ESAME AVVOCATO:
il TAR di Roma "tira dritto"
e stabilisce che non basta
il mero punteggio numerico
in sede di motivazione
delle insufficienze agli scritti
dell'esame d'abilitazione forense
(T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II "quater",
sentenza 14 luglio 2015, n. 9413)
Magnifica sentenza.
Dimostra molto coraggio (il Consiglio di Stato aveva sospeso tutte le ordinanze cautelari favorevoli ricorrendo, addirittura, alla misura monocratica presidenziale; la ricorrezione degli elaborati scritti, in altre parole, avrebbe creato un gravissimo ed irreparabile danno all'interesse pubblico).
E dimostra che il bello della professione, almeno per me, sta nel compito, affidato ad ogni Avvocato, di fomite dell'evoluzione del sistema legale, ed in particolare degli orientamenti giurisprudenziali, a maggior ragione quando "consolidati" (e specie se sono erronei, o divenuti tali).
Senza coraggio misto a creatività (e mettiamoci la correttezza, altrimenti si diventa legulei al servizio dell'ultimo stratagemma volto ad eludere la legge), il sistema legale è stagnante, perché non recepisce le istanze che provengono dal "basso", ossia da cittadini, imprese, associazione etc. rappresentati in giudizio. Le norme verrebbero così solo dettate dall'alto, e gli stessi Giudici diverrebbero (o tornerebbero ad essere) mere "bocche della legge", quanto di più incomprensibile per un Avvocato amministrativista che vive nella più totale incertezza, tra teoria dei formanti, pluralità delle fonti, policentrismo della p.a., istituti di conio pretorio etc. etc. etc.
Massima
1. Deve affermarsi l'insufficienza intrinseca, sul piano motivazionale, del giudizio di non idoneità degli scritti, basato sul mero voto numerico, formulato dalla Commissione nell'esame per l'abilitazione forense.
Il Collegio non ignora che la Corte Costituzionale (sentenza 8 giugno 2011, n. 175) ritiene che “il criterio prescelto dal legislatore per la valutazione delle prove scritte nell’esame de quo è quello del punteggio numerico, costituente la modalità di formulazione del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, con indicazione del punteggio complessivo utile per l’ammissione all’esame orale”.
Il Collegio non ignora che la Corte Costituzionale (sentenza 8 giugno 2011, n. 175) ritiene che “il criterio prescelto dal legislatore per la valutazione delle prove scritte nell’esame de quo è quello del punteggio numerico, costituente la modalità di formulazione del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, con indicazione del punteggio complessivo utile per l’ammissione all’esame orale”.
Ora, è noto che le interpretazioni adottate dalla Corte costituzionale nelle sentenze di rigetto non precludono - al giudice a quo come agli altri giudici - la possibilità di seguire altre interpretazioni ritenute compatibili con la Costituzione, posto che ogni giudice è titolare del potere-dovere di interpretare le leggi in piena autonomia ai sensi dell’art. 101, secondo comma, della Costituzione. (cfr. Cassazione civile, sez. un., 16 dicembre 2013, n. 27986).
2. Ciò è tanto più vero nella materia in questione, in quanto l’ordinamento di settore si è evoluto prevedendo espressamente - con la richiamata novella di cui alle l. n. 247/2012, che disegna una nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense - l’introduzione del meccanismo basato sulle annotazioni dirette sull’elaborato da esaminare (art. 46, comma 5). E se è vero che la norma transitoria di cui al successivo art. 49 ne ha differito l’applicazione, è pur vero che ciò non preclude una diversa ermeneutica del complessivo quadro normativo previgente.
In altri termini, non è preclusa a questo giudice una lettura della normativa settoriale la quale integri le disposizioni specifiche leggendole alla luce del fondamentale parametro di cui all’art. 3 l. n. 241/1990 e dei parametri costituzionali e comunitari connessi (cfr. A.P., 30 luglio 2014, n. 16).
