sabato 8 giugno 2013

ENERGIA: l'art. 14, L. n. 689/81 si applica anche ai procedimenti sanzionatori dell'A.E.E.G. (T.A.R. Lombardia, Milano, 17 dicembre 2012 n. 3061).


ENERGIA: 
l'art. 14, L. n. 689/81 si applica anche 
ai procedimenti sanzionatori dell'A.E.E.G. 
(T.A.R. Lombardia, Milano, 17 dicembre 2012 n. 3061)


Massima

L'art. 14, l. n. 689 del 1981 che disciplina i tempi e i modi della contestazione delle violazioni cui si correla l'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, si applica anche ai procedimenti sanzionatori dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas
Invero, l'art. 14, l. n. 689 del 1982 definisce l'ambito di applicazione della disciplina delle sanzioni amministrative, stabilendo che le norme in essa contenute si osservano "in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale". L'intento del legislatore perseguito mediante detta previsione normativa è quello di assoggettare ad uno statuto unico tutte le ipotesi di sanzioni amministrative pecuniarie, derivanti o meno dalla depenalizzazione di reati, mediante una disciplina unica ed esaustiva idonea ad assicurare un determinato livello di garanzie procedimentali per ogni soggetto cui è inflitta una sanzione pecuniaria amministrativa. Il limite di tale estensione è dato dall'applicabilità della disciplina in esame nella particolare materia e dall'assenza di una diversa regolamentazione da parte di una fonte normativa pariordinata, che presenti carattere di specialità e, pertanto, introduca una deroga alla norma generale e di principio.

Sentenza per esteso

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 522 del 2011, proposto da:
Azienda Intercomunale Metano - Servizi Vendita s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Piron e Antonio Martini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Milano Galleria San Carlo n. 6; 
contro
Autorità Per L'Energia Elettrica e il Gas, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, presso i cui Uffici è domiciliata per legge, in Milano via Freguglia n. 1; 
per l'annullamento
-della deliberazione dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas datata 22 novembre 2010 n. VIS 148/10, recante “Irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, ai sensi dell’art. 2, comma 20 lett. c), della legge 14 novembre 1995 n. 481, nei confronti di A.I. Met. Azienda Intercomunale Metano Servizi e Vendita s.r.l.”;
-della nota del 21 settembre 2009 prot. n. 53959 con cui l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha comunicato le risultanze istruttorie;
-della deliberazione dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas datata 4 dicembre 2007 n. 301, recante avvio di istruttoria formale, notificata in data 28.12.2007;
-della deliberazione dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas datata 1° giugno 2007 n. 124;
-della deliberazione dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas datata 18 settembre 2007 n. 227 di chiusura dell’istruttoria conoscitiva avviata con deliberazione n. 124/07;
-di ogni atto presupposto;
nonché per la condanna dell’amministrazione
- alla restituzione dell’importo del sanzione amministrativa, con rivalutazione monetaria e interessi legali;
-al risarcimento del danno.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Autorita' Per L'Energia Elettrica e il Gas;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 novembre 2012 il dott. Fabrizio Fornataro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
La società Azienda Intercomunale Metano - Servizi Vendita s.r.l. (di seguito anche A.I.Met) ha impugnato gli atti indicati in epigrafe deducendone l’illegittimità per violazione di legge, in relazione, in particolare, all’art. 2, comma 20 lett. c), della legge 1995 n. 481 e all’art. 14 della legge 1981 n. 689, nonché per eccesso di potere sotto diversi profili.
Nel contempo la ricorrente ha chiesto la condanna dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas alla restituzione delle somme versate e al risarcimento del danno sofferto.
L’amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha eccepito l’infondatezza del ricorso avversario, chiedendone il rigetto.
Le parti hanno prodotto memorie e documenti.
All’udienza del giorno 14.11.2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO
1) In punto di fatto va osservato che, con la deliberazione n. 237/00 del 28.12.2000, l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (d’ora in poi A.E.E.G. o Autorità) definiva i criteri per la determinazione delle tariffe per le attività di distribuzione del gas e di fornitura ai clienti del mercato vincolato, individuando, tra l’altro, un coefficiente di correzione rapportato alle caratteristiche altimetriche e climatiche delle singole zone (c.d. coefficiente M, il cui valore è specificato nelle tabelle allegate alla delibera).
