PROVVEDIMENTO:
il crocifisso
rimane
nelle aule giudiziarie italiane
(Cons. St., Sez. IV,
sentenza 6 dicembre 2013 n. 5830).
Un'importante sentenza passata sotto silenzio (a differenza della fase iniziale della controversia).
Massima
1. La controversia riguardante
l'esposizione del crocifisso in luoghi dove si svolgono
servizi pubblici rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo e che
"quando la vertenza ha come oggetto la contestazione della legittimità
dell'esercizio del potere amministrativo, ossia quando l'atto amministrativo
sia assunto nel giudizio non come atto materiale o come semplice espressione di
una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione
illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l'annullamento, la
posizione del cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo ... . Deve
essere tenuto presente, ancora, che in discussione sono atti riconducibili
all'espressione di una potestà regolamentare dell'Amministrazione, potestà
quindi tipicamente discrezionale. Rispetto a potestà del genere, la Corte regolatrice
della giurisdizione, di recente, ha confermato che la tutela è devoluta al
giudice amministrativo, anche se la controversia inerisca al diritto alla
salute (Cass. Sez. Un. 28.10.2005, n. 20994)".
2. La statuizione del Consiglio di Stato
sul riparto della giurisdizione è stata confermata dalla Suprema Corte di
Cassazione, che l'ha ricondotta alla potestà organizzatoria della pubblica
amministrazione, esercitata mediante provvedimenti dell'autorità preposta
(Cass. SS.UU 10.7.2006, n. 15614; 30.7.2008, n. 20601).
Una volta chiarito, quindi, che anche
nella presente fattispecie l'azione amministrativa è assunta nel giudizio non
come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma
quale attuazione illegittima di un potere amministrativo di cui è chiesto
l'annullamento nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, la domanda di
accertamento dell'illegittimità del diniego di rimozione del simbolo religioso
dalle aule dei tribunali diversi da quello dove il ricorrente svolgeva servizio
è da considerarsi inammissibile per carenza di interesse, non essendo la
richiesta di tutela correlata ad una situazione giuridica sostanziale afferente
al rapporto di pubblico impiego che si assume lesa dall'atto amministrativo, la
quale postula necessariamente l'esistenza di un interesse attuale e concreto
direttamente riconducibile al ricorrente e non, come nella specie, alla
generalità dei consociati.
Il sistema di tutela giurisdizionale
amministrativa, invero, ha il carattere di giurisdizione soggettiva e non di difesa
dell'oggettiva legittimità dell'azione amministrativa, alla stregua di
un'azione popolare, e non ammette, pertanto, un ampliamento della
legittimazione attiva al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
La circostanza che il ricorrente
prestasse, all'epoca, servizio presso il Tribunale di Camerino è sufficiente ad
escludere la sussistenza di una situazione lesa per effetto dell'esposizione
del crocifisso in
altre sedi, né è da condividere l'assunto secondo cui il magistrato avrebbe
potuto essere trasferito in altro tribunale, dovendo l'interesse idoneo a
sostanziare la legittimazione ad agire essere non solo personale e concreto, ma
anche attuale.
3. Quanto alla domanda tendente ad
ottenere la rimozione del crocifisso dalle aule del Tribunale di
Camerino, sede di servizio del ricorrente, si deve osservare che, alla luce dei
principi surrichiamati in tema di riparto, la giurisdizione spetta,
contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, al giudice amministrativo,
essendo da escludere che l'azione dell'amministrazione sia da qualificare come
mero comportamento, tale da radicare la giurisdizione del giudice ordinario,
secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 6 luglio
2004, n. 204.
Il gravame, tuttavia, non può
sottrarsi alla dichiarazione di inammissibilità ... per non essere stato
ritualmente impugnato - ovvero per essere stato comunque tardivamente impugnato
con ricorso. La necessità di tempestiva impugnazione del suddetto atto
viene ancora più in rilievo ove si consideri che il ricorso è incentrato sulla
dedotta illegittimità della circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del
29.5.1926 ((che prescrive che nelle aule d'udienza sia collocato il crocefisso,
quale "solenne ammonimento di verità e di giustizia").
