Riforma del praticantato forense: Stella vs Alpa + Ichino.
Di seguito riporto l'intervento sul Corriere della Sera di Gianantonio Stella pro giovani, a cui segue la replica dura del Presidente del C.N.F. Guido Alpa. Dulcis in fundo una precisazione di Pietro Ichino.
Vd. http://www.pietroichino.it/?p=2459
Di seguito riporto l'intervento sul Corriere della Sera di Gianantonio Stella pro giovani, a cui segue la replica dura del Presidente del C.N.F. Guido Alpa. Dulcis in fundo una precisazione di Pietro Ichino.
Vd. http://www.pietroichino.it/?p=2459
LA RIFORMA CHE PENALIZZA I GIOVANI
DI GIAN
ANTONIO STELLA
La
riforma riporta indietro la professione rispetto agli interventi
liberalizzatori e di riordino adottati per la generalità delle altre libere
professioni, e per di più impone di non pagare i praticanti nei primi sei mesi.
«L’imperativo
categorico è dare un futuro ai giovani», ha tuonato paterno Renato Schifani.
Detto fatto, l’unica legge messa in calendario dal Senato ormai agli sgoccioli
è la riforma della disciplina forense cara a un sesto dei senatori (presidente
compreso) di mestiere avvocati. Riforma che consente di imporre ai praticanti
(laureati) di lavorare gratis come i «ragazzi-spazzola» dei barbieri di una
volta. Spiegano a palazzo Madama che per carità, alla larga dalle malizie, è
tutto normale. Certo, il tempo è tiranno e, visto che dopo il varo della legge
di stabilità Mario Monti darà le dimissioni e le Camere saranno sciolte, non ci
sono proprio i giorni necessari (ahinoi!) per fare tante cose. Troppo tardi per
approvare la soppressione delle province. Troppo tardi per varare le misure
alternative al carcere care alla Guardasigilli Paola Severino. Troppo tardi per
legge sul pareggio di bilancio che secondo Vittorio Grilli sarebbe stata
«essenziale» e «parte integrante del processo di riforma e messa in sicurezza
dei conti del Paese». Troppo tardi per mandare in porto perfino certe leggine
piccole piccole sulle quali si dicono tutti d’accordo come il raddoppio delle
pene per i trafficanti di opere d’arte che finalmente consentirebbe di mettere
le manette (oggi escluse) a chi rubasse la Pietà di Michelangelo o la Venere
del Botticelli.
Troppo
tardi. Restava giusto il tempo, prima dello scioglimento del Senato, per far
passare una sola legge. E dovendo scegliere che cosa ha scelto la conferenza
dei Capigruppo, tra i quali non mancano gli avvocati? La «Nuova disciplina
dell’ordinamento della professione forense», scritta dalla vecchia maggioranza
PdL-Lega su ispirazione del Consiglio Nazionale Forense. Che arriva in aula con
grande soddisfazione del presidente della commissione Giustizia Filippo
Berselli (mestiere? avvocato) dopo la bocciatura di tutti i 160 emendamenti
presentati dalla (vecchia) opposizione.Di fatto, ha scritto «Il Sole 24
Ore», la riforma «riporta per molti versi le lancette della professione
legale a prima degli interventi “liberalizzatori” di riordino». Un esempio? «I
parametri, che nel linguaggio liberalizzatore hanno sostituito le vecchie
tariffe, in realtà tornano a somigliare molto al progenitore, considerato che
vengono “indicati” a cadenza biennale dal decreto ministeriale “su proposta del
Consiglio nazionale forense”».Gli aspetti più contrastati sono diversi. C’è chi
contesta il divieto ai non iscritti all’albo degli avvocati di fornire
consulenza extragiudiziale nelle materie giuridiche, anche se sono laureati in
legge, come fossero condannati a non usare le conoscenze giuridiche acquisite
all’università. Chi contesta la delega al Governo perché conservi il divieto a
costituire studi legali in forma di società di capitali (su modello di quelli
americani o inglesi) salvo che tutti i soci siano iscritti all’albo degli
avvocati. Chi ancora contesta il divieto di pubblicità.I punti più ammiccanti
nei confronti dei «vecchi» e più ostili ai giovani, però, sono tre. Il primo
obbliga gli avvocati a un continuo aggiornamento professionale ad eccezione di
quelli che hanno più di 25 anni di iscrizione all’Albo. Come se chi ha smesso
da più tempo di studiare avesse meno bisogno di star al passo coi nuovi testi e
le nuove sentenze di chi è di studi più recenti. Peggio: sono esentati gli
avvocati politici con la motivazione che si aggiornerebbero automaticamente
grazie a quanto fanno. Una tesi assurda, contro la quale inutilmente si è
battuto Pietro Ichino: «Quello che si chiede all’avvocato (…) è conoscere tutte
le novità giurisprudenziali, come l’ultima sentenza di Cassazione, magari non
ancora pubblicata su una rivista e che, però, può servire per vincere la causa.
