domenica 16 marzo 2014

PROVVEDIMENTO: il crocifisso rimane nelle aule giudiziarie italiane (Cons. St., Sez. IV, sentenza 6 dicembre 2013 n. 5830).


PROVVEDIMENTO: 
il crocifisso
 rimane 
nelle aule giudiziarie italiane 
(Cons. St., Sez. IV,
 sentenza 6 dicembre 2013 n. 5830).



Un'importante sentenza passata sotto silenzio (a differenza della fase iniziale della controversia).

Massima

1.  La controversia riguardante l'esposizione del crocifisso in luoghi dove si svolgono servizi pubblici rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo e che "quando la vertenza ha come oggetto la contestazione della legittimità dell'esercizio del potere amministrativo, ossia quando l'atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come atto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l'annullamento, la posizione del cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo ... . Deve essere tenuto presente, ancora, che in discussione sono atti riconducibili all'espressione di una potestà regolamentare dell'Amministrazione, potestà quindi tipicamente discrezionale. Rispetto a potestà del genere, la Corte regolatrice della giurisdizione, di recente, ha confermato che la tutela è devoluta al giudice amministrativo, anche se la controversia inerisca al diritto alla salute (Cass. Sez. Un. 28.10.2005, n. 20994)".
2.  La statuizione del Consiglio di Stato sul riparto della giurisdizione è stata confermata dalla Suprema Corte di Cassazione, che l'ha ricondotta alla potestà organizzatoria della pubblica amministrazione, esercitata mediante provvedimenti dell'autorità preposta (Cass. SS.UU 10.7.2006, n. 15614; 30.7.2008, n. 20601).
Una volta chiarito, quindi, che anche nella presente fattispecie l'azione amministrativa è assunta nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma quale attuazione illegittima di un potere amministrativo di cui è chiesto l'annullamento nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, la domanda di accertamento dell'illegittimità del diniego di rimozione del simbolo religioso dalle aule dei tribunali diversi da quello dove il ricorrente svolgeva servizio è da considerarsi inammissibile per carenza di interesse, non essendo la richiesta di tutela correlata ad una situazione giuridica sostanziale afferente al rapporto di pubblico impiego che si assume lesa dall'atto amministrativo, la quale postula necessariamente l'esistenza di un interesse attuale e concreto direttamente riconducibile al ricorrente e non, come nella specie, alla generalità dei consociati.
Il sistema di tutela giurisdizionale amministrativa, invero, ha il carattere di giurisdizione soggettiva e non di difesa dell'oggettiva legittimità dell'azione amministrativa, alla stregua di un'azione popolare, e non ammette, pertanto, un ampliamento della legittimazione attiva al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.
La circostanza che il ricorrente prestasse, all'epoca, servizio presso il Tribunale di Camerino è sufficiente ad escludere la sussistenza di una situazione lesa per effetto dell'esposizione del crocifisso in altre sedi, né è da condividere l'assunto secondo cui il magistrato avrebbe potuto essere trasferito in altro tribunale, dovendo l'interesse idoneo a sostanziare la legittimazione ad agire essere non solo personale e concreto, ma anche attuale.
3.  Quanto alla domanda tendente ad ottenere la rimozione del crocifisso dalle aule del Tribunale di Camerino, sede di servizio del ricorrente, si deve osservare che, alla luce dei principi surrichiamati in tema di riparto, la giurisdizione spetta, contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, al giudice amministrativo, essendo da escludere che l'azione dell'amministrazione sia da qualificare come mero comportamento, tale da radicare la giurisdizione del giudice ordinario, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 6 luglio 2004, n. 204.
Il gravame, tuttavia, non può sottrarsi alla dichiarazione di inammissibilità ...  per non essere stato ritualmente impugnato - ovvero per essere stato comunque tardivamente impugnato con ricorso. La necessità di tempestiva impugnazione del suddetto atto viene ancora più in rilievo ove si consideri che il ricorso è incentrato sulla dedotta illegittimità della circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 29.5.1926 ((che prescrive che nelle aule d'udienza sia collocato il crocefisso, quale "solenne ammonimento di verità e di giustizia").