Con deliberazione n. 124/07, datata 01.06.2007, l’Autorità avviava un’istruttoria conoscitiva sull’applicazione da parte delle imprese di trasporto, distribuzione e vendita del gas naturale, tra l’altro, del coefficiente di adeguamento tariffario stabilito con la deliberazione n. 237/00.
L’istruttoria veniva chiusa dall’Autorità con la deliberazione n. 227/07 del 18.09.2007.
Con deliberazione n. 301/07, datata 4 dicembre 2007 e notificata in data 28 dicembre 2007, l’Autorità avviava un’istruttoria formale nei confronti di A.I.Met per l’adozione di provvedimenti prescrittivi e sanzionatori in conseguenza della violazione dei provvedimenti dell’A.E.E.G. relativi al coefficiente di adeguamento tariffario M e, in particolare, per la violazione dell’obbligo di esporre in bolletta il valore del coefficiente M.
Quindi, con nota del 21 settembre 2009 prot. n. 53959 l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas comunicava alla società le risultanze istruttorie.
Infine, con deliberazione datata 22 novembre 2010 n. VIS 148/10 l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas accertava la violazione da parte di A.I.Met delle disposizioni inerenti al coefficiente M poste dall’art. 17, comma 1, della deliberazione n. 237/00 e, contestualmente, irrogava alla società una sanzione amministrativa pecuniaria, ai sensi dell’art. 2, comma 20 lett. c, della legge 1995 n. 481, pari ad 25.822,84 Euro.
2) E’ fondato il motivo – che presenta carattere assorbente perché di portata sostanziale – con il quale si deduce la violazione dell’art. 14 della legge 1981 n. 689, in quanto il potere sanzionatorio sarebbe stato illegittimamente esercitato dall’Autorità dopo il decorso del termine perentorio stabilito proprio dall’art. 14 ora richiamato.
Questa disposizione disciplina i tempi e i modi della contestazione delle violazioni cui si correla l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, prevedendo, nei primi due commi, che “la violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa. Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all'estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall'accertamento.”
Non è condivisibile la tesi, pure sostenuta, secondo la quale l’art. 14 della legge 1981 n. 689 non sarebbe applicabile al caso di specie in coerenza con alcuni passaggi della sentenza del Consiglio di Stato 3 maggio 2010, n. 2507.
In primo luogo, va osservato che la sentenza ora citata, dopo avere prospettato l’inapplicabilità dell’art. 14 della legge 1981 n. 689 per ragioni di incompatibilità di tale disciplina con “la complessa attività (regolatrice, di controllo, di istruttoria e sanzionatoria) propria dell’A.E.E.G. (richiamando anche l'art. 12 della citata legge, secondo cui “le disposizioni di questo capo si osservano, in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito”), nonché in considerazione del carattere speciale della legge istitutiva dell'A.E.E.G. (legge n. 481/1995) e “del rinvio dalla stessa operato, nell’art. 2 comma 24, lett. a), ad una disciplina regolamentare dei procedimenti sanzionatori”, esamina il merito della causa proprio sul presupposto dell’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 14 della legge 1981 n. 689.
In ogni caso, il Tribunale ritiene di confermare l’orientamento del tutto prevalente, della giurisprudenza di primo e di secondo grado, che ritiene applicabile anche ai procedimenti sanzionatori dell’Autorità la disciplina posta dall’art. 14 della legge 1981 n. 689.
Invero, l’art. 12 della legge 1981 n. 689 definisce l’ “ambito di applicazione” della disciplina della sanzioni amministrative, stabilendo che le norme in essa contenute si osservano “in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito, per tutte le violazioni per le quali è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro, anche quando questa sanzione non è prevista in sostituzione di una sanzione penale”.
La giurisprudenza ha messo in luce l’intento del legislatore di assoggettare ad un statuto unico tutte le ipotesi di sanzioni amministrative pecuniarie, derivanti o meno dalla depenalizzazione di reati, mediante una disciplina unica ed esaustiva idonea ad assicurare un determinato livello di garanzie procedimentali per ogni soggetto cui è inflitta una sanzione pecuniaria amministrativa.
Il limite di tale estensione è dato dall’ “applicabilità” della disciplina in esame nella particolare materia e dall’assenza di una diversa regolamentazione da parte di una fonte normativa pari ordinata, che presenti carattere di specialità e, pertanto, introduca una deroga alla norma generale e di principio.