3. Nel nostro caso, è evidente che il legislatore abbia inteso perseguire - nel contesto di una più ampia riforma del settore - anche l’obiettivo dell’incremento del grado di trasparenza dei giudizi di accesso alla professione. E’ quindi possibile coerentemente ritenere che, se da un lato la norma transitoria esclude l’obbligatoria applicazione dello specifico nuovo meccanismo individuato dal legislatore, tuttavia essa non preclude il riconoscimento - fatto inequivocabilmente proprio dal legislatore medesimo - dell’esigenza di una motivazione più trasparente, da salvaguardare secondo modalità rimesse all’Amministrazione nei singoli casi e valutabili ex post nella sede giurisdizionale, alla stregua di quanto enunciato in precedenza.
Né sarebbe corretto ritenere che in questo modo si verifichi una sostanziale disapplicazione della norma transitoria: essa non può essere considerata avulsa dall’ordinamento giuridico complessivo e, nel far salva l’applicazione del regime previgente, non circoscrive l’autonomia dell’interprete quanto alla ricostruzione del medesimo.
4. Questa soluzione interpretativa è anche pienamente coerente con l’intento riformatore della recente legislazione, che si manifesta anche con l’evoluzione normativa, di grande rilievo pratico e di principio, che si riscontra in materia di procedure concorsuali per l’accesso alla professione notarile: è noto, al riguardo, che l’art. 11, comma 5 del d. lgs. n. 166/2006, nel testo vigente, prevede che il giudizio di non idoneità sia “sinteticamente motivato con formulazioni standard, predisposte dalla commissione quando definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati”.
5. Siffatto ordine di idee consente anche una più piena attuazione dei principi ricavabili dagli artt. 97, 24 e 113 Cost.; con la precisazione - quanto al buon andamento - che il legislatore e/o l’Amministrazione ben possono individuare dei criteri tali da conciliare l’esigenza di trasparenza con quella di efficienza, secondo una gamma di soluzioni variamente articolabili.
6. Quanto alla coerenza con l’ordinamento comunitario (e cioè alla necessità di pervenire a un’interpretazione che sia anche “comunitariamente” conforme), è appena il caso di rilevare:
6.1 da un lato, che la materia dell’esame di abilitazione forense attiene comunque all’ambito comunitario della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi, con le connesse esigenze concorrenziali (CGCE, ord. 17.2.2005, C- 250/03);
6.2 dall’altro, che il principio della motivazione è richiamato sia nell’art. 296, comma 2 TFUE, sia nell’art. 41 della Carta fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea (da leggere in relazione all’art. 51 che ne estende l’applicazione agli Stati Membri), e come tale ha ricevuto importanti riscontri nella giurisprudenza della Corte di Giustizia (particolarmente chiaro, in ordine ai principi sopra menzionati, il dettato di CGCE, 22 marzo 2001, C - 17/99, per cui la motivazione deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l'iter logico seguito dall'istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice competente di esercitare il proprio controllo).
7. Alla luce di siffatte premesse, il Collegio ritiene che la questione della motivazione del giudizio negativo nelle prove d’esame o concorsuali non possa essere risolta astrattamente, o sulla base di un mero richiamo dei (non univoci) orientamenti giurisprudenziali, bensì (senza indebite generalizzazioni) solamente avendo riguardo alle caratteristiche di ogni singolo procedimento di esame, da valutarsi alla luce di una corretta ricostruzione del nesso tra normative di settore e principi generali dell’ordinamento nazionale e comunitario.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione
Seconda Quater)
ha pronunciato
la presente
SENTENZA
sul ricorso n.