4.  Secondo piani principi, le circolari amministrative sono atti diretti agli organi ed uffici dell'amministrazione e non hanno di per sé valore provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all'amministrazione. Il soggetto che sia leso dall'atto applicativo della circolare - come, nella specie, dal diniego sull'istanza di rimozione del crocifisso - ha l'onere di impugnare tempestivamente il provvedimento di attuazione lesivo della propria posizione soggettiva, chiedendo l'annullamento o la disapplicazione della circolare illegittima (Cons. St. Sez. VI, 13.12.2012, n. 4859; Sez. IV, 21.6.2010, n. 3877).
Nella specie, tale impugnazione non è stata ritualmente e tempestivamente presentata onde il ricorso con cui si contesta lo scorretto esercizio della potestà amministrativa deve essere per questo principale motivo dichiarato inammissibile.


Sentenza per esteso

 Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5051 del 2006, proposto da:
Tosti Luigi, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Pierdominici, con domicilio eletto presso Ugo Pioletti in Roma, via Tito Livio 59; 
contro
Ministero della Giustizia, Presidente Tribunale di Camerino, non costituiti; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. MARCHE - ANCONA n. 00094/2006, resa tra le parti, concernente rimozione dei crocefissi da tutte le aule giudiziarie
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2013 il Cons. Francesca Quadri e udito per la parte appellante l’avvocato Carla Corsetti su delega di Fabio Pierdominici;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
Il ricorrente, all’epoca dei fatti magistrato in servizio presso il Tribunale di Camerino, con ricorso notificato il 28 aprile 2004, adiva il Tar Marche per sentir ordinare al Ministero della Giustizia ed al Presidente del Tribunale di Camerino, previo accertamento della lesione dei suoi diritti nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico e dell’illegittimità del rifiuto opposto con nota del Presidente del Tribunale di Camerino in data 23.12.2003, di rimuovere dalle aule del Tribunale di Camerino il simbolo religioso del crocifisso, la cui esposizione violerebbe il principio di non confessionalità dello Stato italiano, di parità e pari dignità tra le religioni ed il suo diritto di libertà religiosa, dovendosi ritenere non più vigente la circolare del Ministro di Grazia e Giustizia 29 maggio 1926, n. 2134/1867 che ne disponeva la collocazione.
Con successivi motivi aggiunti, ha quindi richiesto che venisse ordinato al Ministero della Giustizia ed al Presidente del Tribunale di Camerino di rimuovere il crocifisso dalle aule del Tribunale di Camerino e dalle aule di tutti gli uffici giudiziari ed, in via gradata, di condannare l’Amministrazione ad esporre tutti gli altri simboli religiosi, atei ed agnostici e, in ogni caso, la menorà ebraica.
Il Tar ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la controversia , attinente alla violazione di un diritto assoluto, sarebbe devoluta alla cognizione del giudice ordinario, né potrebbe ricondursi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia di rapporti di lavoro in regime di diritto pubblico, dal momento che la sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004 avrebbe chiarito che, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva, la giurisdizione del giudice amministrativo andrebbe riconosciuta esclusivamente nei casi di esercizio autoritativo della potestà amministrativa e non di meri comportamenti, quale sarebbe quello dell’amministrazione contestato dal ricorrente.
Il primo giudice ha anche statuito che, pure a voler considerare la posizione vantata dal ricorrente come di interesse legittimo in quanto degradata dall’esercizio del potere autoritativo della pubblica amministrazione nell’ambito del pubblico servizio o del rapporto di pubblico impiego, il ricorso dovrebbe comunque essere dichiarato inammissibile, in quanto non proposto ovvero tardivamente proposto contro il diniego di cui alla nota 23.12.2003 prot. n. 2113, con cui il Presidente del Tribunale di Camerino ha negato la rimozione del crocifisso dalle aule di quell’ufficio giudiziario e contro la circolare del Ministero di Grazia e Giustizia in data 29 maggio 1926, n. 2134/1867 , quale atto presupposto.