Del resto, l’orientamento tradizionale ha precisato che “il limite alla “vis espansiva” delle disposizioni di cui al capo I della legge n. 681/1989 non va individuato nella sua “compatibilità” con la singola fattispecie sanzionatoria, in relazione alle finalità di rilievo pubblico che a mezzo di essa si è inteso perseguire, ma si raccorda alla nozione di “applicabilità” del quadro normativo ivi prefigurato. Questa attiene alla sussistenza dei presupposti identificati dall’art. 12 (natura amministrativa dell’illecito; quantificazione in via pecuniaria della sanzione; non riconducibilità dell’illecito ad uno specifico codice di disciplina) e non implica alcuno scrutinio di coerenza e congruità del sistema prefigurato al capo I della legge n. 689/1981 con le singole misure repressive”.
Di conseguenza, in base all’art. 12 della legge n. 689/1981, le disposizioni “del capo I della legge medesima devono essere osservate con riguardo a tutte le violazioni aventi natura amministrativa per le quali è comminata la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di danaro, essendo palese l’intento di attribuire a dette disposizioni carattere generale, così da comprendere qualsiasi ipotesi di illecito amministrativo, ad eccezione delle violazioni disciplinari e di quelle comportanti sanzioni non pecuniarie”.
In senso contrario non rileva la tendenziale complessità dell’attività rimessa all’Autorità che comprende anche gli interventi di regolazione, atteso che le sanzioni pecuniarie, se anche applicate da un soggetto dotato di poteri regolatori in un determinato settore, conservano la valenza afflittiva e dissuasiva che le caratterizza e che giustifica l’applicazione di un corpus unitario di norme che ne disciplina l’irrogazione.
Né merita condivisione la valorizzazione della specialità della disciplina contenuta nella legge 1995 n. 481, in quanto, in relazione ai poteri sanzionatori dell’Autorità, l’art. 2, comma 20 lett. c), della legge ora citata si limita a prevedere, in generale, le ipotesi di illecito amministrativo e le misure repressive pecuniarie, di cui fissa il minimo ed il massimo edittale, senza dettare particolari regole procedimentali per la loro irrogazione, idonee a sostituire, nel particolare settore, quelle dettate dalla legge 1981 n. 689.
Neppure il riferimento al d.p.r. 2001 n. 244 vale ad individuare una disciplina speciale per i procedimenti sanzionatori attivati dall’Autorità, idonea a prevalere sulla normativa generale contenuta nella legge 1981 n. 689.
Al di là della natura solo regolamentare del d.p.r. 2001 n. 244, che lo rende inidoneo a derogare a norme di fonte primaria in mancanza di una specifica previsione legislativa sul punto o di un meccanismo di delegificazione, vale osservare che tale normativa concerne la generalità delle procedure istruttorie dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas, a norma dell'articolo 2, comma 24 lettera a), della L. 14 novembre 1995, n. 481 e non solo i procedimenti sanzionatori.
In ogni caso, resta fermo che la disciplina, di fonte primaria e secondaria, inerente ai procedimenti dell’Autorità non contiene delle previsioni speciali che introducano termini perentori per la conclusione dei procedimenti di irrogazione delle sanzioni pecuniarie, tali da derogare alla disciplina generale della legge 1981 n. 689 (cfr. in relazione all’orientamento dominate ora riferito si considerino tra le altre, Consiglio di Stato, sez. VI, 25 giugno 2004, n. 6901; Consiglio di Stato, sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 341; T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 23 ottobre 2007 n. 6261; T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 19 giugno 2007 n. 5475; T.a.r. Lombardia Milano, sez. III, 29 dicembre 2008, n. 6181; Tar Lombardia Milano, sez. III, 10 settembre 2009, n. 4638; T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 24 novembre 2009, n. 5131).
Una volta ribadita l’applicabilità dell’art. 14 della legge 1981 n. 689, vale osservare che non è in contestazione la natura perentoria del termine di 90 giorni dall’accertamento della violazione entro il quale deve avvenire la contestazione, in coerenza con il consolidato orientamento della giurisprudenza, sia ordinaria sia amministrativa, atteso che l’art. 14 stabilisce espressamente che l'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione si estingue se è stata omessa la notificazione nel termine prescritto (cfr. sul punto tra le tante Cass. Civ. 5 marzo 2003, n. 3254).
Rispetto alla determinazione del momento iniziale della decorrenza del termine perentorio di 90 giorni va considerato che l'art. 14 della legge n. 689 del 1981 correla il dies a quo all'accertamento della violazione; tuttavia, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza, l'accertamento non coincide con la generica e approssimativa percezione del fatto, ma con il compimento di tutte le indagini necessarie al fine della piena conoscenza di esso.