13302/2014 R.G. proposto da E.D., rappresentato e difeso dall’ avv. Federico Frasca, presso il cui studio in Roma, via
Prestianni n. 37, è elettivamente domiciliato;
contro
il Ministero
della Giustizia, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato di Roma;
per
l'annullamento
- del
provvedimento della Corte d’Appello di Roma, con cui è stato reso pubblico, in
data 20 giugno 2014, l’elenco degli ammessi all’orale dell’esame di
abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato, nella parte in cui il
ricorrente è rimasto escluso;
- del
provvedimento di non idoneità e di consequenziale non ammissione del ricorrente
alla prova orale dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di
Avvocato - sessione 2013 - emanato dalla medesima Corte d’Appello;
- del verbale
n. 5 della Corte d’Appello di Napoli - Commissione XIV - relativo alla seduta
del 13 marzo 2014, nella parte valutativa relativa alla busta contraddistinta
con il n. 2457 (assegnata al ricorrente);
- della
valutazione operata con riferimento ad ognuno dei tre elaborati;
Visti il
ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio del Ministero dello Giustizia;
Viste le
memorie difensive;
Visti tutti gli
atti della causa;
Viste le ordinanze
n. 6228 del 3 dicembre 2014 e n. 539 del 04 febbraio 2015 rispettivamente di
questa Sezione e della IV^ sez. del Consiglio di Stato;
Visti gli atti
tutti della causa;
Data per letta
alla pubblica udienza del 23 aprile 2015 la relazione del Consigliere Pietro
Morabito ed uditi gli avvocati di cui al verbale d’udienza;
Ritenuto e
considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:
FATTO e DIRITTO
1. Il
ricorrente impugna il giudizio finale di non ammissione alle prove orali
dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato -
sessione 2013, formulato dalla Commissione istituita presso la Corte di Appello
di Napoli e pubblicato per affissione presso la Corte d’Appello di Roma in data
20 giugno 2014, unitamente agli atti preparatori e presupposti indicati in
epigrafe.
Essa propone
tre motivi di ricorso, articolati a loro volta in molteplici profili di
violazione di legge ed eccesso di potere.
Si è costituita
in giudizio l’Amministrazione, resistendo al ricorso.
2. Con
ordinanza n. 6228/2014 questo Tribunale ha accolto la domanda cautelare,
disponendo il riesame degli elaborati scritti ad opera della Commissione in
diversa composizione. Detta pronuncia è stata riformata dal Giudice di appello
con propria Ordinanza n. 539/2015, respingendo la domanda cautelare proposta in
primo grado.
3. Il ricorso è
stato infine chiamato per la discussione all’udienza pubblica del 23 aprile
2015 e quindi trattenuto in decisione.
4. Nel ricorso
trovano collocazione, alternandosi:
- censure ( ci
si riferisce alla doglianza tratta sui tempi di correzione degli elaborati
nonché a quella, declinata nel terzo mezzo di gravame, con cui si assume che il
ricorrente avrebbe dato prova di essere in possesso di una preparazione
giuridica essenziale e solida traendone l’apodittico e convincimento che il
giudizio della Commissione sarebbe, di conseguenza, inficiato da illogicità,
irragionevolezza, arbitrarietà ecc.) da ritenersi, in forza di pacifici e
radicati insegnamenti del G.a., prive di giuridico pregio;
- censure che
invece sono state da questo Tribunale apprezzate in sede cautelare e che, anche
alla luce della antitetica pronuncia di appello sopra ricordata, meritano,
nella presente sede di merito, un doveroso approfondimento.
Lo scrutinio va
dunque incentrato avendo riguardo a quei profili con cui si censura la
violazione, anche sotto il profilo dell’autovincolo assunto dalla Commissione
esaminatrice, dei criteri di valutazione delle prove scritte stabiliti dalla
Commissione centrale c/o il Ministero della Giustizia in data 2.12.2013 nonché
(si censura) la violazione e falsa applicazione dei principi generali (quali
evincibili da un’interpretazione costituzionalmente orientata) in materia di
valutazione delle prove.
Detti profili
vanno esaminati congiuntamente trattandosi di censure tra loro complementari,
in quanto attinenti alla complessiva legittimità del modus procedendi adottato
in relazione alla questione della motivazione del giudizio e del relativo iter
preparatorio e istruttorio.