4. Secondo piani principi, le circolari
amministrative sono atti diretti agli organi ed uffici dell'amministrazione e
non hanno di per sé valore provvedimentale o, comunque, vincolante per i
soggetti estranei all'amministrazione. Il soggetto che sia leso dall'atto
applicativo della circolare - come, nella specie, dal diniego sull'istanza di
rimozione del crocifisso - ha l'onere di impugnare
tempestivamente il provvedimento di attuazione lesivo della propria posizione
soggettiva, chiedendo l'annullamento o la disapplicazione della circolare
illegittima (Cons. St. Sez. VI, 13.12.2012, n. 4859; Sez. IV, 21.6.2010, n.
3877).
Nella specie, tale impugnazione non è
stata ritualmente e tempestivamente presentata onde il ricorso con cui si
contesta lo scorretto esercizio della potestà amministrativa deve essere per
questo principale motivo dichiarato inammissibile.
Sentenza per esteso
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale
5051 del 2006, proposto da:
Tosti Luigi, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Pierdominici, con domicilio eletto presso Ugo Pioletti in Roma, via Tito Livio 59;
Tosti Luigi, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Pierdominici, con domicilio eletto presso Ugo Pioletti in Roma, via Tito Livio 59;
contro
Ministero della Giustizia, Presidente
Tribunale di Camerino, non costituiti;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. MARCHE - ANCONA
n. 00094/2006, resa tra le parti, concernente rimozione dei crocefissi da tutte
le aule giudiziarie
Visti il ricorso in appello e i relativi
allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
8 ottobre 2013 il Cons. Francesca Quadri e udito per la parte appellante
l’avvocato Carla Corsetti su delega di Fabio Pierdominici;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, all’epoca dei fatti
magistrato in servizio presso il Tribunale di Camerino, con ricorso notificato
il 28 aprile 2004, adiva il Tar Marche per sentir ordinare al Ministero della
Giustizia ed al Presidente del Tribunale di Camerino, previo accertamento della
lesione dei suoi diritti nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico e
dell’illegittimità del rifiuto opposto con nota del Presidente del Tribunale di
Camerino in data 23.12.2003, di rimuovere dalle aule del Tribunale di Camerino
il simbolo religioso del crocifisso, la cui esposizione violerebbe il principio
di non confessionalità dello Stato italiano, di parità e pari dignità tra le
religioni ed il suo diritto di libertà religiosa, dovendosi ritenere non più
vigente la circolare del Ministro di Grazia e Giustizia 29 maggio 1926, n.
2134/1867 che ne disponeva la collocazione.
Con successivi motivi aggiunti, ha quindi
richiesto che venisse ordinato al Ministero della Giustizia ed al Presidente
del Tribunale di Camerino di rimuovere il crocifisso dalle aule del Tribunale
di Camerino e dalle aule di tutti gli uffici giudiziari ed, in via gradata, di
condannare l’Amministrazione ad esporre tutti gli altri simboli religiosi, atei
ed agnostici e, in ogni caso, la menorà ebraica.
Il Tar ha dichiarato l’inammissibilità del
ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la
controversia , attinente alla violazione di un diritto assoluto, sarebbe
devoluta alla cognizione del giudice ordinario, né potrebbe ricondursi alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia di rapporti di
lavoro in regime di diritto pubblico, dal momento che la sentenza della Corte
Costituzionale n. 204 del 2004 avrebbe chiarito che, anche nelle materie di
giurisdizione esclusiva, la giurisdizione del giudice amministrativo andrebbe
riconosciuta esclusivamente nei casi di esercizio autoritativo della potestà
amministrativa e non di meri comportamenti, quale sarebbe quello
dell’amministrazione contestato dal ricorrente.
Il primo giudice ha anche statuito che, pure
a voler considerare la posizione vantata dal ricorrente come di interesse
legittimo in quanto degradata dall’esercizio del potere autoritativo della
pubblica amministrazione nell’ambito del pubblico servizio o del rapporto di
pubblico impiego, il ricorso dovrebbe comunque essere dichiarato inammissibile,
in quanto non proposto ovvero tardivamente proposto contro il diniego di cui
alla nota 23.12.2003 prot. n. 2113, con cui il Presidente del Tribunale di
Camerino ha negato la rimozione del crocifisso dalle aule di quell’ufficio
giudiziario e contro la circolare del Ministero di Grazia e Giustizia in data
29 maggio 1926, n. 2134/1867 , quale atto presupposto.
