domenica 6 luglio 2014

PROCESSO: l'insindacabilità della compensazione delle spese processuali (Cons. St., Sez. III, sentenza 13 marzo 2014, n. 1160).

PROCESSO:
 l'insindacabilità 
della compensazione delle spese processuali 
(Cons. St., Sez. III, 
sentenza 13 marzo 2014, n. 1160).


Massima

1. Costituisce principio consolidato quello alla stregua del quale il giudice di primo grado è titolare di un proprio potere discrezionale per valutare ogni elemento al fine di emettere la statuizione relativa, espressione di un ampio potere valutativo dello stesso giudice di primo grado sostanzialmente sottratto al sindacato del giudice d'appello, salva l'ipotesi di macroscopica irragionevolezza od illogicità; ipotesi, questa, non ricorrente nel caso in esame, attesa la circostanza che l'accoglimento del ricorso è stato parziale, con conseguente sua reiezione altrettanto parziale; circostanza che risulta di per sé idonea ragione giustificatrice della disposta compensazione.
2. Nella detta compensazione non può ritenersi compresa anche la restituzione del contributo unificato, stante comunque il predetto accoglimento, sia pur nei precisati limiti, tenuto conto che il contributo in questione è oggetto di una obbligazione ex lege sottratta alla potestà del giudice, sia quanto alla possibilità di disporne la compensazione, sia quanto alla determinazione del suo ammontare.

Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3825 del 2008, proposto da:
Angioy Paolo, rappresentato e difeso dall'avv. Raffaele Porpora, con domicilio eletto presso l’avv. Raffaele Porpora in Roma, via della Giuliana n. 74; 
contro
Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Roma, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I TER n. 00869/2008, resa tra le parti, concernente divieto detenzione armi munizioni e materiale esplodente