Con ricorso in appello, il ricorrente ha impugnato la sentenza del Tribunale, affidando il gravame ai seguenti motivi:
- avrebbe errato il Tar nel non considerare che la sua domanda di rimozione del crocifisso era volta alla tutela dei propri diritti di rango costituzionale (di libertà religiosa, di eguaglianza e non discriminazione per motivi connessi alla religione, di pensiero, di coscienza), necessariamente collegati all’espletamento della propria attività lavorativa e che la richiesta di estensione degli effetti della condanna a tutti gli uffici giudiziari italiani dipenderebbe dall’intervenuta caducazione della circolare 29 maggio 1926, n. 2134/1867, con effetti erga omnes;
- avrebbe erroneamente disapplicato il Tar le norme sulla giurisdizione esclusiva in materia di pubblico impiego sulla base di un’erronea applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004 e, comunque, la fattispecie non concernerebbe un mero comportamento dell’amministrazione , bensì la violazione di diritti perpetrata tramite l’esercizio autoritativo di poteri amministrativi, riconducibile, peraltro, all’emanazione della circolare, potere la cui esistenza il ricorrente avrebbe inteso contestare, non sussistendo neanche un potere organizzativo che potesse comportare la violazione di diritti fondamentali.
Ha quindi chiesto l’annullamento della decisione di primo grado con rinvio al Tar Marche per il giudizio di merito.
All’udienza dell’8 ottobre 2013, in vista della quale il ricorrente ha depositato ampia memoria a sostegno delle proprie ragioni, ribadendo il proprio interesse alla decisione pur non appartenendo più alla magistratura, l’appello è stato trattenuto in decisione.
L’appello è infondato e va conseguentemente respinto, sebbene con motivazione parzialmente diversa da quella contenuta nella sentenza impugnata.
Il ricorrente lamenta la lesione da parte dell’Amministrazione della Giustizia , ed in particolare del Presidente del Tribunale di Camerino, attraverso il mantenimento dell’esposizione del crocifisso nelle aule del Tribunale e l’espresso diniego opposto alle sue reiterate istanze di rimozione, dei propri diritti fondamentali di libertà religiosa e di non discriminazione per motivi legati alla religione , realizzata nell’ambito del rapporto di lavoro, in quanto – all’epoca dei fatti – magistrato in servizio presso il Tribunale di Camerino.
Tale violazione sarebbe stata perpetrata in illegittima esecuzione della circolare del Ministro di Grazia e Giustizia in data 29 maggio 1926, n. 2134/1867 ( che prescrive che nelle aule d’udienza sia collocato il crocefisso, quale “solenne ammonimento di verità e di giustizia”), a suo dire caducata per effetto dell’entrata in vigore della Costituzione e dei principi di non confessionalità e di laicità dello Stato italiano.
Il Tar ha declinato la propria giurisdizione , quanto alla domanda volta ad ottenere la rimozione del crocifisso da tutti gli uffici giudiziari italiani, poichè esulante in radice dal rapporto di pubblico impiego e, comunque, diretta a far valere un controllo generalizzato di legalità, svincolato dalla tutela una posizione soggettiva del ricorrente; quanto alla domanda volta ad ottenere la rimozione dalle aule del Tribunale di Camerino, poiché, sebbene diretta a tutelare un diritto sorgente dal rapporto di pubblico impiego, la lesione andrebbe ricondotta non già all’esercizio di poteri autoritativi da parte dell’Amministrazione datrice di lavoro, bensì ad un mero comportamento e, pertanto, andrebbe esclusa dall’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in base ai principi stabiliti dalla Corte costituzionale con la pronuncia 6 luglio 2004, n. 204.
