Discorso sulla Costituzione
di Piero Calamandrei (1955)
L’art.
34 dice: «I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di
raggiungere i gradi più alti degli studi». Eh!
E
se non hanno mezzi? Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo che è il
più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo per noi che siamo
al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a
voi.
Dice
così: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione
di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese».
È
compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della
persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a
tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di Uomo.
Soltanto
quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta
nell’articolo primo – «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul
lavoro» – corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa
possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare e di trarre con sicurezza
dal proprio lavoro i mezzi per vivere da Uomo, non solo la nostra Repubblica
non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche
democratica perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di
fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia
puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente
siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro
miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano
messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la
società.
E
allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà,
ma soltanto in parte è una realtà.
In
parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno di un lavoro
da compiere.
Quanto
lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinanzi!
È
stato detto giustamente che le costituzioni sono delle polemiche, che negli
articoli delle costituzioni c’è sempre, anche se dissimulata dalla formulazione
fredda delle disposizioni, una polemica.
Questa
polemica, di solito, è una polemica contro il passato, contro il passato
recente, contro il regime caduto da cui è venuto fuori il nuovo regime.
Se
voi leggete la parte della Costituzione che si riferisce ai rapporti civili e
politici, ai diritti di libertà, voi sentirete continuamente la polemica contro
quella che era la situazione prima della Repubblica, quando tutte queste
libertà, che oggi sono elencate e riaffermate solennemente, erano
sistematicamente disconosciute.
Quindi,
polemica nella parte dei diritti dell’uomo e del cittadino contro il passato.
Ma
c’è una parte della nostra Costituzione che è una polemica contro il presente,
contro la società presente.
Perché
quando l’art. 3 vi dice: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona
umana» riconosce con questo che questi ostacoli oggi vi sono di fatto e che
bisogna rimuoverli.
Dà
un giudizio, la Costituzione, un giudizio polemico, un giudizio negativo contro
l’ordinamento sociale attuale, che bisogna modificare attraverso questo
strumento di legalità, di trasformazione graduale, che la Costituzione ha messo
a disposizione dei cittadini italiani.
Ma
non è una Costituzione immobile che abbia fissato un punto fermo, è una
Costituzione che apre le vie verso l’avvenire.
Non
voglio dire rivoluzionaria, perché per rivoluzione nel linguaggio comune
s’intende qualche cosa che sovverte violentemente, ma è una Costituzione
rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa società in
cui può accadere che, anche quando ci sono, le libertà giuridiche e politiche
siano rese inutili dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità per
molti cittadini di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c’è una
fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione
economica, potrebbe anch’essa contribuire al progresso della società.
Quindi,
polemica contro il presente in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi
per trasformare questa situazione presente.
Però,
vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va
avanti da sé.
La
Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove.
Perché
si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna
metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse,
la propria responsabilità.
Per
questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla
politica, l’indifferentismo politico che è – non qui, per fortuna, in questo
uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani – una malattia dei giovani.
«La
politica è una brutta cosa», «che me ne importa della politica»: quando sento
fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina, che
qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti, due contadini, che
traversavano l’oceano su un piroscafo traballante.
Uno
di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si
accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo
oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: «Ma …
siamo in pericolo?», e questo dice: «Se continua questo mare, il bastimento tra
mezz’ora affonda». Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno e dice:
«Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare, tra mezz’ora il bastimento
affonda!». Quello dice: «Che me ne importa, non è mica mio!». Questo è
l’indifferentismo alla politica.
È
così bello, è così comodo: la libertà c’è. Si vive in regime di libertà, c’è
altre cose da fare che interessarsi di politica. E lo so anch’io!
Il
mondo è così bello, ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che
occuparsi di politica.
La
politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l’aria: ci si accorge
di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di
asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e
che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi
mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a
creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate
provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando
il proprio contributo alla vita politica.
La
Costituzione, vedete, è l’affermazione scritta in questi articoli, che dal
punto di vista letterario non sono belli, ma è l’affermazione solenne della
solidarietà sociale, della solidarietà umana, della sorte comune, che se va a
fondo, va a fondo per tutti questo bastimento.
È
la carta della propria libertà, la carta per ciascuno di noi della propria
dignità d’uomo.
Io
mi ricordo le prime elezioni dopo la caduta del fascismo, il 2 giugno 1946:
questo popolo che da 25 anni non aveva goduto le libertà civili e politiche, la
prima volta che andò a votare dopo un periodo di orrori – il caos, la guerra
civile, le lotte, le guerre, gli incendi.
Ricordo
– io ero a Firenze, lo stesso è capitato qui – queste file di gente
disciplinata davanti alle sezioni [elettorali], disciplinata e lieta perché
avevano la sensazione di aver ritrovato la propria dignità, questo dare il
voto, questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa
opinione della comunità, questo essere padroni di noi, del proprio Paese, del
nostro Paese, della nostra Patria, della nostra terra, disporre noi delle
nostre sorti, delle sorti del nostro paese.
Quindi,
voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra
gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso
civico, la coscienza civica, rendersi conto - questa è una delle gioie della
vita - rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, che siamo in più,
che siamo parte di un tutto, nei limiti dell’Italia e nel mondo.
Ora,
vedete – io ho poco altro da dirvi – in questa Costituzione, di cui sentirete
fare il commento nelle prossime conferenze, c’è dentro tutta la nostra storia,
tutto il nostro passato.
Tutti
i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie son tutti sfociati in
questi articoli.
E
a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane.
Quando
io leggo, nell’art. 2, «l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale», o quando leggo, nell’art. 11, «l’Italia ripudia
la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», la Patria
italiana in mezzo alle altre patrie, dico: ma questo è Mazzini, questa è la
voce di Mazzini; o quando io leggo, nell’art. 8, «tutte le confessioni
religiose sono ugualmente libere davanti alla legge», ma questo è Cavour; o
quando io leggo, nell’art. 5, «la Repubblica una e indivisibile riconosce e
promuove le autonomie locali», ma questo è Cattaneo; o quando, nell’art. 52, io
leggo, a proposito delle forze armate, «l’ordinamento delle forze armate si
informa allo spirito democratico della Repubblica», esercito di popolo, ma
questo è Garibaldi; e quando leggo, all’art. 27, «non è ammessa la pena di
morte», ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria. Grandi voci lontane, grandi
nomi lontani.
Ma
ci sono anche umili nomi, voci recenti.
Quanto
sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione!
Dietro
a ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani
come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei
campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade
di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e
la giustizia potessero essere scritte su questa carta.
Quindi,
quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta,
questo è un testamento, un testamento di centomila morti.
Se voi volete
andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate
nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono
imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per
riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché
li è nata la nostra Costituzione.
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