domenica 5 ottobre 2014

"MEMOIRES D'UN JURISTE": la battaglia di Calamandrei per l'unicità della giurisdizione nei lavori della Costituente (seduta 9 gennaio 1947).


"MEMOIRES D'UN JURISTE": 
la battaglia di Calamandrei 
per l'unicità della giurisdizione 
nei lavori della Costituente
 (seduta 9 gennaio 1947)



Tutto il dibattito sull'art. 103 della Costituzione in seno all'Assemblea Costituente lo trovate in questo meritorio sito.
Si può riformare tutto, ma purché prima vi sia un serio dibattito, idee chiare e giudizi ponderati, oltre che tecnici ed imparziali.
Tutta merce molto rara nel panorama politico e politico-giuridico italiano di oggi.


[Il 9 gennaio 1947, nella seduta pomeridiana, la seconda Sezione della seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul potere giudiziario.] 

Il Presidente Conti prega l'onorevole Calamandrei di riferire sulle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.
Calamandrei, Relatore, aggiungerebbe all'articolo relativo alla revisione, entro 5 anni, degli organi speciali di giurisdizione, il seguente capoverso:
«Nello stesso termine si procederà a trasformare le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, la Giunta provinciale amministrativa, la Corte dei conti in funzione giurisdizionale e le Commissioni del contenzioso tributario in sezioni specializzate degli organi ordinari, includendo le norme ad esse relative nella legge sull'ordinamento giudiziario».
Dirà, il più brevemente possibile, le ragioni per cui è favorevole alla abolizione delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.
Richiama innanzi tutto l'attenzione dei colleghi sul fatto che la questione, oltre che dal punto di vista dell'ingerenza del potere esecutivo nelle funzioni giudiziarie, deve essere esaminata dal punto di vista dell'ingerenza che il potere giudiziario può esercitare nelle funzioni amministrative. Si tratta quindi anche di un problema di rapporti tra il potere esecutivo e quello giudiziario. Il regolamento di questi rapporti — poiché nella Costituzione non può farsi senz'altro rinvio alla legge 31 marzo 1865, che abolì il contenzioso amministrativo — qualunque sia la soluzione che si voglia attuare, dovrà essere definito da un apposito articolo che riproduca le soluzioni adottate da quella legge.
Fatta questa premessa, afferma che se il Consiglio di Stato ha finora funzionato bene, anche nelle sue Sezioni giurisdizionali, ciò si è dovuto, a suo avviso, principalmente al fatto che questo istituto si è andato formando attraverso tempi e circostanze successive, per rispondere di volta in volta alle esigenze che si presentavano. Per questo motivo non è un organo disciplinato in maniera armonica, simmetrica e razionale, ma un organo venuto su come una vecchia casa che fosse stata a mano a mano riattata e ampliata per rispondere alle nuove necessità della famiglia.
Dovendosi rifare la Costituzione dello Stato, anche sotto questo punto di vista, crede che non sarebbe male ricostituire l'istituto in base a criteri più razionali e, considerando esaurite le ragioni storiche per cui erano state create le sue Sezioni giurisdizionali, trasferire alla Magistratura ordinaria le funzioni che quelle hanno finora adempiuto.
Facendo una cronistoria del Consiglio di Stato, ricorda che, abolito con la legge 31 marzo 1865 il foro privilegiato istituito a favore della pubblica Amministrazione, e stabilito il principio della giurisdizione unica, dopo qualche decennio si cominciò a sentire la necessità di avere, oltre la tutela giurisdizionale, anche una tutela di legalità nei confronti della pubblica Amministrazione, per impedire qualsiasi violazione di legge. Si cominciò, cioè, a vedere che, se da un lato vi sono leggi che mirano a garantire interessi individuali, per trasformarli in diritti soggettivi, vi sono, d'altro lato, leggi fatte nell'interesse della collettività e per il buon funzionamento della pubblica Amministrazione. Lasciando alla tutela giurisdizionale soltanto i casi in cui fosse in giuoco la lesione di un diritto civile o politico, rimaneva priva di tutela l'attività amministrativa nella quale poteva verificarsi da parte dell'Amministrazione la violazione di norme poste non nell'interesse individuale, ma nell'interesse collettivo. Così, per tutelare i cittadini da qualsiasi arbitrio dell'Amministrazione, si arrivò alla creazione della IV Sezione del Consiglio di Stato, la quale ebbe il potere di annullare gli atti amministrativi che, indipendentemente dalla violazione di un diritto soggettivo, apparissero illegittimi. Tra i vari sistemi escogitati per stabilire la persona o l'ente che doveva mettere in moto il potere di annullamento del Consiglio di Stato, si pensò di usare, come organo promotore, l'interesse del cittadino che si trovasse personalmente leso non in un suo diritto, ma in un semplice interesse, il quale veniva in tal modo a trovare — come corrispettivo del servizio che rendeva all'interesse pubblico — una sua particolare tutela. Così sorse la IV Sezione del Consiglio di Stato, a cui si aggiunse nel 1907, con funzione in parte analoga, la V Sezione.