5. In punto di
fatto è sufficiente evidenziare i seguenti punti rilevanti nell’odierna
controversia.
Nel verbale di
valutazione delle prove scritte (n. 5 del 13 marzo 2014), la Commissione
esaminatrice istituita presso la Corte di Appello di Napoli ha anzitutto
testualmente recepito i seguenti criteri generali definiti dalla Commissione
centrale:
a) correttezza
della forma grammaticale, sintattica ed ortografica e padronanza del lessico
italiano e giuridico;
b) chiarezza,
pertinenza e completezza espositiva, capacità di sintesi, logicità e rigore
metodologico delle argomentazioni ed intuizione giuridica;
c)
dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici
trattati, nonché degli orientamenti della giurisprudenza;
d)
dimostrazione di concreta capacità di risolvere problemi giuridici anche
attraverso riferimenti alla dottrina e l’utilizzo di giurisprudenza; il
richiamo a massime giurisprudenziali riportate nei codici annotati è
consentito; tuttavia, i relativi riferimenti testuali vanno adeguatamente
virgolettati o comunque deve esserne indicata la fonte giurisprudenziale;
e)
dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di
interdisciplinarietà, anche con specifici riferimenti al diritto costituzionale
e comunitario per la soluzione di casi che vengano prospettati in una
dimensione europea, ovvero presentino connessioni con altre materie giuridiche;
f) coerenza
dell’elaborato con la traccia assegnata ed esauriente indagine dell’impianto
normativo relativo agli istituti giuridici di riferimento;
g) capacità di
argomentare adeguatamente le conclusioni tratte, anche se difformi dal
prevalente indirizzo giurisprudenziale e/o dottrinario;
h)
dimostrazione della padronanza delle scelte difensive e delle tecniche di
persuasione per ciò che concerne, specificamente, l’atto giudiziario”.
In secondo
luogo, la Commissione esaminatrice ha proceduto alla “revisione di ciascun
elaborato” provvedendo “nei modi di legge alla valutazione dei medesimi ed
all’assegnazione dei voti, espressione dell’applicazione dei suindicati
criteri, voti che vengono riportati sugli elaborati stessi, e datati e
sottoscritti dal Presidente e dal segretario”.
Nella specie,
il ricorrente ha conseguito un punteggio complessivo di 82 (parere motivato di
diritto civile: 25; parere motivato di diritto penale: 30; atto giudiziario:
27), come tale inferiore al punteggio minimo necessario ai fini dell’ammissione
agli orali (pari a 90 punti).
La valutazione
è stata espressa in forma puramente numerica; gli elaborati non recano traccia
di indicazioni o sottolineature o correzioni operate dagli esaminatori.
6. A tal
riguardo parte ricorrente:
- in primo
luogo sottolinea la carenza di motivazione in relazione ai giudizi negativi.
Nella specie, deduce, non è dato rinvenire alcuna esternazione, né attraverso
segni grafici né attraverso espressioni verbali, dalla quale si possano dedurre
le specifiche ragioni giustificative della valutazione delle due prove ritenute
insufficienti; a tanto accedendo l’impossibilità di apprezzare la correttezza e
l’adeguatezza dell’istruttoria e dell’iter logico seguito dalla Commissione
esaminatrice, con conseguente violazione degli artt. 3 della L. n. 241/1990,
dell’art. 97 della Costituzione ;
- in secondo
luogo, lamenta l’insufficienza, ai menzionati fini, del mero voto numerico.
Detta insufficienza sarebbe apprezzabile anzitutto in termini intrinseci, al
punto che il Legislatore stesso si è fatto carico del problema predisponendo un
diverso metodo di correzione degli elaborati con l’art. 46, comma 5, della L.