Peraltro, pure a voler considerare la posizione vantata dal ricorrente come di interesse legittimo in quanto degradata dall’esercizio del potere autoritativo della pubblica amministrazione nell’ambito del pubblico servizio o del rapporto di pubblico impiego, il ricorso dovrebbe comunque essere dichiarato inammissibile, in quanto non proposto ovvero tardivamente proposto contro il diniego di cui alla nota 23.12.2003 prot. n. 2113, con cui il Presidente del Tribunale di Camerino ha negato la rimozione del crocifisso dalle aule di quell’ufficio giudiziario e contro la circolare del Ministero di Grazia e Giustizia in data 29 maggio 1926, n. 2134/1867 , quale atto presupposto.
Occorre considerare che con sentenza quasi coeva a quella oggetto del presente appello ed in fattispecie concernente l’impugnazione da parte di alcuni genitori del diniego del Consiglio di Istituto di rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche, il Consiglio di Stato (Sez. VI, 13 febbraio 2006, n.556) ha chiarito che la controversia riguardante l’esposizione del crocifisso in luoghi dove si svolgono servizi pubblici rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo e che “quando la vertenza ha come oggetto la contestazione della legittimità dell’esercizio del potere amministrativo, ossia quando l’atto amministrativo sia assunto nel giudizio non come atto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma sia considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede l’annullamento, la posizione del cittadino si concreta come posizione di interesse legittimo………………..Deve essere tenuto presente, ancora, che in discussione sono atti riconducibili all’espressione di una potestà regolamentare dell’Amministrazione, potestà quindi tipicamente discrezionale. Rispetto a potestà del genere, la Corte regolatrice della giurisdizione, di recente, ha confermato che la tutela è devoluta al giudice amministrativo, anche se la controversia inerisca al diritto alla salute (Cass. Sez. Un. 28.10.2005, n. 20994)”.
La statuizione del Consiglio di Stato sul riparto della giurisdizione è stata confermata dalla Suprema Corte di Cassazione, che l’ha ricondotta alla potestà organizzatoria della pubblica amministrazione, esercitata mediante provvedimenti dell’autorità preposta (Cass. SS.UU 10.7.2006, n. 15614; 30.7.2008, n. 20601).
Una volta chiarito, quindi, che anche nella presente fattispecie l’azione amministrativa è assunta nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma quale attuazione illegittima di un potere amministrativo di cui è chiesto l’annullamento nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, la domanda di accertamento dell’illegittimità del diniego di rimozione del simbolo religioso dalle aule dei tribunali diversi da quello dove il ricorrente svolgeva servizio è da considerarsi inammissibile per carenza di interesse, non essendo la richiesta di tutela correlata ad una situazione giuridica sostanziale afferente al rapporto di pubblico impiego che si assume lesa dall’atto amministrativo , la quale postula necessariamente l’esistenza di un interesse attuale e concreto direttamente riconducibile al ricorrente e non, come nella specie, alla generalità dei consociati.
Il sistema di tutela giurisdizionale amministrativa, invero, come condivisibilmente riconosciuto dal giudice di prime cure, ha il carattere di giurisdizione soggettiva e non di difesa dell’oggettiva legittimità dell’azione amministrativa, alla stregua di un’azione popolare, e non ammette, pertanto, un ampliamento della legittimazione attiva al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (ex multis, Cons. St. Sez. IV, 13.12.2011; 16.2.2011 n. 983; Sez. VI, 1.7.2008, n. 3326).
La circostanza che il ricorrente prestasse , all’epoca, servizio presso il Tribunale di Camerino è sufficiente ad escludere la sussistenza di una situazione lesa per effetto dell’esposizione del crocifisso in altre sedi, né è da condividere l’assunto secondo cui il magistrato avrebbe potuto essere trasferito in altro tribunale, dovendo l’interesse idoneo a sostanziare la legittimazione ad agire essere non solo personale e concreto, ma anche attuale.