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno ed Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Roma;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 gennaio 2014 il Cons. Angelica Dell'Utri e uditi per la parte appellante l’avv. Merlo su delega di Porpora;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Con atto inoltrato per la notifica il 19 aprile 2008 e depositato il 9 maggio seguente il signor Paolo Angioy, Ufficiale superiore della Marina Militare in ausiliaria, ha appellato la sentenza 1° febbraio 2008 n. 869 del TAR per il Lazio, sede di Roma, sezione prima ter, notificata il 21 febbraio 2008, con la quale è stato solo in parte accolto il suo ricorso avverso il d.m. 16 dicembre 2004, di reiezione del ricorso gerarchico avente ad oggetto il decreto prefettizio in data 21 gennaio 2004, di divieto di detenzione di armi e munizioni, e per il risarcimento del danno.
Più precisamente, la domanda annullatoria è stata accolta, mentre quella risarcitoria è stata dichiarata inammissibile per genericità del contenuto, rilevandosi che “il ricorrente si è semplicemente limitato ad invocare un risarcimento qualunque secondo provvedimenti e valutazioni di tipo equitativo, senza fornire una – pur parziale – prova della sussistenza dei presupposti della domanda e, in particolare, dell’esistenza di un danno giuridicamente rilevante”. È stata disposta la compensazione delle spese di causa.
A sostegno dell’appello il signor Angioy ha lamentato essergli stata denegata la tutela prevista dall’art. 24 Cost. e, segnatamente, dall’art. 2907 cod. civ., nonostante la precisa allegazione dei fatti (quali la privazione coatta delle armi, comprese la propria sciabola di ordinanza ed armi antiche), da porre a fondamento della decisione secondo nozioni di comune esperienza; e senza, peraltro, che nel dispositivo sia riportata la declaratoria di inammissibilità; ha altresì lamentato la mancata condanna dell’Amministrazione al pagamento delle pur gravose spese di causa, compreso il contributo unificato, ancorché egli sia risultato vittorioso. Ha perciò dedotto:
1.- Erronea valutazione e pregiudizievole interpretazione degli artt. 19 ss. l. n. 1034/1971 combinati con l’art. 26 ss. del r.d. n. 642/1907, alla luce del d.lgs. n. 80/1998 e della l. 205/00. Violazione dell’art. 2907 c.c. nell’ambito dell’esercizio della giurisdizione a’ sensi dell’art. 24 Cost.
II.- Violazione dell’art. 11 Cost. combinato con gli artt. 24, 102 e 103 stessa Carta. Falsa applicazione dell’art. 19 l. 1034/71 e dell’art. 7 l. 205/00 al cospetto delle pacifiche risultanze del medesimo decisum caratterizzato da esclusiva giurisdizione. Diniego di giustizia per falsa applicazione degli artt. 2043 cod. civ. e 112 e 279 c.p.c. Erronea interpretazione dell’art. 115/11 c.p.c. e penalizzante invocazione di inadeguata giurisprudenza amministrativa.
III.- Falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. novellato, combinato con l’art. 19 l. 1051/74. Violazione dell’art. 111 Cost. e falsa applicazione dell’art. 90 c.p.c. e falsa connessa applicazione dell’art. 13 ss. d.lgs. n. 113/02.
L’appellante ha concluso chiedendo la parziale riforma della sentenza gravata nel senso dell’accertamento della sussistenza del danno da perdita temporanea di godimento di beni pregiati per fatto illecito, irrazionale ed arbitrario delle Amministrazioni resistenti, con conseguente condanna delle medesime con vincolo di solidarietà al risarcimento nella misura di € 2,00 al giorno, ovvero a quella minor somma ritenuta di giustizia, con interessi come per legge, oltreché alla rifusione integrale delle spese processuali di I grado in misura di almeno € 5.845,45 alla data del 5 luglio 2007 o, in via subordine, con compensazione nella misura di un quarto o nella diversa misura di giustizia, nonché la condanna delle dette Amministrazioni alla rifusione integrale delle spese del presente grado secondo separata nota.
In data 19 dicembre 2013 l’appellante ha prodotto documenti e con memoria del 23 seguente ha insistito nelle proprie tesi e richieste.
Parte appellata si è costituita in giudizio presso la Segreteria sezionale il 30 gennaio 2014, data dell’udienza pubblica in cui l’appello è stato introitato in decisione.
Ciò posto, la Sezione rileva che in primo grado l’attuale appellante illustrava la domanda risarcitoria, formulata nell’epigrafe dell’atto introduttivo, allegando danni patrimoniali e non patrimoniali “allo stato indeterminabili”, perciò da riconoscersi “in forma forfettaria” ed includenti “comunque, quel danno da ritardo procedimentale, cioè da mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento amministrativo, nonché della alquanto tardiva ed inspiegabilmente duplice comunicazione della qui contestata negativa conclusione del ricorso amministrativo” (pag. 20 dell’atto introduttivo del giudizio).
La domanda era ribadita nelle conclusioni, laddove chiedeva condannarsi l’Amministrazione “ai risarcimenti secondo provvedimenti e valutazioni di tipi equitativo” allegando la “illegittimità e l’illiceità del comportamento della P.A., antecedente il ricorso amministrativo e successivo al ricorso amministrativo, tanto che perfino l’Ufficio del Pubblico Ministero competente ha censurato l’operato degli Operanti, i quali hanno asportato i beni a carico di una persona sottoposta a indagini senza la previa adozione della misura cautelare reale, così violando anche la legge processuale”.