31 dicembre 2012, n. 247, che impone alla commissione di annotare le
osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato:
disposizione questa che - come meglio colto nell’ord. del Tar Calabria
n.404/2014 (evocata in gravame) - a prescindere dalla sua attuale applicabilità
- rivestirebbe tuttavia fin d’ora carattere interpretativo.
Relativamente
al caso di specie, poi, l’insufficienza del metodo di correzione basato
sull’uso del solo voto numerico risulterebbe ancora più evidente, ove si ponga
mente al carattere generico dei criteri elaborati dalla Commissione centrale in
data 2 dicembre 2013 e pedissequamente recepiti dalla Commissione esaminatrice
senza alcuna integrazione e/o specificazione, come risulta dal relativo
verbale; con la connessa impossibilità - in assenza di ulteriori esternazioni -
di un serio riscontro dell’effettiva corretta applicazione dei medesimi
criteri.
La difesa
dell’Amministrazione richiama la giurisprudenza costituzionale, e in particolare
la sentenza Corte cost., 8 giugno 2011, n. 175, che attiene propriamente alla
normativa che disciplina gli esami di abilitazione all’esercizio della
professione forense: essa ha ritenuto, da un lato, che la graduazione del
punteggio numerico consenta alla Commissione esaminatrice di esprimere un
giudizio sull’elaborato; dall’altro, che una esposizione più dettagliata non
sarebbe esigibile alla luce del principio del buon andamento.
7. Orbene, è
nota al Collegio la pronuncia sopra citata del Giudice delle Leggi, che attiene
propriamente alla normativa che disciplina gli esami di abilitazione
all’esercizio della professione forense: essa ha ritenuto, da un lato, che la
graduazione del punteggio numerico consenta alla Commissione esaminatrice di
esprimere un giudizio sull’elaborato; dall’altro, che una esposizione più
dettagliata non sarebbe esigibile alla luce del principio del buon andamento.
Si deve
premettere che detta sentenza si fonda su una lettura restrittiva e testuale
della normativa di settore, e in particolare di quattro disposizioni:
- l’art.
17-bis, comma 2, del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, e successive modificazioni,
nel testo vigente, il quale stabilisce che «Per ciascuna prova scritta ogni
componente delle commissioni d’esame dispone di 10 punti di merito; alla prova
orale sono ammessi i candidati che abbiano conseguito, nelle tre prove scritte,
un punteggio complessivo di almeno 90 punti e con un punteggio non inferiore a
30 punti per almeno due prove»;
- l’art. 23,
quinto comma, del medesimo testo normativo, il quale dispone che «La
commissione assegna il punteggio a ciascuno dei tre lavori raggruppati ai sensi
dell’art. 22, comma 4, dopo la lettura di tutti e tre, con le norme stabilite
nell’articolo 17-bis»;
- l’art. 24,
primo comma, del r.d. n. 37 del 1934, il quale statuisce che «Il voto
deliberato deve essere annotato immediatamente dal segretario, in tutte
lettere, in calce al lavoro. L’annotazione è sottoscritta dal presidente e dal
segretario»;
- l’art. 22,
comma 9, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, nel testo vigente, che prevede
la fissazione dei criteri per la valutazione degli elaborati scritti e delle
prove orali da parte della Commissione centrale istituita presso il Ministero
della Giustizia.
La Corte
ritiene che “il criterio prescelto dal legislatore per la valutazione delle
prove scritte nell’esame de quo è quello del punteggio numerico, costituente la
modalità di formulazione del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su
ciascuna prova, con indicazione del punteggio complessivo utile per
l’ammissione all’esame orale”.
Ora, è noto che
le interpretazioni adottate dalla Corte costituzionale nelle sentenze di
rigetto non precludono - al giudice a quo come agli altri giudici - la
possibilità di seguire altre interpretazioni ritenute compatibili con la
Costituzione, posto che ogni giudice è titolare del potere-dovere di
interpretare le leggi in piena autonomia ai sensi dell’art. 101, secondo comma,
della Costituzione. (cfr. Cassazione civile, sez. un., 16 dicembre 2013, n.
