altri beni che non sono stati trasferiti e che potevano soddisfare eventuali ragioni del creditore.
L'appellante, infine, riferisce che l'atto di disposizione fu fatto per assecondare un legittimo desiderio della suocera e che non ci fu alcun intento fraudolento da parte del coniuge acquirente, che non poteva avere consapevolezza del fatto che pochi mesi dopo sarebbe stata emessa la sentenza.
2) Dini Marinella
La ricorrente lamenta l'assenza dei presupposti per l'azione revocatoria ex art. 2901 c.c. e, ripercorrendo la storia dell'immobile oggetto dell'atto di cui si discute, si sforza di evidenziare che "non solo non vi era consapevolezza da parte del terzo – Dini Marinella - del pregiudizio che l'atto avrebbe potuto arrecare alle ragioni del creditore, ma non vi era in alcun modo una dolosa preordinazione in quanto, di fatto, si provvedeva unicamente a restituire in proprietà esclusiva a Dini Marinella ciò che la madre aveva inteso effettivamente fare con l'atto Bellandi del 30.03.1982".
Tali ragioni non sono state prese in considerazione dalla Sezione Toscana mentre, ad avviso di parte, esse rappresenterebbero le effettive motivazioni e le esigenze sottese all'atto di disposizione di cui si chiede la revoca.
Si insiste, poi, nell'assumere l'assenza di ogni prova a sostegno delle affermazioni del giudice circa il requisito soggettivo della "scientia damni", in relazione alla consapevolezza della sottrazione dei beni alla pretesa risarcitoria erariale.
Si contesta, ancora, l'indagine peritale concernente l'unità immobiliare di cui all'atto Lenzi del 2005, il cui valore reale non corrisponde ad €. 163.000,00, bensì a quello dichiarato nell'atto, pari ad €. 81.500,00, anche per alcuni pesi e diritti gravanti sulla suddetta proprietà.
Il Procuratore Generale in data 15 marzo 2013 ha rassegnato le proprie conclusioni in cui sostiene che le obiezioni dei ricorrenti sembrano giuridicamente infondate e, come tali, vanno perciò disattese.
Rileva, infatti, che il giudizio attiene unicamente alla garanzia del credito dell'Erario e che, in materia di "actio pauliana", a tutela del suddetto credito, sussiste la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti, che discende dall'art. 1, comma 174, della legge n. 266 del 2005, di interpretazione autentica dell'art. 26 del R.D. 13 agosto 2933 n. 1038, nel senso che tutte le azioni a tutela del creditore previste dalla procedura civile, ivi compresi i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, possono essere esercitate dal Procuratore regionale della Corte dei conti.
Sussiste, poi, la responsabilità patrimoniale del sig. Lascialfari in relazione a fatti delittuosi già oggetto di procedimento penale, conclusosi con sentenza irrevocabile di condanna, parzialmente riformata in appello e poi in Cassazione il 12.08.2008 e, pertanto, non può che aderirsi alla soluzione a cui è pervenuto il Collegio di l^ istanza, atteso che, nella specie, sembrano sussistere tutti i presupposti per l'accoglimento dell'azione, ai sensi dell’art. 2091 c.c. ancorché il credito sia soggetto a condizione o a termine.
Il credito vantato dal Comune di Pescia nei confronti del Lascialfari, per effetto della condotta illecita gravemente dannosa, configurabile anche in termini di reato penale, ha natura litigiosa, sia per l'avvenuta emissione dell'invito a dedurre recante la richiesta di danni per €. 1.269.769,54, sia per la costituzione di parte civile del Comune di Pescia nel processo penale, a dimostrazione dell'esistenza di una controversia di natura risarcitoria in atto tra il Lascialfari e l'ente locale.
L'atto dispositivo di cui si tratta è stato lesivo ed ha prodotto una notevole riduzione della garanzia patrimoniale del suddetto appellante in pregiudizio dell'Erario; questi, infatti, non percepiva né retribuzioni né pensione dal Comune a seguito del licenziamento dovuto alla vicenda penale; inoltre, contrariamente a quanto ha riferito l'interessato, l'unità immobiliare trasferita costituiva l'unico immobile rimasto libero da pesi nell'ambito del suo patrimonio, come risultava dagli accertamenti del 24.12.2010 effettuati dalla Guardia di Finanza alla data dell'08.07.2005.