Con ricorso in appello, il ricorrente ha
impugnato la sentenza del Tribunale, affidando il gravame ai seguenti motivi:
- avrebbe errato il Tar nel non
considerare che la sua domanda di rimozione del crocifisso era volta alla
tutela dei propri diritti di rango costituzionale (di libertà religiosa, di
eguaglianza e non discriminazione per motivi connessi alla religione, di
pensiero, di coscienza), necessariamente collegati all’espletamento della
propria attività lavorativa e che la richiesta di estensione degli effetti
della condanna a tutti gli uffici giudiziari italiani dipenderebbe
dall’intervenuta caducazione della circolare 29 maggio 1926, n. 2134/1867, con
effetti erga omnes;
- avrebbe erroneamente disapplicato il Tar
le norme sulla giurisdizione esclusiva in materia di pubblico impiego sulla
base di un’erronea applicazione della sentenza della Corte costituzionale n.
204/2004 e, comunque, la fattispecie non concernerebbe un mero comportamento
dell’amministrazione , bensì la violazione di diritti perpetrata tramite
l’esercizio autoritativo di poteri amministrativi, riconducibile, peraltro,
all’emanazione della circolare, potere la cui esistenza il ricorrente avrebbe
inteso contestare, non sussistendo neanche un potere organizzativo che potesse
comportare la violazione di diritti fondamentali.
Ha quindi chiesto l’annullamento della
decisione di primo grado con rinvio al Tar Marche per il giudizio di merito.
All’udienza dell’8 ottobre 2013, in vista
della quale il ricorrente ha depositato ampia memoria a sostegno delle proprie
ragioni, ribadendo il proprio interesse alla decisione pur non appartenendo più
alla magistratura, l’appello è stato trattenuto in decisione.
L’appello è infondato e va
conseguentemente respinto, sebbene con motivazione parzialmente diversa da
quella contenuta nella sentenza impugnata.
Il ricorrente lamenta la lesione da parte
dell’Amministrazione della Giustizia , ed in particolare del Presidente del
Tribunale di Camerino, attraverso il mantenimento dell’esposizione del
crocifisso nelle aule del Tribunale e l’espresso diniego opposto alle sue
reiterate istanze di rimozione, dei propri diritti fondamentali di libertà
religiosa e di non discriminazione per motivi legati alla religione ,
realizzata nell’ambito del rapporto di lavoro, in quanto – all’epoca dei fatti
– magistrato in servizio presso il Tribunale di Camerino.
Tale violazione sarebbe stata perpetrata
in illegittima esecuzione della circolare del Ministro di Grazia e Giustizia in
data 29 maggio 1926, n. 2134/1867 ( che prescrive che nelle aule d’udienza sia
collocato il crocefisso, quale “solenne ammonimento di verità e di giustizia”),
a suo dire caducata per effetto dell’entrata in vigore della Costituzione e dei
principi di non confessionalità e di laicità dello Stato italiano.
Il Tar ha declinato la propria
giurisdizione , quanto alla domanda volta ad ottenere la rimozione del
crocifisso da tutti gli uffici giudiziari italiani, poichè esulante in radice dal
rapporto di pubblico impiego e, comunque, diretta a far valere un controllo
generalizzato di legalità, svincolato dalla tutela una posizione soggettiva del
ricorrente; quanto alla domanda volta ad ottenere la rimozione dalle aule del
Tribunale di Camerino, poiché, sebbene diretta a tutelare un diritto sorgente
dal rapporto di pubblico impiego, la lesione andrebbe ricondotta non già
all’esercizio di poteri autoritativi da parte dell’Amministrazione datrice di
lavoro, bensì ad un mero comportamento e, pertanto, andrebbe esclusa
dall’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in base ai
principi stabiliti dalla Corte costituzionale con la pronuncia 6 luglio 2004,
n. 204.