27986).
Ciò è tanto più
vero nella materia in questione, in quanto l’ordinamento di settore si è
evoluto prevedendo espressamente - con la richiamata novella del 2012, che
disegna una nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense -
l’introduzione del meccanismo basato sulle annotazioni dirette sull’elaborato
da esaminare (art. 46, comma 5). E se è vero che la norma transitoria di cui al
successivo articolo 49 ne ha differito l’applicazione, è pur vero che ciò non
preclude una diversa ermeneutica del complessivo quadro normativo previgente.
In altri
termini, non è preclusa a questo giudice una lettura della normativa settoriale
la quale integri le disposizioni specifiche leggendole alla luce del
fondamentale parametro di cui all’art. 3 L. n. 241/1990 e dei parametri
costituzionali e comunitari connessi. Un esempio concreto di questa tecnica
ermeneutica si rinviene in una pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio
di Stato (A.p., 30 luglio 2014, n. 16), che ha risolto una questione relativa all’applicazione
dell’art. 38 del Codice dei contratti negando la diretta e immediata
applicabilità dello jus superveniens alla fattispecie controversa, ma nel
contempo valorizzando le nuove previsioni legislative quali indici ermeneutici,
ai fini della ricostruzione della volontà del legislatore in quanto volta a
determinati fini.
Nel nostro
caso, è evidente che il legislatore abbia inteso perseguire - nel contesto di
una più ampia riforma del settore - anche l’obiettivo dell’incremento del grado
di trasparenza dei giudizi di accesso alla professione. E’ quindi possibile
coerentemente ritenere che, se da un lato la norma transitoria esclude
l’obbligatoria applicazione dello specifico nuovo meccanismo individuato dal
legislatore, tuttavia essa non preclude il riconoscimento - fatto
inequivocabilmente proprio dal legislatore medesimo - dell’esigenza di una
motivazione più trasparente, da salvaguardare secondo modalità rimesse
all’Amministrazione nei singoli casi e valutabili ex post nella sede
giurisdizionale, alla stregua di quanto enunciato in precedenza.
Né sarebbe
corretto ritenere che in questo modo si verifichi una sostanziale
disapplicazione della norma transitoria: essa non può essere considerata avulsa
dall’ordinamento giuridico complessivo e, nel far salva l’applicazione del
regime previgente, non circoscrive l’autonomia dell’interprete quanto alla
ricostruzione del medesimo.
Questa
soluzione interpretativa è anche pienamente coerente con l’intento riformatore
della recente legislazione, che si manifesta anche con l’evoluzione normativa,
di grande rilievo pratico e di principio, che si riscontra in materia di
procedure concorsuali per l’accesso alla professione notarile: è noto, al
riguardo, che l’art. 11, comma 5 del D. Lgs. 24 aprile 2006, n. 166, nel testo
vigente, prevede che il giudizio di non idoneità sia “sinteticamente motivato
con formulazioni standard, predisposte dalla commissione quando definisce i
criteri che regolano la valutazione degli elaborati”.
Siffatto ordine
di idee consente anche una più piena attuazione dei principi ricavabili dagli
artt. 97, 24 e 113 Cost.; con la precisazione - quanto al buon andamento - che
il legislatore e/o l’Amministrazione ben possono individuare dei criteri tali
da conciliare l’esigenza di trasparenza con quella di efficienza, secondo una
gamma di soluzioni variamente articolabili.