Sussisterebbe, pertanto, il requisito oggettivo prescritto dalle norme, cioè l"'eventus damni" in rapporto alla evidente incidenza dell'atto dispositivo sulle possibilità di soddisfare il credito, anche con riguardo al pericolo concreto che l'eventuale azione esecutiva avrebbe potuto rivelarsi infruttuosa {Cass. n. 7542/2000; Cass. civ.03.03.2009, n.5092) .
Analogamente sussisterebbe l'esistenza del requisito soggettivo, ossia quello denominato "scientia damni”, apparendo chiaramente che il Lascialfari ha compiuto l'atto in parola allo scopo di impedire all'amministrazione l'attuazione coattiva del proprio diritto di credito.
Infatti, non solo l'atto dispositivo è temporalmente posteriore al sorgere del credito, ma si porrebbe in una sequenza tale da far presumere la consapevolezza di arrecare pregiudizio al creditore, in considerazione della imminente pronuncia del Tribunale penale che avrebbe il provocato, a breve, una probabile condanna.
Peraltro, secondo il Procuratore, non si potrebbe dubitare della conoscenza e della consapevolezza del terzo di produrre nocumento alle ragioni del creditore, esistendo tra i due convenuti rapporti di coniugio.
Secondo la giurisprudenza più accreditata (Cassaz., Sez. 2^, n. 2748 del 2005), infatti, per l'esercizio dell'azione di revocatoria ordinaria la prova del requisito della consapevolezza di nuocere agli interessi dei creditori può essere fornita anche mediante presunzioni, dovendosi attribuire rilievo al grado di parentela fra il debitore e gli acquirenti.
La prova del "consilium fraudis" tra i due coniugi, ovvero dell'accordo preordinato al fine di pregiudicare le ragioni del creditore (sebbene essa non sia richiesta in caso di atti dispositivi pregiudiziali anteriori al sorgere del credito), sarebbe data sia dalla conoscenza di entrambi della pendenza del processo penale che di lì a poco si sarebbe concluso, con la conseguenza della determinazione di un danno erariale da risarcire, sia dalla premura di modificare il regime coniugale dei beni da comunione in separazione degli stessi (rep. 47953 del 07.07.2005) nello stesso giorno della compravendita immobiliare (rep. 44954 del 07.07.2005) e circa tre mesi prima del deposito della sentenza penale di condanna, il cui esito era più che scontato.
Sarebbero perciò da respingere, secondo parte appellata, le tesi difensive che tentano di demolire sia la condivisa ricostruzione di parte pubblica, sia le certezze acquisite con la decisione della Sezione regionale, con deboli argomentazioni non corroborate da alcuna dimostrazione documentale e che poggiano su ragionamenti erronei e fuorvianti.
Conclusivamente il Procuratore Generale, visto l'art. 2901 c.c. e le condizioni da esso prescritte, chiede che gli appelli in epigrafe siano rigettati e che, contestualmente, sia confermata l'impugnata sentenza con la dichiarazione d'inefficacia dell'atto di compravendita "de quo" e che, inoltre, le spese del doppio grado di giudizio siano poste a carico dei ricorrenti.
Con ulteriori memorie, depositate in data 31 maggio 2013, gli appellanti hanno contestato le avverse tesi e, in particolare, il Lascialfari ha sostenuto la mancanza del presupposto per l’azione in relazione ai tempi, ha negato che sussista la litigiosità del credito, che non ci fossero altri beni aggredibili, tant’è che ciò si è verificato, e che l’atto sia stato posto in essere con scientia damni; la Dini ha insistito sulle motivazioni morali dell’atto evidenziano che, ove si fosse inteso pregiudicare le ragioni creditorie sarebbe stata più confacente e meno costosa una separazione consensuale e che, quindi, mancano i presupposti per l’azione non essendo la Dini a conoscenza dell’azione penale nei confronti del coniuge.