Quanto alla domanda tendente ad ottenere la rimozione del crocifisso dalle aule del Tribunale di Camerino, sede di servizio del ricorrente, si deve osservare che, alla luce dei principi surrichiamati in tema di riparto, la giurisdizione spetta, contrariamente a quanto statuito dal primo giudice, al giudice amministrativo, essendo da escludere che l’azione dell’amministrazione sia da qualificare come mero comportamento, tale da radicare la giurisdizione del giudice ordinario, secondo quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 6 luglio 2004, n. 204.
Ciò è confermato anche da quanto dedotto nella memoria conclusionale dallo stesso ricorrente, che ha ricostruito il proprio ricorso come mezzo diretto a far valere un interesse legittimo leso dallo scorretto esercizio del potere amministrativo (similmente alla controversia decisa con sentenza del Consiglio di Stato n. 556/2006 cit.), mediante l’impugnazione della nota di diniego della sua istanza di rimozione del crocifisso (nota del presidente del Tribunale di Camerino del 23 dicembre 2003).
Il gravame, tuttavia, non può sottrarsi alla dichiarazione di inammissibilità sotto altro profilo, pure colto dal giudice di prime cure, per non essere stato ritualmente impugnato - ovvero per essere stato comunque tardivamente impugnato con ricorso notificato solo il 28 aprile 2004, oltre il termine decadenziale di sessanta giorni.- il diniego di rimozione del crocifisso di cui alla nota del Presidente del Tribunale di Camerino in data 23 dicembre 2003, motivato sulla perdurante efficacia della circolare 29.5.1926 n.2134/1867.
La necessità di tempestiva impugnazione del suddetto atto viene ancora più in rilievo ove si consideri che il ricorso è incentrato sulla dedotta illegittimità della circolare del Ministero di Grazia e Giustizia del 29.5.1926.
Secondo piani principi, le circolari amministrative sono atti diretti agli organi ed uffici dell’amministrazione e non hanno di per sé valore provvedimentale o, comunque, vincolante per i soggetti estranei all’amministrazione. Il soggetto che sia leso dall’atto applicativo della circolare – come , nella specie, dal diniego sull’istanza di rimozione del crocifisso – ha l’onere di impugnare tempestivamente il provvedimento di attuazione lesivo della propria posizione soggettiva, chiedendo l’annullamento o la disapplicazione della circolare illegittima (Cons. St. Sez. VI, 13.12.2012, n. 4859; Sez. IV, 21.6.2010, n. 3877).
Nella specie, tale impugnazione non è stata ritualmente e tempestivamente presentata onde il ricorso con cui si contesta lo scorretto esercizio della potestà amministrativa deve essere per questo principale motivo dichiarato inammissibile.
Sul punto, evidenziato anche dal TAR, il ricorrente , peraltro senza avanzare specifico motivo d’appello , si limita a ribadire l’assoluta infondatezza dell’eccezione avanzata in primo grado dall’Avvocatura dello Stato, attesa la mancanza di degradazione dei diritti coinvolti ad interessi legittimi.
L’assunto è infondato , essendo sufficiente, a riguardo, richiamare ancora una volta la sentenza del Consiglio di Stato n. 556/2006, secondo cui “ rispetto a situazioni di interesse che sono in relazione con diritti fondamentali della persona, come per esempio il diritto alla salute (che è stato oggetto di maggiore elaborazione giurisprudenziale), non si può e non si deve escludere a priori la sussistenza della giurisdizione amministrativa”.
Inconferente risulta, infine, il richiamo del ricorrente al modulo impugnatorio del silenzio dell’amministrazione , ai sensi dell’art. 31 c.p.a., dal momento che l’amministrazione si è motivatamente pronunciata sulla sua istanza, mediante la nota più volte richiamata.
Conclusivamente, l’appello deve essere respinto con conseguente conferma della dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado, secondo la motivazione esposta.
La mancata costituzione dell’Amministrazione appellata esime il Collegio dal provvedere in ordine alle spese di giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello come da motivazione e conferma la dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado.
Nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Francesca Quadri, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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