"MEMOIRES D'UN JURISTE":
la battaglia di Calamandrei
per l'unicità della giurisdizione
nei lavori della Costituente
(seduta 9 gennaio 1947)
Tutto il dibattito sull'art. 103 della Costituzione in seno all'Assemblea Costituente lo trovate in questo meritorio sito.
Si può riformare tutto, ma purché prima vi sia un serio dibattito, idee chiare e giudizi ponderati, oltre che tecnici ed imparziali.
Tutta merce molto rara nel panorama politico e politico-giuridico italiano di oggi.
[Il 9 gennaio 1947, nella seduta pomeridiana, la seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul potere giudiziario.]
Il Presidente Conti prega
l'onorevole Calamandrei di riferire sulle Sezioni giurisdizionali del Consiglio
di Stato.
Calamandrei, Relatore, aggiungerebbe
all'articolo relativo alla revisione, entro 5 anni, degli organi speciali di
giurisdizione, il seguente capoverso:
«Nello stesso termine si procederà a trasformare
le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, la Giunta provinciale
amministrativa, la Corte dei conti in funzione giurisdizionale e le Commissioni
del contenzioso tributario in sezioni specializzate degli organi ordinari,
includendo le norme ad esse relative nella legge sull'ordinamento giudiziario».
Dirà, il più brevemente possibile, le ragioni per
cui è favorevole alla abolizione delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di
Stato.
Richiama
innanzi tutto l'attenzione dei colleghi sul fatto che la questione, oltre che
dal punto di vista dell'ingerenza del potere esecutivo nelle funzioni
giudiziarie, deve essere esaminata dal punto di vista dell'ingerenza che il
potere giudiziario può esercitare nelle funzioni amministrative. Si tratta
quindi anche di un problema di rapporti tra il potere esecutivo e quello
giudiziario. Il regolamento di questi rapporti — poiché nella Costituzione non
può farsi senz'altro rinvio alla legge 31 marzo 1865, che abolì il contenzioso
amministrativo — qualunque sia la soluzione che si voglia attuare, dovrà essere
definito da un apposito articolo che riproduca le soluzioni adottate da quella
legge.
Fatta
questa premessa, afferma che se il Consiglio di Stato ha finora funzionato
bene, anche nelle sue Sezioni giurisdizionali, ciò si è dovuto, a suo avviso,
principalmente al fatto che questo istituto si è andato formando attraverso
tempi e circostanze successive, per rispondere di volta in volta alle esigenze
che si presentavano. Per questo motivo non è un organo disciplinato in maniera
armonica, simmetrica e razionale, ma un organo venuto su come una vecchia casa
che fosse stata a mano a mano riattata e ampliata per rispondere alle nuove
necessità della famiglia.
Dovendosi
rifare la Costituzione dello Stato, anche sotto questo punto di vista, crede
che non sarebbe male ricostituire l'istituto in base a criteri più razionali e,
considerando esaurite le ragioni storiche per cui erano state create le sue
Sezioni giurisdizionali, trasferire alla Magistratura ordinaria le funzioni che
quelle hanno finora adempiuto.