All’odierna udienza l’avvocato Giovannelli ha ribadito le ragioni esposte negli scritti ammettendo che l’atto di compravendita è in effetti avvenuto a titolo gratuito. Il Procuratore Generale si è riportato agli scritti insistendo nelle proprie concluisoni

DIRITTO
Gli appelli, da riunirsi in rito ai sensi dell’art. 335 c.p.c., sono infondati.
Devesi al riguardo osservare che la giurisprudenza di questa Corte si è già occupata della questione relativa alla revoca di atti dispositivi relativamente ad un credito “litigioso” (v. Sez. I appello n. 560/2009 e Sez. III appello n. 769/1998). Al riguardo è stato affermato che “ai fini dell'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria da parte del creditore avverso un atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore è sufficiente l'esistenza di una ragione di credito, ancorché non accertata giudizialmente - la definizione dell'eventuale controversia sull'accertamento del credito non costituisce l'antecedente logico - giuridico indispensabile della pronunzia sulla domanda revocatoria” e, il giudice della revocatoria può accertare, in via incidentale, l’esistenza del credito, se del caso anche con efficacia di giudicato (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 05 agosto 1998, n. 769).
Una volta che, in adesione alla giurisprudenza de qua, siano ritenuti ammessi alla tutela revocatoria anche i crediti c.d. litigiosi, è giocoforza concludere, se non si vuole incorrere in un’evidente contraddizione, che l’accertamento incidentale del giudice della revocatoria dovrà concernere, di norma, l’esistenza non di un credito effettivo ma di un credito eventuale, sotto forma di credito litigioso: in terminis cfr. Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 12849 del 01/06/2007, per la quale “nel giudizio ex art. 2901 cod. civ. è sufficiente al creditore procedente l'allegazione d'un decreto ingiuntivo (anche se opposto) ottenuto nei confronti del preteso debitore per dimostrare la titolarità di un credito meritevole di tutela”.
Nel caso si osserva che non hanno pregio le affermazioni del Lascialfari circa la insussistenza di un credito litigioso dal momento che la emissione dell’invito a dedurre, è atto idoneo a configurare la sussistenza del credito litigioso dovendosi considerare che l’invito a dedurre è anche atto idoneo alla costituzione in mora del debitore (SS.RR. n. 14/2000), e da ciò deriva che l’esistenza di un credito litigioso in quel momento è senz’altro configurabile. Comunque, a tutto voleer concedere in ordine ai tempi in cui fu emesso l’atto di citazione, contestati dall’avvocato, si deve considerare che, come esattamente osserva la sentenza impugnata, la costituzione di parte civile dell’Amministrazione in giudizio evidenzia senza ombra di dubbio l’esistenza di ragioni creditorie, sia pure sub iudice, e che l’illiceità del comportamento costituisce il Lascialfari debitore dal momento stesso del compimento del fatto illecito.
In ordine poi alla dedotta mancanza del presupposto dell’azione costituito dall’eventus damni deve osservarsi che la dolosità dei fatti addebitati al Lascialfari - da cui sono discese condanne in sede penale per danni arrecati all’Amministrazione di notevole entità - rivela di per sé la consapevole volontà del Lascialfari di arricchirsi in danno dei soggetti lesi e, quindi, da ciò consegue che lo spogliamento di propri beni a favore della moglie è indice della sua intenzionale volontà di sottrarre beni ai possibili recuperi intentati dal creditore o anche solo di renderne più difficile il recupero con l’evidente dimostrazione di un danno per essi.
Infatti, (Cass. Civ. Sez. 3, Sentenza n. 29869 del 19/12/2008), in tema di revocatoria ordinaria, ai fini del "consilium fraudis" non è necessaria la dimostrazione dell'intenzione di nuocere al creditore, essendo sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore e non anche del terzo beneficiario, del pregiudizio che, mediante l'atto di disposizione, sia in concreto arrecato alle ragioni del creditore, consapevolezza la cui prova può essere fornita anche mediante presunzioni.