In un primo momento, la funzione di queste due Sezioni non fu generalmente considerata come giurisdizionale, ma fu ritenuta come un controllo amministrativo, sia pure avente certe forme di contraddittorio, appunto perché non si ammetteva che organi giudiziari potessero arrogarsi il potere di annullare atti amministrativi. La legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo aveva, infatti, fissato il principio che anche quando un atto amministrativo ledeva un vero e proprio diritto soggettivo, l'autorità giudiziaria ordinaria dovesse limitarsi a constatare la lesione, condannando eventualmente ai danni, ma non potesse annullare l'atto amministrativo. Quando, poi, con la legge del 1889, che creò la IV Sezione, si ammise la possibilità di annullamento degli atti amministrativi, si cercò di giustificarla con l'affermazione che quella Sezione non era un organo giudiziario, ma una espressione della stessa pubblica Amministrazione.
A poco a poco, tuttavia, si vide che le funzioni della IV e V Sezione non erano amministrative, ma giurisdizionali. Questa realtà, affermata prima dalla dottrina, fu consacrata poi dalla legge del 1907, che riconobbe ad esse la denominazione di «Sezioni giurisdizionali». Da allora, nessuno più dubita che queste due Sezioni siano veri e propri organi giudiziari, ammettendosi così implicitamente ciò che nel 1865 sembrava una enormità, ossia che un organo giudiziario, com'è il Consiglio di Stato in funzione giurisdizionale, possa annullare un atto amministrativo.
L'evoluzione delle Sezioni del Consiglio di Stato da organi para-amministrativi in veri e propri organi giurisdizionali, porta oggi come conseguenza, secondo quanto è richiesto dal Consiglio di Stato stesso, che ai magistrati che compongono la IV e la V Sezione si diano le stesse garanzie di nomina, di indipendenza e di inamovibilità e che saranno date ai magistrati ordinari. Ora, se si ritiene che non si possano avere delle garanzie assolute di indipendenza, se non attraverso il sistema di moderato autogoverno che si sta escogitando per la Magistratura ordinaria, non vede come si potrebbe dare al Consiglio di Stato quello stesso complesso di garanzie, se non trasformando le attuali sue Sezioni giurisdizionali in sezioni specializzate dell'ordinamento giudiziario ordinario.
All'adozione di questa soluzione ritiene si possa obiettare che le questioni attinenti alla legittimità degli atti amministrativi, di competenza delle Sezioni giurisdizionali, possono essere risolte in maniera idonea soltanto da magistrati che abbiano una preparazione specializzata, come sono appunto i consiglieri delle Sezioni giurisdizionali che, prima di arrivare a quel posto, hanno compiuto un lungo tirocinio attraverso l'esercizio delle funzioni consultive. Ma a questa obiezione, di cui riconosce il valore, risponde che, qualora si creassero delle sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari, nulla vieterebbe che in queste fossero immessi dei magistrati che avessero compiuto il loro tirocinio nel Consiglio di Stato. Per rendere possibile questo passaggio, nell'articolo 20-bis del suo progetto, aveva inserito la seguente norma:
«Qualora per certi uffici della Magistratura sia necessaria una preparazione apposita su determinate materie, possono essere banditi concorsi per l'ammissione a questi uffici tra candidati forniti di speciali titoli scientifici o professionali, o provenienti da altri uffici pubblici».