Facendo
una cronistoria del Consiglio di Stato, ricorda che, abolito con la legge 31
marzo 1865 il foro privilegiato istituito a favore della pubblica Amministrazione,
e stabilito il principio della giurisdizione unica, dopo qualche decennio si
cominciò a sentire la necessità di avere, oltre la tutela giurisdizionale,
anche una tutela di legalità nei confronti della pubblica Amministrazione, per
impedire qualsiasi violazione di legge. Si cominciò, cioè, a vedere che, se da
un lato vi sono leggi che mirano a garantire interessi individuali, per
trasformarli in diritti soggettivi, vi sono, d'altro lato, leggi fatte
nell'interesse della collettività e per il buon funzionamento della pubblica
Amministrazione. Lasciando alla tutela giurisdizionale soltanto i casi in cui
fosse in giuoco la lesione di un diritto civile o politico, rimaneva priva di
tutela l'attività amministrativa nella quale poteva verificarsi da parte dell'Amministrazione
la violazione di norme poste non nell'interesse individuale, ma nell'interesse
collettivo. Così, per tutelare i cittadini da qualsiasi arbitrio
dell'Amministrazione, si arrivò alla creazione della IV Sezione del Consiglio
di Stato, la quale ebbe il potere di annullare gli atti amministrativi che,
indipendentemente dalla violazione di un diritto soggettivo, apparissero
illegittimi. Tra i vari sistemi escogitati per stabilire la persona o l'ente
che doveva mettere in moto il potere di annullamento del Consiglio di Stato, si
pensò di usare, come organo promotore, l'interesse del cittadino che si
trovasse personalmente leso non in un suo diritto, ma in un semplice interesse,
il quale veniva in tal modo a trovare — come corrispettivo del servizio che
rendeva all'interesse pubblico — una sua particolare tutela. Così sorse la IV
Sezione del Consiglio di Stato, a cui si aggiunse nel 1907, con funzione in
parte analoga, la V Sezione.
In
un primo momento, la funzione di queste due Sezioni non fu generalmente
considerata come giurisdizionale, ma fu ritenuta come un controllo
amministrativo, sia pure avente certe forme di contraddittorio, appunto perché
non si ammetteva che organi giudiziari potessero arrogarsi il potere di
annullare atti amministrativi. La legge sull'abolizione del contenzioso
amministrativo aveva, infatti, fissato il principio che anche quando un atto
amministrativo ledeva un vero e proprio diritto soggettivo, l'autorità
giudiziaria ordinaria dovesse limitarsi a constatare la lesione, condannando
eventualmente ai danni, ma non potesse annullare l'atto amministrativo. Quando,
poi, con la legge del 1889, che creò la IV Sezione, si ammise la possibilità di
annullamento degli atti amministrativi, si cercò di giustificarla con
l'affermazione che quella Sezione non era un organo giudiziario, ma una
espressione della stessa pubblica Amministrazione.
A
poco a poco, tuttavia, si vide che le funzioni della IV e V Sezione non erano
amministrative, ma giurisdizionali. Questa realtà, affermata prima dalla
dottrina, fu consacrata poi dalla legge del 1907, che riconobbe ad esse la
denominazione di «Sezioni giurisdizionali». Da allora, nessuno più dubita che
queste due Sezioni siano veri e propri organi giudiziari, ammettendosi così
implicitamente ciò che nel 1865 sembrava una enormità, ossia che un organo
giudiziario, com'è il Consiglio di Stato in funzione giurisdizionale, possa
annullare un atto amministrativo.
L'evoluzione
delle Sezioni del Consiglio di Stato da organi para-amministrativi in veri e propri
organi giurisdizionali, porta oggi come conseguenza, secondo quanto è richiesto
dal Consiglio di Stato stesso, che ai magistrati che compongono la IV e la V
Sezione si diano le stesse garanzie di nomina, di indipendenza e di
inamovibilità e che saranno date ai magistrati ordinari. Ora, se si ritiene che
non si possano avere delle garanzie assolute di indipendenza, se non attraverso
il sistema di moderato autogoverno che si sta escogitando per la Magistratura
ordinaria, non vede come si potrebbe dare al Consiglio di Stato quello stesso
complesso di garanzie, se non trasformando le attuali sue Sezioni
giurisdizionali in sezioni specializzate dell'ordinamento giudiziario
ordinario.