Peraltro, pure a voler considerare la
posizione vantata dal ricorrente come di interesse legittimo in quanto
degradata dall’esercizio del potere autoritativo della pubblica amministrazione
nell’ambito del pubblico servizio o del rapporto di pubblico impiego, il
ricorso dovrebbe comunque essere dichiarato inammissibile, in quanto non
proposto ovvero tardivamente proposto contro il diniego di cui alla nota
23.12.2003 prot. n. 2113, con cui il Presidente del Tribunale di Camerino ha
negato la rimozione del crocifisso dalle aule di quell’ufficio giudiziario e
contro la circolare del Ministero di Grazia e Giustizia in data 29 maggio 1926,
n. 2134/1867 , quale atto presupposto.
Occorre considerare che con sentenza quasi
coeva a quella oggetto del presente appello ed in fattispecie concernente
l’impugnazione da parte di alcuni genitori del diniego del Consiglio di
Istituto di rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche, il Consiglio di
Stato (Sez. VI, 13 febbraio 2006, n.556) ha chiarito che la controversia
riguardante l’esposizione del crocifisso in luoghi dove si svolgono servizi
pubblici rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo e che “quando
la vertenza ha come oggetto la contestazione della legittimità dell’esercizio
del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto nel
giudizio non come atto materiale o come semplice espressione di una condotta
illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un
potere amministrativo, di cui si chiede l’annullamento, la posizione del
cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo………………..Deve essere
tenuto presente, ancora, che in discussione sono atti riconducibili
all’espressione di una potestà regolamentare dell’Amministrazione, potestà
quindi tipicamente discrezionale. Rispetto a potestà del genere, la Corte regolatrice
della giurisdizione, di recente, ha confermato che la tutela è devoluta al
giudice amministrativo, anche se la controversia inerisca al diritto alla
salute (Cass. Sez. Un. 28.10.2005, n. 20994)”.
La statuizione del Consiglio di Stato sul
riparto della giurisdizione è stata confermata dalla Suprema Corte di
Cassazione, che l’ha ricondotta alla potestà organizzatoria della pubblica
amministrazione, esercitata mediante provvedimenti dell’autorità preposta
(Cass. SS.UU 10.7.2006, n. 15614; 30.7.2008, n. 20601).
Una volta chiarito, quindi, che anche
nella presente fattispecie l’azione amministrativa è assunta nel giudizio non
come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma
quale attuazione illegittima di un potere amministrativo di cui è chiesto
l’annullamento nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, la domanda di
accertamento dell’illegittimità del diniego di rimozione del simbolo religioso
dalle aule dei tribunali diversi da quello dove il ricorrente svolgeva servizio
è da considerarsi inammissibile per carenza di interesse, non essendo la
richiesta di tutela correlata ad una situazione giuridica sostanziale afferente
al rapporto di pubblico impiego che si assume lesa dall’atto amministrativo ,
la quale postula necessariamente l’esistenza di un interesse attuale e concreto
direttamente riconducibile al ricorrente e non, come nella specie, alla
generalità dei consociati.
Il sistema di tutela giurisdizionale
amministrativa, invero, come condivisibilmente riconosciuto dal giudice di
prime cure, ha il carattere di giurisdizione soggettiva e non di difesa
dell’oggettiva legittimità dell’azione amministrativa, alla stregua di
un’azione popolare, e non ammette, pertanto, un ampliamento della
legittimazione attiva al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge
(ex multis, Cons. St. Sez. IV, 13.12.2011; 16.2.2011 n. 983; Sez. VI, 1.7.2008,
n. 3326).
La circostanza che il ricorrente prestasse
, all’epoca, servizio presso il Tribunale di Camerino è sufficiente ad
escludere la sussistenza di una situazione lesa per effetto dell’esposizione
del crocifisso in altre sedi, né è da condividere l’assunto secondo cui il
magistrato avrebbe potuto essere trasferito in altro tribunale, dovendo
l’interesse idoneo a sostanziare la legittimazione ad agire essere non solo
personale e concreto, ma anche attuale.
