martedì 8 luglio 2014

PROCESSO: ancora sull'ammissibilità delle prove atipiche (anche) nel processo amministrativo (Cons. St., Sez. VI, sentenza 30 giugno 2014, n. 3282).


PROCESSO: 
ancora sull'ammissibilità 
delle prove atipiche 
(anche) nel processo amministrativo
 (Cons. St., Sez. VI, 
sentenza 30 giugno 2014, n. 3282).


Massima

1. L'amministrazione che non abbia preso parte al giudizio svoltosi dinanzi al giudice penale che ha portato alla sentenza di assoluzione ex art. 652 co. 1 c.p.p., non è soggetta ad alcun vincolo di giudicato che le impedisca l’autonomo apprezzamento dei fatti oggetto degli impugnati provvedimenti da parte del g.a..
2. Da ciò deriva che il giudice amministrativo, in mancanza di un espresso divieto di legge e in ossequio al principio dell'atipicità delle prove, ben può utilizzare come fonte anche esclusiva del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale conclusosi con sentenza non esplicante autorità di giudicato nei confronti di tutte le parti della causa amministrativa e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purché le risultanze probatorie siano sottoposte a un autonomo vaglio critico svincolato dall'interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale, e purché la valutazione del materiale probatorio sia effettuata in modo globale e non frammentaria e limitata a singoli elementi di prova (Cons. St., Sez. IV, 5 aprile 2013, n. 1904).