All'adozione
di questa soluzione ritiene si possa obiettare che le questioni attinenti alla
legittimità degli atti amministrativi, di competenza delle Sezioni
giurisdizionali, possono essere risolte in maniera idonea soltanto da
magistrati che abbiano una preparazione specializzata, come sono appunto i
consiglieri delle Sezioni giurisdizionali che, prima di arrivare a quel posto,
hanno compiuto un lungo tirocinio attraverso l'esercizio delle funzioni
consultive. Ma a questa obiezione, di cui riconosce il valore, risponde che,
qualora si creassero delle sezioni specializzate degli organi giudiziari
ordinari, nulla vieterebbe che in queste fossero immessi dei magistrati che
avessero compiuto il loro tirocinio nel Consiglio di Stato. Per rendere
possibile questo passaggio, nell'articolo 20-bis del suo progetto, aveva inserito la
seguente norma:
«Qualora per certi uffici della Magistratura sia
necessaria una preparazione apposita su determinate materie, possono essere
banditi concorsi per l'ammissione a questi uffici tra candidati forniti di
speciali titoli scientifici o professionali, o provenienti da altri uffici
pubblici».
Indipendentemente dalle ragioni storiche a cui ha
accennato, si domanda se fra queste funzioni giurisdizionali e quelle dei
giudici ordinari vi sia una demarcazione così netta da consigliare di
continuare a mantener separati gli organi che le esercitano. A suo giudizio tra
le due funzioni vi sono tali legami e tante sovrapposizioni di questioni che è
difficilissimo capire esattamente dove finisca il compito della Magistratura
ordinaria e dove cominci quello delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di
Stato. La differenza tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, infatti, va
diventando sempre più capillare e sottile. Una differenza sostanziale vi poteva
essere, quando vi era una netta distinzione tra il diritto pubblico e il
diritto privato; ma, quando, come avviene attualmente in una quantità sempre
maggiore di rapporti, gli istituti di diritto pubblico si vanno rivestendo di
carattere privato e in istituti che erano prima di puro interesse privato si va
sempre più infiltrando l'interesse collettivo, riesce difficilissimo vedere fin
dove arrivi il diritto soggettivo e dove invece cominci l'interesse
occasionalmente protetto.
La
difficoltà di arrivare a distinguere tra queste due competenze, è stata
talmente riconosciuta nella pratica, che ad un certo momento, con una legge del
1923, si è incominciato ad assegnare al Consiglio di Stato anche la tutela di
alcuni diritti soggettivi che avrebbe dovuto rientrare nella competenza della
autorità giudiziaria ordinaria. Ciò è avvenuto sopra tutto nel campo del
pubblico impiego, dove è difficilissimo sapere quando l'impiegato abbia un
diritto la cui tutela spetti ai giudici ordinari e quando trattisi di un
interesse che invece debba essere portato dinanzi al Consiglio di Stato.
Un
altro inconveniente può sorgere inoltre in relazione alla eventualità che una
stessa questione, a seconda del modo con cui venga configurata, possa essere
portata avanti all'Autorità giudiziaria ordinaria o alle Sezioni
giurisdizionali del Consiglio di Stato, con la conseguenza di una eventuale
disformità di decisioni. A suo parere, invece, tutti gli inconvenienti
potrebbero essere eliminati il giorno in cui le Sezioni giurisdizionali del
Consiglio di Stato diventassero sezioni specializzate degli organi giudiziari
ordinari, con la competenza a risolvere tutte le controversie fra i cittadini e
la pubblica Amministrazione.
Ribadisce,
infine, il concetto che, in relazione alla sempre maggiore portata che assumono
i riflessi pubblicistici in quasi tutte le questioni, tanto da divenire da
eccezioni, come erano nel 1876 e 1889, quasi una vera e propria regola, le
Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato devono considerare come esaurito
storicamente il loro compito.
Per
la Corte dei conti non ritiene opportuno dilungarsi, in quanto la sua sorte
dovrà essere analoga a quella del Consiglio di Stato.
Bozzi ritiene che il Consiglio di Stato non abbia compiuto la sua
funzione storica e che abbia invece una sua precisa ragion d'essere.
Cominciando
dall'ultimo argomento dell'onorevole Calamandrei, la difficoltà cioè di
distinguere tra diritto e interesse, non può negare che questi due elementi
spesso si presentassero in una situazione di tale intima connessione che
effettivamente ne derivava una incertezza sul giudice che si doveva adire; ma
ricorda che nel 1923, con una legge che rappresenta la conclusione legislativa
di tutto un pensiero lungamente elaborato in tempi non fascisti, riconoscendosi
che in realtà si erano determinati rapporti per i quali la interferenza era
così intima che non conveniva fissare due giudici, si stabilì nei loro riguardi
la competenza esclusiva del Consiglio di Stato. Si veniva a creare così una
forma di attrazione giurisdizionale anomala, in quanto un giudice speciale
attraeva per determinate materie la competenza del giudice ordinario.