In sostanza, in tal modo si è limitato a lamentare genericamente di aver subito danni ed a sostenere la sussistenza dell’eventuale elemento soggettivo del preteso illecito, peraltro riferendosi in primo luogo al comportamento della polizia giudiziaria e solo in secondo luogo ai provvedimenti impugnati, senza precisare alcunché sulla tipologia e sull’effettività dei pregiudizi che avrebbe subito, se non che si tratterebbe di pregiudizi patrimoniali ed anche non patrimoniali, oltreché sulla quantificazione dei medesimi. In altri termini, nel quadro dell’assunto illecito extracontrattuale ex art. 2043, in cui vige comunque la regola di principio ex art 2687 secondo la quale grava su colui che avanza la pretesa l'onere di provare tutti gli elementi costituivi di tale illecito, il signor Angioy ha quanto meno omesso di rappresentare circostanze incontroverse e di svolgere allegazioni sufficienti a costituire prova di una serie concatenata di fatti noti avente i requisiti della gravità, precisione e concordanza, ossia del fatto-base dal quale sia agevole inferire il fatto-conseguenza del pregiudizio lamentato, sia pur mediante ricorso alle presunzioni, vale a dire secondo regole di esperienza consistenti in tecniche di apprezzamento dei fatti di carattere generale derivanti dall’osservazione reiterata di fenomeni naturali e socioeconomici.
Ed invero, la semplice privazione per un determinato periodo di tempo della detenzione di beni improduttivi, sia pur di valore anche affettivo, senza che ne siano minimamente definiti e chiariti gli effetti sul piano patrimoniale e su quello non patrimoniale, non è idonea a consistere nel predetto fatto-base nei sensi precisati appena sopra.
Ne consegue che giustamente il primo giudice ha disatteso la domanda in quanto generica del contenuto. Ovviamente, non sono utili ad integrare la domanda originaria le allegazioni ed argomentazioni svolte unicamente in questa sede, quindi in violazione del divieto di ius novorum posto dall’art. 104 cod. proc. amm..
Quando alla mancanza nel dispositivo della declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria, la censura ha mero carattere formale ed è priva di rilievo sostanziale, dal momento che, nell’accogliere il ricorso “nei sensi e nei limiti di cui in motivazione”, il TAR ha rinviato a quanto ivi precisato, ossia “il ricorso va accolto (…) in relazione all’impugnativa del divieto di detenzione di armi e munizioni, che va conseguentemente annullato, e respinto per quanto concerne la domanda di risarcimento del danno”. Non si tratta, quindi, di omissione di pronuncia, che comunque non comporterebbe di per sé la riforma della sentenza, stante l’effetto devolutivo dell’appello e la possibilità che in sede di appello si pervenga – com’è nella specie per quanto sopra - alla stessa conclusione sostanziale.
Infine, quanto alla contestata compensazione delle spese, è ben noto che il giudice di primo grado è titolare di un proprio potere discrezionale per valutare ogni elemento al fine di emettere la statuizione relativa, espressione di un ampio potere valutativo dello stesso giudice di primo grado sostanzialmente sottratto al sindacato del giudice d'appello, salva l'ipotesi di macroscopica irragionevolezza od illogicità; ipotesi, questa, non ricorrente nel caso in esame, attesa la circostanza che l'accoglimento del ricorso è stato parziale, con conseguente sua reiezione altrettanto parziale; circostanza che risulta di per sé idonea ragione giustificatrice della disposta compensazione (cfr., tra le più recenti, Cons. St., sez. IV, 21 agosto 2013 n. 4203).
Giova, peraltro, precisare che nella detta compensazione non può ritenersi compresa anche la restituzione del contributo unificato, stante comunque il predetto accoglimento, sia pur nei precisati limiti, tenuto conto che il contributo in questione, ai sensi del co. 6 bis (ora comma 6-bis.1) dell'art. 13 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotta dall'art. 2, co. 35 bis, lett. e), del d.l. 13 agosto 2011 n. 138, come integrato dalla legge di conversione 14 settembre 2011 n. 148, è oggetto di una obbligazione ex lege sottratta alla potestà del giudice, sia quanto alla possibilità di disporne la compensazione, sia quanto alla determinazione del suo ammontare, sicché comunque fa carico all’Amministrazione dell’Interno, senza che occorresse alcuna pronuncia in merito da parte del TAR (vedasi anche la sentenza di questa Sezione n. 4596/2011)
Conclusivamente, l’appello dev’essere respinto. Tuttavia, in relazione alla tardiva costituzione di controparte ed all’assenza di difese della medesima, si ravvisano ragioni affinché possa essere disposta la compensazione delle spese del grado.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge il medesimo appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Michele Corradino, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Angelica Dell'Utri, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/03/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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