La novità legislativa incide su questo onere di aggiornamento in misura minima.
(..) Non riesco a capire come si possa sostenere decentemente che un assessore
regionale o un consigliere regionale, come anche un parlamentare, si aggiornino
sulla giurisprudenza e sulla dottrina per il solo fatto di sedere in un
consiglio o un’aula del Parlamento» Più ancora, però, Ichino e altri sono
indignati per il comma 11 dell’articolo 41. Il quale dice che «ad eccezione che
negli enti pubblici e presso l’Avvocatura dello Stato» (come a dire: facciano
pure, loro, tanto sono soldi pubblici) «decorso il primo semestre, possono
essere riconosciuti con apposito contratto al praticante avvocato un’indennità
o un compenso per l’attività svolta per conto dello studio, commisurati
all’effettivo apporto professionale dato nell’esercizio delle prestazioni e
tenuto altresì conto dell’utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio
da parte del praticante avvocato». Traduzione: il titolare di uno studio può
pagare un obolo al giovane praticante avvocato che sgobba per lui solo dopo il
primo semestre. Non è obbligatorio: primi sei mesi gratis, poi è un rimborso
facoltativo. Quanto all’accenno all’«utilizzo dei servizi e delle strutture
dello studio» che vuol dire: che se il praticante fa una telefonata gli va
detratta? La sedia su cui siede va detratta? Peggio ancora, denuncia Dario
Greco, il presidente dell’Aiga, l’associazione dei giovani avvocati: il
riconoscimento di quel rimborso facoltativo dopo i primi sei mesi «cessa al
termine del periodo di pratica lasciando completamente scoperti quei giovani,
che attendono di fare l’esame d’avvocato oppure che l’hanno superato, ma che
continuano a frequentare lo studio ed a lavorare a tempo pieno per il loro dominus. Si tratta di
rapporti di collaborazione che di autonomo non hanno nulla e che coinvolgono un
elevatissimo numero di giovani di ogni regione italiana, i quali, si trovano
costretti a rimanere in tali studi alle sostanziali “dipendenze” dei loro
domini, senza forma di tutela alcuna, e senza il riconoscimento di un compenso
che sia effettivamente commisurato all’apporto che il giovane riesce a dare
allo studio».Un meccanismo, accusano i giovani legali, che «impedisce ogni
prospettiva di crescita, di progressione di carriera del giovane, oltre a
costituire una vera e propria emergenza sociale nei confronti di quei giovani
che non riescono a raggiungere la soglia dei mille euro al mese». Domanda: che
sia una coincidenza che una legge così venga salvata in «zona Cesarini», a
discapito di ogni altro provvedimento destinato a spirare insieme con la
legislatura, da un Palazzo Madama presieduto da un avvocato nel quale gli
avvocati sono addirittura 50 su poco più di trecento senatori?