A
questo proposito desidera citare alcune cifre. Da una statistica dei ricorsi
presentati e decisi dalle due Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato
dal 1926 a tutto il 1945, risulta che su 27.608 ricorsi, vi sono state solo 428
dichiarazioni di incompetenza, numerose delle quali derivanti dalla
molteplicità delle giurisdizioni speciali e non da eventuali dubbiezze circa
l'interesse e il diritto. Questo sta a dimostrare che oggi i criteri distintivi
fra diritto e interesse sono abbastanza chiari, specialmente dopo la legge del
1923 che rappresenta in questo campo un vero e proprio punto fermo.
Tiene
poi a far rilevare all'onorevole Calamandrei che tutte le questioni ed
incertezze non si eliminerebbero con la creazione delle Sezioni specializzate
nella Magistratura ordinaria, perché in ogni caso i giudici specializzati
dovranno sempre compiere una indagine per sapere se si trovano di fronte ad un
interesse o di fronte ad un diritto.
La
vera ragione della necessità della sopravvivenza del Consiglio di Stato sta, a
suo avviso, nel fatto che le funzioni che esplicano le due Sezioni
giurisdizionali sono diverse da quelle che esplica il giudice ordinario.
Precisa anzi tutto che il Consiglio di Stato non ha mai tolto nulla al giudice
ordinario, che non ha avuto mai competenza in materia di interesse. Il giudice
ordinario, infatti, giudica solo di diritti, anche pubblici, subiettivi, e di
situazioni giuridiche nelle quali vi sia un conflitto fra due parti vincolate
da precise norme di legge. In questa situazione però trovasi alle volte anche
la pubblica Amministrazione e quindi si spiega la necessità del giudice
ordinario, che è il più idoneo a compiere i necessari accertamenti sul diritto
e sul dovere delle parti. La giurisdizione del Consiglio di Stato è dominata
invece dal criterio del pubblico interesse; non vi sono più un creditore e un
debitore in senso lato; qui si tratta di valutare la discrezionalità della
pubblica Amministrazione che nello svolgimento della sua attività libera, ma
tuttavia discrezionale (libertà, cioè, e non arbitrio), può ledere l'interesse
di un cittadino. In questo campo il giudice deve espletare una indagine
particolare, squisitissima, che è ben differente da quella che deve compiere
normalmente il giudice ordinario.
Non
ritiene poi assolutamente che la funzione del Consiglio di Stato si possa
assimilare a quella della Magistratura ordinaria, dove in una sezione
specializzata si avrebbe una forma di contaminazione del giudice togato il
quale, abituato all'applicazione rigida della legge civile e commerciale,
dovrebbe invece decidere in una materia nella quale domina la valutazione del
pubblico interesse. Potrebbe comprendere le Sezioni specializzate per le altre
giurisdizioni speciali — come ad esempio il Tribunale delle acque — nelle quali
si pongono problemi di carattere tecnico, ma non ne vede l'utilità per il
Consiglio di Stato, che opera in un campo diversissimo da tutte le altre
giurisdizioni speciali.