Quanto alla
coerenza con l’ordinamento comunitario (e cioè alla necessità di pervenire a
un’interpretazione che sia anche “comunitariamente” conforme), è appena il caso
di rilevare:
- da un lato,
che la materia dell’esame di abilitazione forense attiene comunque all’ambito
comunitario della libertà di stabilimento e della libera prestazione di
servizi, con le connesse esigenze concorrenziali (CGE, ord. 17.2.2005, C-
250/03);
- dall’altro,
che il principio della motivazione è richiamato sia nell’art. 296, comma 2
TFUE, sia nell’art. 41 della Carta fondamentale dei Diritti dell’Unione Europea
(da leggere in relazione all’art. 51 che ne estende l’applicazione agli Stati
Membri), e come tale ha ricevuto importanti riscontri nella giurisprudenza
della Corte di Giustizia (particolarmente chiaro, in ordine ai principi sopra
menzionati, il dettato di CGE, 22 marzo 2001, C - 17/99, per cui la motivazione
deve fare apparire in forma chiara e non equivoca l'iter logico seguito
dall'istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di
conoscere le ragioni del provvedimento adottato e permettere al giudice
competente di esercitare il proprio controllo).
8. Alla luce di
siffatte premesse, il Collegio ritiene che la questione della motivazione del
giudizio negativo nelle prove d’esame o concorsuali non possa essere risolta
astrattamente, o sulla base di un mero richiamo dei (non univoci) orientamenti
giurisprudenziali, bensì (senza indebite generalizzazioni) solamente avendo
riguardo alle caratteristiche di ogni singolo procedimento di esame, da
valutarsi alla luce di una corretta ricostruzione del nesso tra normative di
settore e principi generali dell’ordinamento nazionale e comunitario.
9. Con
riferimento al caso in esame, non può non essere considerata rilevante la
novella legislativa del settore, che ha imposto specifiche prescrizioni proprio
al fine di garantire l’effettività dell’obbligo di motivazione.
In concreto,
negli atti non si riscontra alcuna esternazione grafica o testuale della
Commissione esaminatrice, la quale possa fungere da tramite
logico-argomentativo tra i criteri generali e l’espressione finale numerica del
singolo giudizio.
Il giudizio di
insufficienza della prova potrebbe quindi essere determinato, in ipotesi:
a) dalla
violazione di un criterio già di per sé sufficientemente individuato, come ad
esempio il criterio relativo alla correttezza grammaticale e sintattica, il cui
contenuto è determinabile per relationem mediante il rinvio ai canoni
comunemente accolti in materia;
b) dalla
violazione di un criterio contenutistico “preliminare” formulato in termini
generali, come - ad esempio - quello della “dimostrazione della conoscenza dei
fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati, nonché degli orientamenti
della giurisprudenza”.
Orbene, è
evidente in primo luogo che il metodo seguito nella specie non consente al
candidato neppure di sapere se si verta nell’ipotesi a) ovvero nell’ipotesi b).
Inoltre, con
riferimento all’ipotesi b), è parimenti evidente che il criterio formulato
anteriormente allo svolgimento delle prove non può ovviamente riferirsi agli
argomenti specifici che sono oggetto delle tracce assegnate. Solamente in base
alla traccia è infatti possibile stabilire quali siano i fondamenti teorici
degli istituti rilevanti nel caso di specie e i relativi orientamenti
giurisprudenziali, graduandone per così dire l’esigibilità concreta in
relazione alle caratteristiche della prova: il che consentirebbe - poniamo - di
ritenere sufficienti gli elaborati i quali - ceteris paribus - diano conto
almeno della tesi A e della tesi B, anche se non della tesi C (la cui menzione
potrebbe essere considerata, invece, ai fini dell’attribuzione di un voto più
alto).
10. Ad avviso
del Collegio, in assenza della predeterminazione normativa di un metodo (come
quello introdotto de futuro dalla menzionata novella del 2012) è possibile
immaginare vari sistemi di motivazione del giudizio, incentrati su un’ulteriore
specificazione contenutistica dei criteri di correzione a seguito dello
svolgimento delle prove, ovvero sul ricorso a espressioni grafiche o verbali.
Non è invece
ammissibile che - come è accaduto nella specie - questo ambito sia sottratto a
qualsiasi forma di esternazione e quindi di conoscibilità da parte del
destinatario del giudizio.