LA REPLICA DI GUIDO
ALPA,
PRESIDENTE DEL CONSIGLIO
NAZIONALE FORENSE
[L'articolo
di Stella] “È gravemente lesivo
dei doveri professionali del giornalista, è pretestuoso e mentitorio. È mia
premura, per ragioni etiche e istituzionali innanzitutto, contestarne i toni e
i contenuti, e per evitare che i Senatori possano essere sfiorati dalle
proditorie insinuazioni dell’ autore e si possano formare una valutazione
distorta del provvedimento in esame.
Molto brevemente. Non è vero che l’unico provvedimento da approvare tra i
rimanenti di questa legislatura sia stato quello che interessa gli
avvocati-Senatori: è il testo che aveva ottenuto più letture, è stato discusso
nei minimi dettagli per quattro anni, è atteso da più di cinquanta anni (tanti
ce ne sono voluti per arrivare a questo punto, sul filo di lana, dal Congresso
di Genova del 1961 in cui era stata annunciata l’approvazione imminente di un
testo innovativo rispetto a quello oggi ancora vigente del 1933); è il
provvedimento che introduce principi di civiltà e di tutela dei cittadini
perché richiede all’avvocato di qualificarsi e gli dà l’opportunità di
specializzarsi, istituisce l’obbligo di iscrizione contestuale all’albo e alla
Cassa di previdenza forese, migliora l’accesso dei giovani alla professione, qualifica
le Scuole forensi che dànno un sussidio alle Scuole di specializzazione legale
delle Università, le quali non possono soddisfare l’enorme richiesta degli
aspiranti avvocati, e innova tanti altri aspetti della professione che, non lo
si deve dimenticare mai, è costituzionalmente garantita. Se l’autore
dell’articolo infamante avesse letto il testo approvato dalla Camera e poi
confermato al Senato senza emendamenti – piuttosto che ossequiare i potentati
economici – avrebbe capito che le notizie che voleva diffondere sono false e le
sue critiche del tutto pretestuose oltre che astiose. L’autore insiste sul fatto
che i praticanti non avrebbero un compenso adeguato e sarebbero sfruttati dagli
studi legali. Per i praticanti il testo prevede un rimborso adeguato,
commisurato al periodo dedicato al tirocinio e alla preparazione dell’esame.
L’articolo è scritto per colpire caste immaginarie, esistenti solo nella
fantasia di chi vuol radicare pregiudizi, creare sconcerto, disagio, odio
sociale. Il progetto di legge di riforma forense è stato esaminato in quattro
anni sotto tutti i profili, nessun rilievo di costituzionalità è fondato,
nessuna vessazione sarebbe legittimata. Di tutto ciò sono ben consapevoli
Deputati e Senatori, e sarebbe un delitto, oltre che un’offesa per i cittadini,
buttare a mare un lavoro immenso che rimedia ai ritardi del legislatore.
SULLA QUESTIONE DELLA
RETRIBUZIONE
NEL PRIMO SEMESTRE DI
PRATICANTATO DI PIETRO ICHINO
Il rapporto
tra avvocato e praticante, per giurisprudenza e prassi consolidata, è sottratto
all’applicazione delle protezioni previste per il lavoro dipendente. La nuova
norma contenuta nel disegno di legge, cui si riferisce Gianantonio Stella
nell’articolo sopra riprodotto (“decorso il primo semestre, possono essere
riconosciuti con apposito contratto al praticante avvocato un’indennità o un
compenso per l’attività svolta per conto dello studio”), fa sì che, se il
titolare dello studio si azzarda a pagare qualche cosa al praticante anche nel
primo semestre, questo può essere contestato come pagamento estraneo a un
normale rapporto di praticantato legale, e quindi assoggettato a contribuzione
previdenziale e sanzioni per l’omissione. Questo è il motivo per cui la
Commissione Lavoro del Senato, nella seduta del 27 novembre scorso, ha espresso
– su mia proposta e all’unanimità tranne due astensioni – un parere di
incostituzionalità su questa disposizione. (p.i.)
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