D'altra
parte, pone in evidenza che la giurisdizione del Consiglio di Stato, per la sua
particolare natura, non è costituita — come ha detto anche l'onorevole
Calamandrei — a tutela di diritti, ma a difesa dello Stato e dei cittadini
anche contro lo Stato. Per mezzo di essa, il cittadino diventa uno strumento
per l'attuazione di quella che con frase felicissima è stata detta «la
giustizia nell'amministrazione». È quindi lo Stato stesso che sente la
necessità di organizzare questa forma di controllo giurisdizionale per attuare
nel suo seno la giustizia nell'amministrazione, che è un problema essenziale di
ogni Stato veramente democratico. Crede di non esagerare, affermando che oggi
uno dei difetti fondamentali della politica è il difetto del sentimento di
legalità, che è limite e proporzione. Se l'Amministrazione erra nell'applicare
una norma, il Consiglio di Stato, valendosi dell'interesse individuale leso,
ripristina la situazione giuridica, reintegrando così, non solo la situazione
individuale, ma sopra tutto l'ordine giuridico leso e la legalità
nell'amministrazione. Questa è la funzione del Consiglio di Stato.
Nega
perciò che esso abbia esaurito il suo ciclo storico ed anzi è convinto che la
soppressione del Consiglio di Stato susciterebbe nella coscienza giuridica
nazionale una pessima impressione. Si potrebbe infatti pensare che quella che è
stata una conquista liberale-democratica di controllo della discrezionalità
dell'Amministrazione, a garanzia degli interessi dei cittadini, venga oggi
soppressa e portata nel gran mare della giurisdizione ordinaria, con la
necessaria prevalenza dei giudici togati, portati per la loro conformazione
mentale ad applicare rigidamente la legge anche in materia dove è necessario
invece contemperarne l'applicazione con la valutazione del pubblico interesse,
unendo cioè alla rigidità del giudice, quella che chiamerebbe la «duttilità
dell'amministratore».
D'altra
parte, bisogna tener conto che il Consiglio di Stato esplica un duplice ordine
di funzioni, cioè consultive e giurisdizionali. Secondo il suo punto di vista,
che è quello di illustri giuristi, queste funzioni diverse rappresentano due
manifestazioni di un'unica funzione, che non è suscettibile di divisione. In
altri termini, quando il Consiglio di Stato, nella sua funzione consultiva, dà
pareri al potere esecutivo, quando collabora col Governo dando l'apporto della
sua esperienza tecnico-amministrativa, già concorre in questa sua prima fase
preventiva a stabilire la giustizia nell'Amministrazione. La stessa funzione
esplica con diversi poteri e con diversa efficacia in sede successiva, quando
decide della legittimità degli atti amministrativi. Funzione unica, dunque,
complessa ed inscindibile, per quanto conformabile alle esigenze democratiche.
Sotto questo profilo ricorda che il Consiglio di Stato, in oltre cento anni di
vita, ha dimostrato veramente uno spirito notevole di adattamento. Nato come
Consiglio del Re nel 1831, come una forma limitativa del potere assoluto del
sovrano, si è andato successivamente adattando ai tempi, dimostrando sempre un
grande spirito di indipendenza, tanto da essere considerato come un modello al
quale si ispiravano anche Stati stranieri. Il modo come esso ha funzionato
potrebbe anche essere l'unico argomento a sua difesa. Infatti, come è stato da
tutti riconosciuto e come è stato affermato dall'onorevole Ambrosini, se questo
istituto ha sempre funzionato bene, se ha dato prova di indipendenza, se ha
concorso a mantenere la legalità nella pubblica Amministrazione, non vi è
alcuna necessità di portarvi un così profondo rinnovamento.
Anche
a questo proposito può citare alcune cifre significative. Nel periodo fascista
su 16.090 ricorsi decisi in merito — quindi, esclusi quelli respinti per
incompetenza, abbandonati, perenti, ecc. — ne sono stati accolti circa 10.000 e
respinti 6.000. Questo significa che per diecimila volte il Consiglio di Stato
ha annullato atti dell'Amministrazione, dando così una delle migliori
dimostrazioni di indipendenza.
Se
il tempo lo permettesse potrebbe ricordare qualcuna delle decisioni più importanti
e più coraggiose del Consiglio di Stato, specie in materia di razza, di stampa
e di insegnamento, prese anche nei periodi in cui il fascismo era più in auge.