Anche quando l'atto di disposizione è anteriore al sorgere del credito, ad integrare l'"animus nocendi" richiesto dall'art. 2901, comma primo n. 1, cod.civ. è sufficiente il mero dolo generico, e, cioè, la mera previsione, da parte del debitore, del pregiudizio dei creditori, e non è, quindi, necessaria la ricorrenza del dolo specifico, e, cioè, la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni del creditore. Trattandosi di un atteggiamento soggettivo, tale elemento psicologico va provato dal soggetto che lo allega e può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione. (Sez. 3, Sentenza n. 24757 del 07/10/2008). Nel caso, pertanto, alla stregua degli atti processuali e della conoscenza da parte del Lascialfari del proprio comportamento dolosamente preordinato al proprio vantaggio e del procedimento penale in atto deve ritenersi provato sia il consilium fraudis che l’eventus damni. Quest’ultimo, tra l’altro, è insito nel fatto che qualsiasi sottrazione di beni, vista l’entità rilevante delle somme da risarcire, è nel caso, di per sé di pregiudizio al creditore per la soddisfazione del credito. Tra l’altro, l’immobile trasferito alla moglie, come risulta anche a pag. 13 della sentenza, era l’unico rimasto libero da pesi nell’ambito del patrimonio del Lascailfari.
D’altro canto la Cassazione (Sez. 3, Sentenza n. 27718 del 16/12/2005) ha affermato, in un caso di beni ceduti al coniuge, contestualmente al mutamento del regime patrimoniale di comunione in quello di separazione, che le condizioni per l'esercizio dell'azione revocatoria ordinaria consistono nell'esistenza di un valido rapporto di credito tra il creditore che agisce in revocatoria e il debitore disponente, nell'effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore dell'atto traslativo, e nella ricorrenza, in capo al debitore, ed eventualmente in capo al terzo, della consapevolezza che, con l'atto di disposizione, venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori.
Quanto alla dedotta mancanza della partecipatio fraudis della sig.ra Dini nella compravendita si osserva che la sentenza di primo grado ha correttamente motivato anche al riguardo (pag. 15-17) e questo Collegio condivide le motivazioni ivi esposte. Si rileva, al riguardo, che l’esistenza di un grave procedimento penale in corso relativo a fatti coinvolgenti un Comune di piccole dimensioni quale quello di Pescia ove si trova anche l’immobile di cui trattasi di proprietà dei coniugi, non poteva essere ignorato nell’ambito familiare. Infatti la Cassazione (Sez. 3, Sentenza n. 7452 del 05/06/2000) ha affermato che, in tema di azione revocatoria ordinaria, allorché l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, l'unica condizione per l'esercizio della stessa è che il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio per le ragioni del creditore, e, trattandosi di atto a titolo oneroso, che di esso fosse consapevole il terzo. La prova di tale atteggiamento soggettivo ben può essere fornita tramite presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato ed immune da vizi logici e giuridici.
D’altro canto le motivazioni dedotte di un mero interesse morale della Dini a regolarizzare la situazione con la propria madre, non si appalesano convincenti, dopo oltre 25 anni di matrimonio tra i coniugi, se non nella considerazione che la conoscenza della situazione debitoria del Lascialfari, in relazione al procedimento penale in corso, fosse nota sia alla madre che alla figlia e che l’atto fosse finalizzato proprio a sottrarre il bene alla garanzia patrimoniale.
Si annota, infine, che, nell’atto di citazione a pag. 37 e 38, il Procuratore regionale, non contraddetto dalle parti, anzi la tesi è stata ammessa e confermata oggi in udienza dall’avvocato difensore, osserva che il corrispettivo dell’atto di compravendita “non è dato sapere come e quando pagato” e che, quindi, l’atto stesso è a titolo gratuito e non oneroso e ciò rende addirittura superflua la pur provata partecipatio fraudis della Dini
Gli appelli sono, pertanto, infondati e, come tali da respingere.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte dei Conti – Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette
RIGETTA:
i giudizi di appello in epigrafe, riuniti in rito.
Le spese di giudizio, che si liquidano in €.163,86 (centosessantatre/86)seguono la soccombenza. Così deciso, in Roma, nella Camera di Consiglio del 21 giugno 2013.
Il Presidente Estensore
F.to Piera Maggi
Depositata in Segreteria il 5 novembre 2013
Il Direttore della Segreteria
F.to Dott. Massimo Biagi


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