Indipendentemente dalle ragioni storiche a cui ha accennato, si domanda se fra queste funzioni giurisdizionali e quelle dei giudici ordinari vi sia una demarcazione così netta da consigliare di continuare a mantener separati gli organi che le esercitano. A suo giudizio tra le due funzioni vi sono tali legami e tante sovrapposizioni di questioni che è difficilissimo capire esattamente dove finisca il compito della Magistratura ordinaria e dove cominci quello delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. La differenza tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, infatti, va diventando sempre più capillare e sottile. Una differenza sostanziale vi poteva essere, quando vi era una netta distinzione tra il diritto pubblico e il diritto privato; ma, quando, come avviene attualmente in una quantità sempre maggiore di rapporti, gli istituti di diritto pubblico si vanno rivestendo di carattere privato e in istituti che erano prima di puro interesse privato si va sempre più infiltrando l'interesse collettivo, riesce difficilissimo vedere fin dove arrivi il diritto soggettivo e dove invece cominci l'interesse occasionalmente protetto.
La difficoltà di arrivare a distinguere tra queste due competenze, è stata talmente riconosciuta nella pratica, che ad un certo momento, con una legge del 1923, si è incominciato ad assegnare al Consiglio di Stato anche la tutela di alcuni diritti soggettivi che avrebbe dovuto rientrare nella competenza della autorità giudiziaria ordinaria. Ciò è avvenuto sopra tutto nel campo del pubblico impiego, dove è difficilissimo sapere quando l'impiegato abbia un diritto la cui tutela spetti ai giudici ordinari e quando trattisi di un interesse che invece debba essere portato dinanzi al Consiglio di Stato.
Un altro inconveniente può sorgere inoltre in relazione alla eventualità che una stessa questione, a seconda del modo con cui venga configurata, possa essere portata avanti all'Autorità giudiziaria ordinaria o alle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, con la conseguenza di una eventuale disformità di decisioni. A suo parere, invece, tutti gli inconvenienti potrebbero essere eliminati il giorno in cui le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato diventassero sezioni specializzate degli organi giudiziari ordinari, con la competenza a risolvere tutte le controversie fra i cittadini e la pubblica Amministrazione.
Ribadisce, infine, il concetto che, in relazione alla sempre maggiore portata che assumono i riflessi pubblicistici in quasi tutte le questioni, tanto da divenire da eccezioni, come erano nel 1876 e 1889, quasi una vera e propria regola, le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato devono considerare come esaurito storicamente il loro compito.
Per la Corte dei conti non ritiene opportuno dilungarsi, in quanto la sua sorte dovrà essere analoga a quella del Consiglio di Stato.
Bozzi ritiene che il Consiglio di Stato non abbia compiuto la sua funzione storica e che abbia invece una sua precisa ragion d'essere.
Cominciando dall'ultimo argomento dell'onorevole Calamandrei, la difficoltà cioè di distinguere tra diritto e interesse, non può negare che questi due elementi spesso si presentassero in una situazione di tale intima connessione che effettivamente ne derivava una incertezza sul giudice che si doveva adire; ma ricorda che nel 1923, con una legge che rappresenta la conclusione legislativa di tutto un pensiero lungamente elaborato in tempi non fascisti, riconoscendosi che in realtà si erano determinati rapporti per i quali la interferenza era così intima che non conveniva fissare due giudici, si stabilì nei loro riguardi la competenza esclusiva del Consiglio di Stato. Si veniva a creare così una forma di attrazione giurisdizionale anomala, in quanto un giudice speciale attraeva per determinate materie la competenza del giudice ordinario.
A questo proposito desidera citare alcune cifre. Da una statistica dei ricorsi presentati e decisi dalle due Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato dal 1926 a tutto il 1945, risulta che su 27.608 ricorsi, vi sono state solo 428 dichiarazioni di incompetenza, numerose delle quali derivanti dalla molteplicità delle giurisdizioni speciali e non da eventuali dubbiezze circa l'interesse e il diritto. Questo sta a dimostrare che oggi i criteri distintivi fra diritto e interesse sono abbastanza chiari, specialmente dopo la legge del 1923 che rappresenta in questo campo un vero e proprio punto fermo.
Tiene poi a far rilevare all'onorevole Calamandrei che tutte le questioni ed incertezze non si eliminerebbero con la creazione delle Sezioni specializzate nella Magistratura ordinaria, perché in ogni caso i giudici specializzati dovranno sempre compiere una indagine per sapere se si trovano di fronte ad un interesse o di fronte ad un diritto.