A
suo modo di vedere, il problema essenziale non è quello di trasferire le
funzioni del Consiglio di Stato ad una sezione specializzata del giudice
ordinario, ma quello di considerare il Consiglio di Stato come l'organo di
controllo della pubblica Amministrazione. Lo Stato democratico ha bisogno di
organi di controllo indipendenti, perché in tanto un controllo è efficace, in
quanto l'organo che lo esercita è posto in una situazione di indipendenza
rispetto all'organo controllato.
Come
il Parlamento, pure accordando la sua fiducia al Governo, esercita un controllo
su di esso nell'attuazione della direzione politica e nelle manifestazioni
singole nelle quali tale direzione si attua, così, attraverso il Consiglio di
Stato, questo stesso organo, quale rappresentante del popolo e quindi
dell'interesse collettivo alla legalità dell'azione amministrativa, dovrebbe
esercitare anche un controllo sull'attività amministrativa del Governo. I
Consiglieri, i Presidenti di Sezioni ed il Presidente, anche se formalmente nominati
dal Presidente della Repubblica, dovrebbero essere designati dalle Camere. In
tal modo si darebbe veramente al Consiglio di Stato una struttura democratica e
si andrebbe verso la creazione di uno Stato di diritto, che rappresenta un
comune ideale.
Dichiara,
infine, che non sarebbe alieno dal concedere anche al potere giudiziario il
potere di annullamento di atti amministrativi; ma ripete che la questione
fondamentale è mantenere il Consiglio di Stato nelle sue funzioni tradizionali,
salvo limitarle ed inquadrarle democraticamente, facendo dell'istituto un
organo di controllo dell'attività amministrativa del Governo.
Di Giovanni, dopo quanto è stato
detto dall'onorevole Bozzi, ritiene che siano da mantenere le Sezioni
giurisdizionali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, più che per
ragioni di opportunità, per ragioni di necessità, che del resto, costituendo
una eccezione, non gli sembra intacchino il concetto a cui fondamentalmente si
ispira l'onorevole Calamandrei, quello cioè della unità della giurisdizione.
Non
gli sembra parimenti che la Sezione si debba occupare della disciplina delle
nomine, della indipendenza e della carriera dei membri del Consiglio di Stato,
perché, per quanto si debba riconoscere la necessità di assicurare a
quest'organo una maggiore indipendenza per sottrarlo all'influenza diretta del
potere esecutivo, essa non può entrare in un campo che non è quello del potere
giudiziario. La Sezione dovrebbe pertanto limitarsi all'esame della
conservazione o meno delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, le
cui funzioni incidono sugli organi giudiziari.
Ambrosini non ritiene di dover trattare ampiamente la questione, sia
perché è stata già largamente discussa, sia perché in una precedente seduta ha
già svolti gli argomenti per cui era favorevole al mantenimento delle Sezioni
giurisdizionali del Consiglio di Stato.
A
suo avviso, le ragioni che consigliano la soppressione di questa giurisdizione
speciale, sono ispirate, più che altro, ad un desiderio di euritmia generale,
al proposito cioè di razionalizzare tutti gli istituti che riguardano
l'Amministrazione della giustizia. Non si nasconde, che, dal punto di vista dei
principî generali, forse potrebbe sembrare utile un sistema unico di
amministrazione della giustizia; ma dal punto di vista del merito non vi è
dubbio che all'adozione rigida di un tale sistema potrebbero muoversi fondate
obiezioni, sopra tutto in relazione alla natura speciale della giurisdizione in
discussione.
Osserva
che le esigenze particolari che hanno portato all'instaurazione di talune
giurisdizioni speciali sono riconosciute anche da coloro che propugnano
rigidamente il principio della giurisdizione unica, come è riprovato dal fatto
che essi sono disposti quasi a conservarle in concreto, trasformandole in
sezioni specializzate della Magistratura ordinaria.
A
prescindere dalle ragioni di merito, per le quali si può con fondatezza sostenere
la necessità di mantenere le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato,
pensa che vi sia sempre una ragione di opportunità che consiglia di adottare
questa soluzione, in quanto l'esperienza dimostra che esse hanno funzionato
ottimamente nell'interesse dei singoli che hanno potuto rapidamente ottenere la
definizione dei loro ricorsi.