Sentenza per esteso


INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6683 del 2003, proposto dal Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabio Maria Ferrari, Giacomo Pizza, Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo ed Anna Pulcini, con domicilio eletto presso il signor Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18; 
contro
Il signor Russo Salvatore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Velotti ed Edgardo Silvestro, con domicilio eletto presso il signor Carlo Iaccarino in Roma, Lungotevere Marzio, n. 3; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE IV, n. 4267/2002, resa tra le parti, concernente la demolizione di opere abusive su suolo pubblico.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Pizza e Saporito;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. In accoglimento dei ricorsi nn. 7370 del 1996 e 5807 del 1997, proposti al TAR per la Campania, il signor Russo Salvatore otteneva l’annullamento delle ordinanze sindacali del 24 settembre 1996 e dell’8 maggio 1997, con le quali, rispettivamente, il Comune di Napoli lo aveva diffidato a demolire le opere realizzate senza concessione e aveva ordinato il pagamento della somma di lire 51.014.811 per la demolizione d’ufficio realizzata delle opere anzidette.
2. Il primo giudice, in particolare:
a) riteneva fondato il primo motivo del ricorso n. 7370/96, con cui veniva dedotto che il ricorrente non avesse realizzato le opere abusive (che preesistevano all’inizio della locazione), in quanto i fatti erano stati accertati con la sentenza passata in giudicato del Pretore di Napoli n. 17112/77, perché all’epoca della loro realizzazione l’originario ricorrente non aveva ancora assunto in locazione l’immobile;
b) assorbiva le altre censure;
c) riteneva fondato anche il ricorso n. 5807/97, perché l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione comportava l’illegittimità derivata anche dell’ordinanza con cui si ordinava il pagamento delle somme per la demolizione eseguita d’ufficio.
3. Propone appello l’amministrazione comunale, che contesta le conclusioni alle quali giungeva il primo Giudice, sottolineando come la sentenza penale del Pretore penale di Napoli – richiamata dal TAR e al Comune non opponibile - avesse raggiunto conclusioni non condivisibili in ordine al coordinamento dell’epoca di realizzazione dei manufatti abusivi rispetto a quella di presa di locazione dell’immobile da parte dell’appellato non aveva in locazione l’immobile sulla base di prove testimoniali.
La ricostruzione svolta dal TAR sarebbe errata, perché già la delibera G.M. 15 dicembre 1972, n. 45, aveva assegnato in locazione l’immobile in questione al Russo dal 15 febbraio 1973 al 14 febbraio 1974. Il giudicato penale non potrebbe, inoltre, ritenersi vincolante per la p.a., perché non fondato su fatti certi e comunque perché la p.a. non ha acquisito la qualità di parte nel corso del relativo processo.
In ogni caso, il Russo sarebbe stato il detentore delle opere, al quale legittimamente la p.a. aveva chiesto il ripristino.
4. Costituitosi in giudizio, l’odierno appellato:
a) contesta le deduzioni dell’appellante, rilevando che sarebbe stato lo stesso teste Ruggiero, ritenuto attendibile dal Pretore, che aveva denunciato l’abuso, ad aver affermato che il Russo all’epoca non aveva in locazione l’immobile; ed inoltre, il sopralluogo effettuato nel 1975 dal vigile Montesano aveva attestato che le opere erano ‘molto vecchie’, quindi sicuramente risalenti rispetto al 1973-1974;
b) ripropone i motivi assorbiti: I) violazione degli artt. 4 e 7, l. 47 del 1985, perché non sarebbe stato assegnato il termine di 90 giorni, pur se le opere non erano state appena iniziate; II) vi sarebbe difetto di istruttoria, facendosi riferimento ad un sopralluogo avvenuto senza contraddittorio ed in epoca imprecisata; III) difetto di motivazione per non essere stato indicato l’interesse pubblico prevalente; IV) illegittimità dell’ordinanza di diffida a demolire, per aver assegnato il termine incongruo di dieci giorni; V) violazione dell’art. 27, l. 47 del 1985, essendo mancata la valutazione tecnico-economica a monte dell’ordinanza di demolizione; VI) difetto di motivazione sugli effetti economici per l’interessato; VII) risarcimento del danno a seguito della demolizione per il calo del fatturato e per la chiusura dell’attività nel 2000; c) dichiara di riproporre i motivi assorbiti contenuti nel ricorso 5807/97 senza, però, esporli.
5. Con memoria successiva, l’amministrazione appellante reitera le proprie conclusioni e sottolinea tra l’altro che dalla nota della Direzione Patrimonio del 6 marzo 1985, si evincerebbe che il Russo ha preso possesso dell’area locatagli dal 15 febbraio 1973 e che la sentenza non sarebbe stata appellata dal Russo nella parte in cui sancisce l’abusività delle opere, né nella parte in cui non concede il risarcimento del danno.
All’udienza del 29 aprile 2014, la causa è stata trattenuta per la decisione.
6. L’appello è fondato e va accolto.
7. Va preliminarmente rammentato come ai sensi dell’art. 652, comma 1, c.p.p.: “La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l'azione in sede civile a norma dell'articolo 75, comma 2”.
Pertanto, poiché l’amministrazione non ha preso parte al giudizio svoltosi dinanzi al Pretore penale di Napoli che ha portato alla sentenza di assoluzione n. 17112/77, non vi è un vincolo di giudicato che impedisce l’autonomo apprezzamento dei fatti oggetto degli impugnati provvedimenti da parte del g.a.
Da ciò deriva che il giudice amministrativo, in mancanza di un espresso divieto di legge e in ossequio al principio dell'atipicità delle prove, ben può utilizzare come fonte anche esclusiva del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale conclusosi con sentenza non esplicante autorità di giudicato nei confronti di tutte le parti della causa amministrativa e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purché le risultanze probatorie siano sottoposte a un autonomo vaglio critico svincolato dall'interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale, e purché la valutazione del materiale probatorio sia effettuata in modo globale e non frammentaria e limitata a singoli elementi di prova (Cons. St., Sez. IV, 5 aprile 2013, n. 1904).
7.1. Nella fattispecie occorre coordinare le dichiarazioni rese dal teste Ruggero Domenico, richiamate dal Pretore Penale nella sentenza citata, con il contenuto della deliberazione della Giunta municipale di Napoli del 15 dicembre 1972.
Le prime, infatti, riferiscono che gli abusi sono stati realizzati negli anni 1973-1974, ma che il Russo non aveva in locazione al tempo i beni in questione. La seconda, invece, accoglie la domanda avanzata dall’originario ricorrente di ottenere in locazione a far data dal 15 febbraio 1973, un’immobile sito in Napoli alla via E. De Nicola, n. 51, per la superficie di mq. 282, a fronte di un’occupazione effettiva da parte del sig. Russo di 493 mq, sulla quale venivano realizzati gli abusi. Appare evidente come l’accertamento in ordine alla datazione dell’inizio della locazione contenuto nella citata deliberazione della Giunta municipale debba prevalere sulle affermazioni del teste Ruggero Domenico, che appare quale mero quivis de populo, non trovandosi rispetto al bene in questione in alcuna posizione qualificata e, pertanto, la sua ricostruzione circa l’inizio della locazione da parte dell’originario ricorrente non possa ritenersi corretta e comunque prevalente rispetto agli elementi desumibili da atti formali dell’amministrazione.