La vera ragione della necessità della sopravvivenza del Consiglio di Stato sta, a suo avviso, nel fatto che le funzioni che esplicano le due Sezioni giurisdizionali sono diverse da quelle che esplica il giudice ordinario. Precisa anzi tutto che il Consiglio di Stato non ha mai tolto nulla al giudice ordinario, che non ha avuto mai competenza in materia di interesse. Il giudice ordinario, infatti, giudica solo di diritti, anche pubblici, subiettivi, e di situazioni giuridiche nelle quali vi sia un conflitto fra due parti vincolate da precise norme di legge. In questa situazione però trovasi alle volte anche la pubblica Amministrazione e quindi si spiega la necessità del giudice ordinario, che è il più idoneo a compiere i necessari accertamenti sul diritto e sul dovere delle parti. La giurisdizione del Consiglio di Stato è dominata invece dal criterio del pubblico interesse; non vi sono più un creditore e un debitore in senso lato; qui si tratta di valutare la discrezionalità della pubblica Amministrazione che nello svolgimento della sua attività libera, ma tuttavia discrezionale (libertà, cioè, e non arbitrio), può ledere l'interesse di un cittadino. In questo campo il giudice deve espletare una indagine particolare, squisitissima, che è ben differente da quella che deve compiere normalmente il giudice ordinario.
Non ritiene poi assolutamente che la funzione del Consiglio di Stato si possa assimilare a quella della Magistratura ordinaria, dove in una sezione specializzata si avrebbe una forma di contaminazione del giudice togato il quale, abituato all'applicazione rigida della legge civile e commerciale, dovrebbe invece decidere in una materia nella quale domina la valutazione del pubblico interesse. Potrebbe comprendere le Sezioni specializzate per le altre giurisdizioni speciali — come ad esempio il Tribunale delle acque — nelle quali si pongono problemi di carattere tecnico, ma non ne vede l'utilità per il Consiglio di Stato, che opera in un campo diversissimo da tutte le altre giurisdizioni speciali.
D'altra parte, pone in evidenza che la giurisdizione del Consiglio di Stato, per la sua particolare natura, non è costituita — come ha detto anche l'onorevole Calamandrei — a tutela di diritti, ma a difesa dello Stato e dei cittadini anche contro lo Stato. Per mezzo di essa, il cittadino diventa uno strumento per l'attuazione di quella che con frase felicissima è stata detta «la giustizia nell'amministrazione». È quindi lo Stato stesso che sente la necessità di organizzare questa forma di controllo giurisdizionale per attuare nel suo seno la giustizia nell'amministrazione, che è un problema essenziale di ogni Stato veramente democratico. Crede di non esagerare, affermando che oggi uno dei difetti fondamentali della politica è il difetto del sentimento di legalità, che è limite e proporzione. Se l'Amministrazione erra nell'applicare una norma, il Consiglio di Stato, valendosi dell'interesse individuale leso, ripristina la situazione giuridica, reintegrando così, non solo la situazione individuale, ma sopra tutto l'ordine giuridico leso e la legalità nell'amministrazione. Questa è la funzione del Consiglio di Stato.
Nega perciò che esso abbia esaurito il suo ciclo storico ed anzi è convinto che la soppressione del Consiglio di Stato susciterebbe nella coscienza giuridica nazionale una pessima impressione. Si potrebbe infatti pensare che quella che è stata una conquista liberale-democratica di controllo della discrezionalità dell'Amministrazione, a garanzia degli interessi dei cittadini, venga oggi soppressa e portata nel gran mare della giurisdizione ordinaria, con la necessaria prevalenza dei giudici togati, portati per la loro conformazione mentale ad applicare rigidamente la legge anche in materia dove è necessario invece contemperarne l'applicazione con la valutazione del pubblico interesse, unendo cioè alla rigidità del giudice, quella che chiamerebbe la «duttilità dell'amministratore».