Indubbiamente
un organo chiamato ad esercitare una funzione giurisdizionale occorrerebbe
fosse composto di persone fornite di garanzie simili a quelle di tutti gli
altri magistrati. Crede che non possa tuttavia negarsi, secondo quanto è
dimostrato dalle statistiche citate dall'onorevole Bozzi, che anche l'attuale
modo di formazione del Consiglio di Stato ha garantito, anche in un periodo di
gravi deviazioni, l'indipendenza dei Consiglieri di Stato assegnati alle
Sezioni giurisdizionali.
Circa
l'inconveniente a cui ha accennato l'onorevole Calamandrei, della possibilità
che una stessa questione possa prospettarsi, a seconda dei diversi punti di
vista, avanti all'Autorità giudiziaria ordinaria, o avanti alle Sezioni
giurisdizionali del Consiglio di Stato, con la conseguenza di una eventuale
disformità di decisioni, ritiene che vi si possa porre rimedio ammettendo che
tutte le sentenze, anche se pronunciate da giurisdizioni speciali, possano
essere impugnabili con ricorso avanti alla Suprema Corte di cassazione. In tal
modo, non soltanto si eviterebbe l'inconveniente, ma si affermerebbe ancor più
il principio dell'unità della giurisdizione, in quanto la Suprema Corte di cassazione
costituirebbe l'organo unico e supremo per l'interpretazione del diritto.
Conferma di essere favorevole alla conservazione della giurisdizione
amministrativa affidata alle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.
Leone Giovanni, Relatore, osserva che la
principale ragione che militava per l'abolizione delle giurisdizioni speciali
era quella di creare un'armonica costruzione dell'unità della giurisdizione,
così come era stata proposta dall'onorevole Calamandrei. Tale costruzione,
però, non è stata mantenuta, perché si è arrivati al compromesso
dell'abolizione delle giurisdizioni speciali in materia penale e del
mantenimento, in determinati casi e con certe cautele, delle altre
giurisdizioni speciali. Sarebbe quindi dell'avviso di adottare nella
Costituzione una formula molto semplice, in cui si dica che la giurisdizione
del Consiglio di Stato e della Corte dei conti rimangono in vita, così come
sono attualmente congegnate, salvo poi a rivederne la struttura in un
successivo periodo di tempo per adeguarle alle nuove condizioni della vita
nazionale.
Laconi, premesso che le
osservazioni dell'onorevole Bozzi lo hanno persuaso, ritiene opportuno fare
alcune considerazioni di ordine politico, per meglio lumeggiare la questione.
Considera
di particolare rilievo l'affermazione dell'onorevole Calamandrei che, più si
procede nel campo delle riforme sociali ed economiche e sempre più numerosi
sono i casi in cui l'interesse pubblico viene a riflettersi nei rapporti di
natura privata. Non dubita, infatti, che il nuovo Stato democratico si troverà
sempre maggiormente costretto, per la evoluzione stessa delle cose, ad
intervenire nel campo dei rapporti privati e quindi la pubblica Amministrazione
avrà sempre maggiore necessità di ampliare la sfera della propria
discrezionalità. Proprio per questo motivo non è d'avviso, però, che il
sindacato sull'operato della pubblica amministrazione possa essere attribuito
alla Magistratura ordinaria, cioè ad un ordine che rappresenta il diritto non
nel suo divenire, quale rispondenza schietta alla volontà popolare, ma nella
sua forma codificata. Questo controllo dovrebbe essere, a suo parere, rimesso
invece a quegli organi che rappresentano nel modo più genuino, direttamente o
indirettamente, la volontà popolare. Personalmente perciò sarebbe favorevole ad
affidare il controllo sull'amministrazione addirittura al Parlamento; ma,
essendo una tale soluzione contraria alle tradizioni italiane, ritiene che
difficilmente sarebbe accettata. Aderisce, pertanto, alla soluzione prospettata
dall'onorevole Bozzi, per cui la nomina, sia dei Consiglieri che dei Presidenti
di Sezione e del Presidente del Consiglio di Stato, venga rimessa al potere
legislativo, naturalmente con le opportune cautele, in modo che la scelta sia fatta
entro determinate categorie.