Insomma, la mera constatazione dei fatti nella loro materialità non coincide necessariamente con l'accertamento degli estremi della violazione, cui si correla la decorrenza del termine di contestazione, perché vi sono ambiti in cui l’accertamento della violazione richiede un’apposita attività istruttoria e valutativa dei fatti constatati.
Ecco, allora, che il termine non decorre dalla semplice notizia di un fatto astrattamente idoneo ad integrare una violazione, ma dall’acquisizione della piena conoscenza della condotta illecita, effettuata sulla base di un’apposita attività valutativa, sicché non è computabile ai fini della decorrenza del termine il periodo ragionevolmente occorso, in relazione alla complessità delle singole fattispecie, per l’acquisizione e la delibazione degli elementi necessari “per una matura e legittima formulazione della contestazione” (cfr. Cass. Civ., 29 febbraio 2008, n. 5467; Consiglio di stato, sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 341; T.a.r. Lazio, sez. III ter, 22 novembre 2007, n. 12490; T.a.r. Lombardia Milano, sez. III, 29 dicembre 2008, n. 6181).
Nella fattispecie in esame l’amministrazione ha avviato l’istruttoria in data 01.06.2007, con la delibera n. 124/07, concludendola con la delibera n. 227/07 del 18.09.2007, che segna il momento di accertamento della violazione a seguito del compimento di tutte le indagini necessarie per la piena conoscenza di essa, con conseguente decorrenza del termine perentorio di 90 giorni posto dall'art. 14 della legge n. 689 del 1981.
D’altro canto la contestazione della violazione è avvenuta con la deliberazione datata 4 dicembre 2007 n. 301, recante avvio di istruttoria formale, notificata alla società ricorrente in data 28.12.2007.
Ne deriva che tra l’accertamento della violazione, riconducibile, come già evidenziato, alla deliberazione n. 227/2007 del 18.09.2007 di chiusura dell’istruttoria e la contestazione degli addebiti, avvenuta con la notificazione in data 28.12.2007 della deliberazione n. 301/2007, è intercorso un termine superiore a 90 giorni, con conseguente violazione dell’art. 14 della legge 1981 n. 689.
Ne deriva la fondatezza del motivo in esame, atteso che l’Autorità ha violato il termine previsto dall’art. 14 della legge 1981 n. 689, effettuando la contestazione degli addebiti dopo il decorso di 90 giorni dall’accertamento della violazione.
Il carattere assorbente della censura esaminata consente di prescindere dall’esame delle ulteriori doglianze articolate nel ricorso.
3) E’ parzialmente fondata la domanda con la quale la società ricorrente chiede la condanna dell’Autorità alla restituzione delle somme versate a titolo di sanzione in esecuzione della deliberazione datata 22 novembre 2010 n. VIS 148/10.
Invero, l’annullamento del provvedimento sanzionatorio impugnato in via principale comporta il venire meno ex tunc del titolo in base al quale la società ricorrente ha provveduto al pagamento della sanzione irrogatale, sicché i relativi importi devono essere restituiti dall’amministrazione resistente.
Del resto, si tratta di una condanna ad un facere non provvedimentale, rispetto al quale non si delineano profili di discrezionalità idonei a precludere la condanna dell’amministrazione in sede di cognizione, ai sensi dell’art. 34 c.p.a., fermo restando che la controversia, afferendo a provvedimenti sanzionatori, rientra nella giurisdizione esclusiva e funzionale del Tribunale, ai sensi degli artt. 14, comma 2, e 133 lett. l, c.p.a..
Viceversa la domanda non può essere accolta nella parte in cui chiede la rivalutazione monetaria delle somme versate.
Il credito di cui si tratta è di valuta, avendo ab origine ad oggetto una somma di denaro, pertanto la rivalutazione può astrattamente venire in considerazione come componente della pretesa vantata in termini di maggior danno da ritardato adempimento del debito, ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c..
Sul punto, dopo altalenanti orientamenti giurisprudenziali, variamente articolati nel corso di decenni, in ordine alla prova che il creditore deve fornire per conseguire il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria in caso di tardivo adempimento di debiti di valuta ed, in particolare, in ordine ai limiti all’utilizzabilità della prova presuntiva, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono recentemente intervenute sul punto, enucleando precisi principi di diritto, cui aderisce il Tribunale.