Quanto alla domanda tendente ad ottenere
la rimozione del crocifisso dalle aule del Tribunale di Camerino, sede di
servizio del ricorrente, si deve osservare che, alla luce dei principi surrichiamati
in tema di riparto, la giurisdizione spetta, contrariamente a quanto statuito
dal primo giudice, al giudice amministrativo, essendo da escludere che l’azione
dell’amministrazione sia da qualificare come mero comportamento, tale da
radicare la giurisdizione del giudice ordinario, secondo quanto stabilito dalla
Corte costituzionale nella sentenza 6 luglio 2004, n. 204.
Ciò è confermato anche da quanto dedotto
nella memoria conclusionale dallo stesso ricorrente, che ha ricostruito il
proprio ricorso come mezzo diretto a far valere un interesse legittimo leso
dallo scorretto esercizio del potere amministrativo (similmente alla
controversia decisa con sentenza del Consiglio di Stato n. 556/2006 cit.),
mediante l’impugnazione della nota di diniego della sua istanza di rimozione
del crocifisso (nota del presidente del Tribunale di Camerino del 23 dicembre
2003).
Il gravame, tuttavia, non può sottrarsi
alla dichiarazione di inammissibilità sotto altro profilo, pure colto dal
giudice di prime cure, per non essere stato ritualmente impugnato - ovvero per
essere stato comunque tardivamente impugnato con ricorso notificato solo il 28
aprile 2004, oltre il termine decadenziale di sessanta giorni.- il diniego di
rimozione del crocifisso di cui alla nota del Presidente del Tribunale di
Camerino in data 23 dicembre 2003, motivato sulla perdurante efficacia della
circolare 29.5.1926 n.2134/1867.
La necessità di tempestiva impugnazione
del suddetto atto viene ancora più in rilievo ove si consideri che il ricorso è
incentrato sulla dedotta illegittimità della circolare del Ministero di Grazia
e Giustizia del 29.5.1926.
Secondo piani principi, le circolari
amministrative sono atti diretti agli organi ed uffici dell’amministrazione e
non hanno di per sé valore provvedimentale o, comunque, vincolante per i
soggetti estranei all’amministrazione. Il soggetto che sia leso dall’atto
applicativo della circolare – come , nella specie, dal diniego sull’istanza di
rimozione del crocifisso – ha l’onere di impugnare tempestivamente il
provvedimento di attuazione lesivo della propria posizione soggettiva,
chiedendo l’annullamento o la disapplicazione della circolare illegittima
(Cons. St. Sez. VI, 13.12.2012, n. 4859; Sez. IV, 21.6.2010, n. 3877).
Nella specie, tale impugnazione non è
stata ritualmente e tempestivamente presentata onde il ricorso con cui si
contesta lo scorretto esercizio della potestà amministrativa deve essere per
questo principale motivo dichiarato inammissibile.
Sul punto, evidenziato anche dal TAR, il
ricorrente , peraltro senza avanzare specifico motivo d’appello , si limita a
ribadire l’assoluta infondatezza dell’eccezione avanzata in primo grado
dall’Avvocatura dello Stato, attesa la mancanza di degradazione dei diritti
coinvolti ad interessi legittimi.
L’assunto è infondato , essendo
sufficiente, a riguardo, richiamare ancora una volta la sentenza del Consiglio
di Stato n. 556/2006, secondo cui “ rispetto a situazioni di interesse
che sono in relazione con diritti fondamentali della persona, come per esempio
il diritto alla salute (che è stato oggetto di maggiore elaborazione
giurisprudenziale), non si può e non si deve escludere a priori la sussistenza
della giurisdizione amministrativa”.
Inconferente risulta, infine, il richiamo
del ricorrente al modulo impugnatorio del silenzio dell’amministrazione , ai
sensi dell’art. 31 c.p.a., dal momento che l’amministrazione si è motivatamente
pronunciata sulla sua istanza, mediante la nota più volte richiamata.
Conclusivamente, l’appello deve essere
respinto con conseguente conferma della dichiarazione di inammissibilità del
ricorso di primo grado, secondo la motivazione esposta.
La mancata costituzione
dell’Amministrazione appellata esime il Collegio dal provvedere in ordine alle
spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello,
come in epigrafe proposto, respinge l’appello come da motivazione e conferma la
dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 8 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
|
IL PRESIDENTE
|
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
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