Calamandrei, Relatore, rileva che
l'onorevole Laconi — del quale tuttavia ammira la precisione e l'acutezza delle
osservazioni — forse non ha una pratica giudiziaria che gli permetta di
rendersi conto di quella che è effettivamente una realtà storica, cioè che la
giurisdizione ordinaria non è più, e forse non è mai stata una giurisdizione
ristretta che tenga conto soltanto dell'interesse individuale e che si limiti
alla applicazione formale delle leggi cristallizzate, ma va diventando sempre
più una giurisdizione di diritto pubblico e anche di interessi. Non è quindi
affatto vero che la tutela dell'interesse pubblico sia esclusiva del Consiglio
di Stato, in quanto ogni giorno di più i giudici ordinari si trovano di fronte
a casi per i quali è loro necessario tener conto di quell'interesse. Così,
quando afferma la funzione sociale cui deve adempiere la proprietà e tutte le
volte che decide secondo equità, il giudice ordinario fa, nel suo campo, quello
che il Consiglio di Stato fa quando giudica sulla discrezionalità.
Ad
ogni modo, l'argomento fondamentale per il quale è favorevole alla abolizione
delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato è proprio costituito dal
fatto che la giurisdizione ordinaria si è andata trasformando sempre più da
giurisdizione di diritto in giurisdizione di interessi. Ritiene inoltre che si
farebbe offesa ai giudici, considerando il loro cervello come anchilosato
nell'applicare rigidamente e semplicemente le leggi.
Dà
quindi lettura del seguente brano della relazione presentata dal Consiglio di
Stato: «Ad assicurare la completa indipendenza del Consiglio di Stato,
condizione inderogabile per l'efficace e sereno esercizio dell'alta funzione,
pare necessario svincolare l'istituto da ogni rapporto di subordinazione e da
ogni ingerenza del potere esecutivo, collocando questa Magistratura fuori
dell'ordinamento gerarchico dello Stato». Da questo brano, a suo avviso,
risulta che mantenendo in vita puramente e semplicemente le Sezioni
giurisdizionali del Consiglio di Stato, come sono ora costituite, si
conserverebbero degli organi che, per riconoscimento dello stesso Consiglio di
Stato, non hanno attualmente quell'indipendenza che è stata ritenuta essere
requisito essenziale del potere giudiziario.
Bozzi riafferma il concetto che la Magistratura amministrativa
dovrebbe essere formata in modo diverso da quella ordinaria, data la diversità
della competenza.
La
questione della indipendenza potrebbe essere risolta, secondo la sua proposta,
facendo derivare la composizione del Consiglio di Stato, non dal potere
esecutivo, ma dal potere legislativo, che è l'organo che esercita
istituzionalmente il controllo sul Governo.
Proporrebbe,
pertanto, salvo modificazioni di forma, la seguente dizione:
«Al Consiglio di Stato, alla Corte amministrativa
regionale, spetta l'esercizio delle funzioni giurisdizionali nelle materie e
nei limiti stabiliti della legge.
«Il
Presidente, i Presidenti di Sezione, i Consiglieri del Consiglio di Stato e
della Corte dei conti, nonché il Procuratore generale di questa, sono nominati
dal Presidente della Repubblica, su proposta dell'Assemblea nazionale, sentite
rispettivamente l'Adunanza generale del Consiglio di Stato e le Sezioni riunite
della Corte dei conti».
Calamandrei fa rilevare che il fatto di conservare nella forma attuale il
Consiglio di Stato non risolve la questione dell'inserimento nella Costituzione
dei principî contenuti nella legge del 1865.
Il Presidente Conti propone
di rinviare al giorno seguente il seguito della discussione e l'eventuale votazione
delle proposte.
(Così
rimane stabilito).
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