D'altra parte, bisogna tener conto che il Consiglio di Stato esplica un duplice ordine di funzioni, cioè consultive e giurisdizionali. Secondo il suo punto di vista, che è quello di illustri giuristi, queste funzioni diverse rappresentano due manifestazioni di un'unica funzione, che non è suscettibile di divisione. In altri termini, quando il Consiglio di Stato, nella sua funzione consultiva, dà pareri al potere esecutivo, quando collabora col Governo dando l'apporto della sua esperienza tecnico-amministrativa, già concorre in questa sua prima fase preventiva a stabilire la giustizia nell'Amministrazione. La stessa funzione esplica con diversi poteri e con diversa efficacia in sede successiva, quando decide della legittimità degli atti amministrativi. Funzione unica, dunque, complessa ed inscindibile, per quanto conformabile alle esigenze democratiche. Sotto questo profilo ricorda che il Consiglio di Stato, in oltre cento anni di vita, ha dimostrato veramente uno spirito notevole di adattamento. Nato come Consiglio del Re nel 1831, come una forma limitativa del potere assoluto del sovrano, si è andato successivamente adattando ai tempi, dimostrando sempre un grande spirito di indipendenza, tanto da essere considerato come un modello al quale si ispiravano anche Stati stranieri. Il modo come esso ha funzionato potrebbe anche essere l'unico argomento a sua difesa. Infatti, come è stato da tutti riconosciuto e come è stato affermato dall'onorevole Ambrosini, se questo istituto ha sempre funzionato bene, se ha dato prova di indipendenza, se ha concorso a mantenere la legalità nella pubblica Amministrazione, non vi è alcuna necessità di portarvi un così profondo rinnovamento.
Anche a questo proposito può citare alcune cifre significative. Nel periodo fascista su 16.090 ricorsi decisi in merito — quindi, esclusi quelli respinti per incompetenza, abbandonati, perenti, ecc. — ne sono stati accolti circa 10.000 e respinti 6.000. Questo significa che per diecimila volte il Consiglio di Stato ha annullato atti dell'Amministrazione, dando così una delle migliori dimostrazioni di indipendenza.
Se il tempo lo permettesse potrebbe ricordare qualcuna delle decisioni più importanti e più coraggiose del Consiglio di Stato, specie in materia di razza, di stampa e di insegnamento, prese anche nei periodi in cui il fascismo era più in auge.
A suo modo di vedere, il problema essenziale non è quello di trasferire le funzioni del Consiglio di Stato ad una sezione specializzata del giudice ordinario, ma quello di considerare il Consiglio di Stato come l'organo di controllo della pubblica Amministrazione. Lo Stato democratico ha bisogno di organi di controllo indipendenti, perché in tanto un controllo è efficace, in quanto l'organo che lo esercita è posto in una situazione di indipendenza rispetto all'organo controllato.
Come il Parlamento, pure accordando la sua fiducia al Governo, esercita un controllo su di esso nell'attuazione della direzione politica e nelle manifestazioni singole nelle quali tale direzione si attua, così, attraverso il Consiglio di Stato, questo stesso organo, quale rappresentante del popolo e quindi dell'interesse collettivo alla legalità dell'azione amministrativa, dovrebbe esercitare anche un controllo sull'attività amministrativa del Governo. I Consiglieri, i Presidenti di Sezioni ed il Presidente, anche se formalmente nominati dal Presidente della Repubblica, dovrebbero essere designati dalle Camere. In tal modo si darebbe veramente al Consiglio di Stato una struttura democratica e si andrebbe verso la creazione di uno Stato di diritto, che rappresenta un comune ideale.
Dichiara, infine, che non sarebbe alieno dal concedere anche al potere giudiziario il potere di annullamento di atti amministrativi; ma ripete che la questione fondamentale è mantenere il Consiglio di Stato nelle sue funzioni tradizionali, salvo limitarle ed inquadrarle democraticamente, facendo dell'istituto un organo di controllo dell'attività amministrativa del Governo.
Di Giovanni, dopo quanto è stato detto dall'onorevole Bozzi, ritiene che siano da mantenere le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, più che per ragioni di opportunità, per ragioni di necessità, che del resto, costituendo una eccezione, non gli sembra intacchino il concetto a cui fondamentalmente si ispira l'onorevole Calamandrei, quello cioè della unità della giurisdizione.
Non gli sembra parimenti che la Sezione si debba occupare della disciplina delle nomine, della indipendenza e della carriera dei membri del Consiglio di Stato, perché, per quanto si debba riconoscere la necessità di assicurare a quest'organo una maggiore indipendenza per sottrarlo all'influenza diretta del potere esecutivo, essa non può entrare in un campo che non è quello del potere giudiziario. La Sezione dovrebbe pertanto limitarsi all'esame della conservazione o meno delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, le cui funzioni incidono sugli organi giudiziari.
Ambrosini non ritiene di dover trattare ampiamente la questione, sia perché è stata già largamente discussa, sia perché in una precedente seduta ha già svolti gli argomenti per cui era favorevole al mantenimento delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.