7.2. Fondata, pertanto, risulta la ricostruzione dell’amministrazione appellante, che impone la riforma sotto questo profilo della sentenza oggetto di gravame.
Né appare rilevante che il vigile urbano Montesano, quale teste nel processo penale più volte citato, abbia dichiarato che le opere fossero ‘vecchie’, non trattandosi di una indicazione circostanziata, né proveniente da un soggetto qualificato.
Dall’esclusione della sussistenza del vizio di legittimità deriva anche l’assenza del vizio di invalidità derivata a danno dell’ordinanza n. 685/UOA dell’8 maggio 1997, con cui si ordina il pagamento della somma di lire 51.014.811 per la demolizione realizzata dal Comune.
8. Restano da esaminare i motivi assorbiti dal primo Giudice, nessuno dei quali, però, risulta fondato.
8.1. Occorre sul punto premettere che non possono essere esaminati quelli del ricorso n. 5807/97, non risultando sufficiente per sottoporli allo scrutinio in questa sede la formula di stile contenuta nell’atto di costituzione dell’appellato, atteso che, come chiarito a più riprese dalla giurisprudenza di questo Consiglio: “L'esame dei motivi assorbiti in primo grado è consentito al giudice di appello solo se sia intervenuta un'apposita iniziativa della parte interessata che li richiami espressamente, giacché l'onere di riproposizione dei motivi assorbiti esige, per il suo rituale assolvimento, che la parte appellata indichi specificatamente le censure che intende devolvere alla cognizione del giudice di secondo grado, all'evidente fine di consentire a quest'ultimo una compiuta conoscenza delle relative questioni ed alle controparti di contraddire consapevolmente sulle stesse; pertanto, un indeterminato rinvio agli atti di primo grado, senza alcuna ulteriore precisazione del loro contenuto, si rivela inidoneo ad introdurre nel giudizio d'appello i motivi in tal modo dedotti, trattandosi di formula di stile insufficiente a soddisfare l'onere di "espressa" riproposizione” (Cons. St., Sez. III, 6 giugno 2011, n. 3371).
8.2. Vanno, invece, esaminati i motivi assorbiti di cui al ricorso n. 7370/96, che risultano infondati.
Ed infatti, erroneo è il richiamo alla mancata indicazione del termine di 90 giorni per operare la demolizione, giacché nella fattispecie gli abusi sono stati realizzati su un bene di proprietà del Comune, pertanto non si applica il termine di 90 giorni – fissato dalla legge per il proprietario che abbia l’obbligo di demolire e la cui violazione, anche se la demolizione sia posta in essere successivamente, comporta come conseguenza l’acquisizione gratuita dell’area di sedime al patrimonio del comune.
D’altra parte, neppure l’interessato a suo tempo ha segnalato all’amministrazione la sua impossibilità di effettuare la demolizione entro il termine fissato dal provvedimento, né ha chiesto la sua proroga.
8.3. Allo stesso modo, infondata è la censura con la quale si deduce il difetto di istruttoria e l’assenza di contraddittorio, giacché il carattere abusivo delle opere realizzate non è in contestazione, ed emerge chiaramente dagli atti prodotti dall’amministrazione comunale, ed è stata riconosciuta anche dalla citata sentenza del Pretore penale di Napoli, sicché non si ravvisa alcun vulnus alle facoltà partecipative dell’originario ricorrente al correlato procedimento.
8.4. Ancora destituita di fondamento è la doglianza con la quale si contesta il difetto di motivazione per non essere stato indicato l’interesse pubblico prevalente.
Infatti, secondo l’orientamento costante di questo Consiglio, l'ordine di demolizione dell'abuso edilizio, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia, è atto vincolato alla constatata abusività, che non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d'interesse pubblico né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione circa la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione d'illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto (ex multis, Cons. St, Sez. VI, 24 maggio 2013, n. 2873).
Né l’originario ricorrente si può dolere del ritardo con cui è stato emanato il provvedimento di demolizione, che ha consentito a suo vantaggio la perdurante illegittima utilizzazione del bene realizzato sine titulo.
8.5. Neppure può convenirsi con l’originario ricorrente, quando sostiene la presenza di un deficit motivazionale per le conseguenze economiche che i provvedimenti impugnati avrebbero avuto, anche in ragione del lasso di tempo intercorso.
Al contrario, quando risulta la realizzazione di un immobile abusivo e la mancata emanazione in precedenza del provvedimento di demolizione, il funzionario pro tempore competente non deve farsi carico di indagare sulle ragioni del ritardo e sul se vi sia stata una illecita connivenza dei suoi predecessori nella mancata repressione dell’abuso, ma deve senza indugio emettere l’ordinanza di demolizione, in assenza della quale – alla responsabilità di coloro che non hanno compiuto il loro dovere – si aggiungerebbe la sua personale responsabilità.
8.6. Da respingere sono le due residue censure con le quali si sostiene la violazione del comma 1, dell’art. 27, l. 47 del 1985, secondo il quale: “In tutti i casi in cui la demolizione deve avvenire a cura del comune, essa è disposta dal sindaco su valutazione tecnico-economica approvata dalla giunta comunale”.
Si tratta di una disposizione che, come evidente, riguarda l’aspetto meramente esecutivo del provvedimento, ogni qual volta debba essere operata d’ufficio, e della quale il ricorrente non può in alcun modo valersi, non tutelando nemmeno mediatamente i propri interessi.
Allo stesso modo infondata è la deduzione di incongruità del termine di dieci giorni, non risultando alcuna dimostrazione tecnica da parte dell’appellato di una simile valutazione, per di più essendo mancata una sua istanza volta ad ottenere un più ampio termine.
8.7. La richiesta di risarcimento del danno, infine, va disattesa, in ragione della rilevata legittimità dei provvedimenti impugnati e dell’assenza di una condotta illecita ascrivibile in capo all’amministrazione comunale (che, peraltro, non ha formulato una domanda riconvenzionale nel corso del presente giudizio).
9. Va pertanto accolto l’appello in esame, con ciò che ne consegue in termini di riforma della sentenza di primo grado e di reiezione dei ricorsi proposti dinanzi al TAR per la Campania.
10, Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 6683 del 2003, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge i ricorsi di primo grado.
Condanna il signor Russo Salvatore al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio che liquida in 3.000,00 (tremila/00) euro, oltre gli accessori di legge, a favore del Comune di Napoli, nonché alla restituzione del contributo unificato a suo tempo versato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 30/06/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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