Si tratta
infatti dell’ambito nel quale si celano in realtà gli elementi presupposti
essenziali che vanno a costituire una vera e propria “catena di giudizi”, la
quale sfocia poi nella valutazione finale, che viene infine sintetizzata nel
voto numerico.
Del resto, con
riferimento alla motivazione come formula conclusiva di una valutazione che ha
preso le mosse dalla proposta di elaborato contenuta nella traccia ed ha
autolimitato la sua espansione nel delicato momento della elaborazione, ed
ostensione, dei criteri di valutazione, si è espressa anche la Cassazione con
riferimento alle prove del concorso notarile: secondo Cass. SSUU n. 14893 del
2010, il legislatore ha richiesto alla commissione esaminatrice di darsi
criteri che non si riducano alle note, tautologiche, formule sul necessario
omaggio alle esigenze di rigore e correttezza espositiva, di pertinenza
argomentativa e di esibizione culturale da parte del candidato, ma che siano le
“regole - guida”, predeterminate e pertanto non mutabili, di quanto con la
traccia proposta viene richiesto e di quanto (in specie nell'ottica aperta
propria della opinabilità delle soluzioni giuridiche) ci si attende, in termini
di risultato finale rappresentante lo standard minimo per una valutazione di
idoneità.
Il “vacuum”
motivazionale si incunea praticamente nel cuore stesso dell’esercizio della
funzione amministrativa, pregiudicando la soddisfazione del parametro dell’art.
3 della L. n. 241/1990, interpretato alla luce dei principi costituzionali di
imparzialità e dell’art. 41 della Carta di Nizza, che espressamente prevede
l’obbligo di motivazione come un aspetto del diritto ad una buona
amministrazione.
In particolare,
in base a quanto affermato dalla Corte Costituzionale, l'obbligo di motivare i
provvedimenti amministrativi è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi
la trasparenza, dell'azione amministrativa, ai quali va riconosciuto il valore
di principi generali, diretti ad attuare sia i canoni costituzionali di
imparzialità e buon andamento dell'amministrazione (art. 97, primo comma,
Cost.), sia la tutela di altri interessi costituzionalmente protetti, come il
diritto di difesa nei confronti della stessa amministrazione ( artt. 24 e 113
Cost). L’obbligo di motivazione, quindi è radicato da un lato negli artt. 97 e
113 della Costituzione, in quanto costituisce corollario dei principi di buon
andamento e d'imparzialità dell'amministrazione e, dall'altro, nell’articolo 24
della Costituzione, in quanto consente al destinatario del provvedimento, che
ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela
giurisdizionale (cfr. Corte costituzionale, 5 novembre 2010, n. 310, che ha
dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art 14 del d.lgs. n. 81 del
2008 che escludeva l’obbligo di motivazione per i provvedimenti di sospensione
dell’attività imprenditoriale per violazione delle norme sul lavoro).
11. Ritiene
dunque il Collegio, conclusivamente, di ritenere fondate le predette censure.
Il ricorso va
quindi accolto con il conseguente annullamento del giudizio finale di non
ammissione alle prove orali e delle presupposte valutazioni negative sul parere
di diritto civile e sull’atto giudiziario redatti dal ricorrente e con la
condanna dell’Amministrazione a disporre il motivato riesame, da parte di una
diversa Commissione, delle prove del ricorrente, nel termine di novanta giorni
dalla comunicazione o dalla notificazione della presente sentenza.
12. Sussistono
giusti motivi per compensare le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale
Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente
pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie con gli
effetti di cui al punto 11 della motivazione.
Spese
compensate.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in
Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2015 con l'intervento dei
magistrati:
Pietro
Morabito, Presidente FF, Estensore
Francesco
Arzillo, Consigliere
Cecilia
Altavista, Consigliere
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
|
||
DEPOSITATA IN
SEGRETERIA
Il 14/07/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co.
3, cod. proc. amm.)
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