A suo avviso, le ragioni che consigliano la soppressione di questa giurisdizione speciale, sono ispirate, più che altro, ad un desiderio di euritmia generale, al proposito cioè di razionalizzare tutti gli istituti che riguardano l'Amministrazione della giustizia. Non si nasconde, che, dal punto di vista dei principî generali, forse potrebbe sembrare utile un sistema unico di amministrazione della giustizia; ma dal punto di vista del merito non vi è dubbio che all'adozione rigida di un tale sistema potrebbero muoversi fondate obiezioni, sopra tutto in relazione alla natura speciale della giurisdizione in discussione.
Osserva che le esigenze particolari che hanno portato all'instaurazione di talune giurisdizioni speciali sono riconosciute anche da coloro che propugnano rigidamente il principio della giurisdizione unica, come è riprovato dal fatto che essi sono disposti quasi a conservarle in concreto, trasformandole in sezioni specializzate della Magistratura ordinaria.
A prescindere dalle ragioni di merito, per le quali si può con fondatezza sostenere la necessità di mantenere le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, pensa che vi sia sempre una ragione di opportunità che consiglia di adottare questa soluzione, in quanto l'esperienza dimostra che esse hanno funzionato ottimamente nell'interesse dei singoli che hanno potuto rapidamente ottenere la definizione dei loro ricorsi.
Indubbiamente un organo chiamato ad esercitare una funzione giurisdizionale occorrerebbe fosse composto di persone fornite di garanzie simili a quelle di tutti gli altri magistrati. Crede che non possa tuttavia negarsi, secondo quanto è dimostrato dalle statistiche citate dall'onorevole Bozzi, che anche l'attuale modo di formazione del Consiglio di Stato ha garantito, anche in un periodo di gravi deviazioni, l'indipendenza dei Consiglieri di Stato assegnati alle Sezioni giurisdizionali.
Circa l'inconveniente a cui ha accennato l'onorevole Calamandrei, della possibilità che una stessa questione possa prospettarsi, a seconda dei diversi punti di vista, avanti all'Autorità giudiziaria ordinaria, o avanti alle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, con la conseguenza di una eventuale disformità di decisioni, ritiene che vi si possa porre rimedio ammettendo che tutte le sentenze, anche se pronunciate da giurisdizioni speciali, possano essere impugnabili con ricorso avanti alla Suprema Corte di cassazione. In tal modo, non soltanto si eviterebbe l'inconveniente, ma si affermerebbe ancor più il principio dell'unità della giurisdizione, in quanto la Suprema Corte di cassazione costituirebbe l'organo unico e supremo per l'interpretazione del diritto. Conferma di essere favorevole alla conservazione della giurisdizione amministrativa affidata alle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.
Leone Giovanni, Relatore, osserva che la principale ragione che militava per l'abolizione delle giurisdizioni speciali era quella di creare un'armonica costruzione dell'unità della giurisdizione, così come era stata proposta dall'onorevole Calamandrei. Tale costruzione, però, non è stata mantenuta, perché si è arrivati al compromesso dell'abolizione delle giurisdizioni speciali in materia penale e del mantenimento, in determinati casi e con certe cautele, delle altre giurisdizioni speciali. Sarebbe quindi dell'avviso di adottare nella Costituzione una formula molto semplice, in cui si dica che la giurisdizione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti rimangono in vita, così come sono attualmente congegnate, salvo poi a rivederne la struttura in un successivo periodo di tempo per adeguarle alle nuove condizioni della vita nazionale.
Laconi, premesso che le osservazioni dell'onorevole Bozzi lo hanno persuaso, ritiene opportuno fare alcune considerazioni di ordine politico, per meglio lumeggiare la questione.
Considera di particolare rilievo l'affermazione dell'onorevole Calamandrei che, più si procede nel campo delle riforme sociali ed economiche e sempre più numerosi sono i casi in cui l'interesse pubblico viene a riflettersi nei rapporti di natura privata. Non dubita, infatti, che il nuovo Stato democratico si troverà sempre maggiormente costretto, per la evoluzione stessa delle cose, ad intervenire nel campo dei rapporti privati e quindi la pubblica Amministrazione avrà sempre maggiore necessità di ampliare la sfera della propria discrezionalità. Proprio per questo motivo non è d'avviso, però, che il sindacato sull'operato della pubblica amministrazione possa essere attribuito alla Magistratura ordinaria, cioè ad un ordine che rappresenta il diritto non nel suo divenire, quale rispondenza schietta alla volontà popolare, ma nella sua forma codificata. Questo controllo dovrebbe essere, a suo parere, rimesso invece a quegli organi che rappresentano nel modo più genuino, direttamente o indirettamente, la volontà popolare. Personalmente perciò sarebbe favorevole ad affidare il controllo sull'amministrazione addirittura al Parlamento; ma, essendo una tale soluzione contraria alle tradizioni italiane, ritiene che difficilmente sarebbe accettata. Aderisce, pertanto, alla soluzione prospettata dall'onorevole Bozzi, per cui la nomina, sia dei Consiglieri che dei Presidenti di Sezione e del Presidente del Consiglio di Stato, venga rimessa al potere legislativo, naturalmente con le opportune cautele, in modo che la scelta sia fatta entro determinate categorie.
Calamandrei, Relatore, rileva che l'onorevole Laconi — del quale tuttavia ammira la precisione e l'acutezza delle osservazioni — forse non ha una pratica giudiziaria che gli permetta di rendersi conto di quella che è effettivamente una realtà storica, cioè che la giurisdizione ordinaria non è più, e forse non è mai stata una giurisdizione ristretta che tenga conto soltanto dell'interesse individuale e che si limiti alla applicazione formale delle leggi cristallizzate, ma va diventando sempre più una giurisdizione di diritto pubblico e anche di interessi. Non è quindi affatto vero che la tutela dell'interesse pubblico sia esclusiva del Consiglio di Stato, in quanto ogni giorno di più i giudici ordinari si trovano di fronte a casi per i quali è loro necessario tener conto di quell'interesse. Così, quando afferma la funzione sociale cui deve adempiere la proprietà e tutte le volte che decide secondo equità, il giudice ordinario fa, nel suo campo, quello che il Consiglio di Stato fa quando giudica sulla discrezionalità.
Ad ogni modo, l'argomento fondamentale per il quale è favorevole alla abolizione delle Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato è proprio costituito dal fatto che la giurisdizione ordinaria si è andata trasformando sempre più da giurisdizione di diritto in giurisdizione di interessi. Ritiene inoltre che si farebbe offesa ai giudici, considerando il loro cervello come anchilosato nell'applicare rigidamente e semplicemente le leggi.
Dà quindi lettura del seguente brano della relazione presentata dal Consiglio di Stato: «Ad assicurare la completa indipendenza del Consiglio di Stato, condizione inderogabile per l'efficace e sereno esercizio dell'alta funzione, pare necessario svincolare l'istituto da ogni rapporto di subordinazione e da ogni ingerenza del potere esecutivo, collocando questa Magistratura fuori dell'ordinamento gerarchico dello Stato». Da questo brano, a suo avviso, risulta che mantenendo in vita puramente e semplicemente le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, come sono ora costituite, si conserverebbero degli organi che, per riconoscimento dello stesso Consiglio di Stato, non hanno attualmente quell'indipendenza che è stata ritenuta essere requisito essenziale del potere giudiziario.
Bozzi riafferma il concetto che la Magistratura amministrativa dovrebbe essere formata in modo diverso da quella ordinaria, data la diversità della competenza.
La questione della indipendenza potrebbe essere risolta, secondo la sua proposta, facendo derivare la composizione del Consiglio di Stato, non dal potere esecutivo, ma dal potere legislativo, che è l'organo che esercita istituzionalmente il controllo sul Governo.
Proporrebbe, pertanto, salvo modificazioni di forma, la seguente dizione:
«Al Consiglio di Stato, alla Corte amministrativa regionale, spetta l'esercizio delle funzioni giurisdizionali nelle materie e nei limiti stabiliti della legge.
«Il Presidente, i Presidenti di Sezione, i Consiglieri del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, nonché il Procuratore generale di questa, sono nominati dal Presidente della Repubblica, su proposta dell'Assemblea nazionale, sentite rispettivamente l'Adunanza generale del Consiglio di Stato e le Sezioni riunite della Corte dei conti».
Calamandrei fa rilevare che il fatto di conservare nella forma attuale il Consiglio di Stato non risolve la questione dell'inserimento nella Costituzione dei principî contenuti nella legge del 1865.
Il Presidente Conti propone di rinviare al giorno seguente il seguito della discussione e l'eventuale votazione delle proposte.
(Così rimane stabilito).


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