Si è precisato (cfr. Cassazione civile, Sezioni Unite, 16 luglio 2008, n. 19499 e giurisprudenza successiva, tra le tante si consideri Cassazione civile sez. III, 28 marzo 2012, n. 4959; Cassazione civile, sez. VI, ordinanza 8 marzo 2012, n. 3682) che: “a) nelle obbligazioni pecuniarie, in difetto di discipline particolari dettate da norme speciali, il maggior danno di cui all'art. 1224 c.c., comma 2 (rispetto a quello già coperto dagli interessi legali moratori non convenzionali che siano comunque dovuti) è in via generale riconoscibile in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento - dovendo ritenersi superata l'esigenza di inquadrare a tale fine il creditore in una delle categorie a suo tempo individuate - nella eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell'art. 1284 cod. civ., comma 1; b) è fatta salva la possibilità del debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore a quella differenza, in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata; c) il creditore che domandi a titolo di maggior danno una somma superiore a quella differenza è tenuto ad offrire la prova del danno effettivamente subito, quand'anche sia un imprenditore, mediante la produzione di idonea e completa documentazione, e ciò sia che faccia riferimento al tasso dell'interesse corrisposto per il ricorso al credito bancario sia che invochi come parametro l'utilità marginale netta dei propri investimenti; d) in entrambi i casi la prova potrà dirsi raggiunta per l'imprenditore solo se, in relazione alle dimensioni dell'impresa ed all'entità del credito, sia presumibile, nel primo caso, che il ricorso o il maggior ricorso al credito bancario abbia effettivamente costituito conseguenza dell'inadempimento, ovvero che l'adempimento tempestivo si sarebbe risolto nella totale o parziale estinzione del debito contratto verso le banche; e, nel secondo, che la somma sarebbe stata impiegata utilmente nell'impresa".
In definitiva, il maggior danno di cui all'art. 1224, comma 2, c.c. può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali, mentre al di fuori di tale meccanismo presuntivo deve essere provato in modo specifico dalla parte che ne chiede il ristoro.
Nondimeno la giurisprudenza già citata ha precisato, in modo del tutto coerente con i criteri che governano il riparto dell’onere della prova, che la sopravvenuta svalutazione monetaria non ne consente una rivalutazione d'ufficio, occorrendo una domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno nei limiti previsti dall'art. 1224, comma 2, c.c. ed il soddisfacimento del relativo onere probatorio.
Insomma, spetta al ricorrente richiedere il maggior danno da svalutazione fornendo la prova almeno presuntiva di questo e cioè almeno del tasso del bot non superiore all'anno (sul punto, testualmente, Cassazione civile, sez. III, 28 marzo 2012, n. 4959).
Nel caso di specie, la domanda di rivalutazione non è supportata sul piano probatorio, perché la parte ricorrente non ha dimostrato, neppure in via indiziaria, che nel periodo preso in considerazione il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali.
La mancata soddisfazione dell’onere probatorio, peraltro di minima difficoltà, conduce al rigetto della domanda di condanna al pagamento di somme a titolo di danno da svalutazione monetaria.
Nondimeno, la circostanza che si tratti di un debito restitutorio di valuta rende fondata, ex art. 1224, comma 1, c.c., la pretesa alla corresponsione degli interessi di mora, al saggio legale, dal momento della costituzione in mora dell’amministrazione, ossia dal momento della notificazione del ricorso in esame, recante anche la domanda restitutoria, fino alla concreta soddisfazione della pretesa vantata.
4) E’ infondata la domanda di condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno per violazione del termine di effettuazione della contestazione degli addebiti, articolata dalla ricorrente richiamando l’art. 2 bis, comma 1, della legge 1990 n. 241.
Sul punto è sufficiente osservare che l’art. 2 bis, comma 1, della legge 1990 n. 241, da correlare all’art. 30, comma 4, c.p.a., prevede che anche la violazione, dolosa o colposa, da parte dell’amministrazione del termine di conclusione del procedimento può essere fonte di responsabilità risarcitoria, qualora da tale comportamento derivi un danno ingiusto.
La norma non introduce una forma automatica di indennizzo correlata alla mera violazione del termine procedimentale, ma precisa che anche questa violazione può essere fonte di un danno ingiusto da risarcire.
Pertanto, la fattispecie rientra nell’ambito dell’illecito extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. e la pretesa risarcitoria può essere accolta solo in quanto siano provati gli elementi costitutivi della responsabilità risarcitoria.
Nel caso di specie la ricorrente, oltre a non avere dimostrato la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, non ha neppure allegato e provato la sussistenza di un danno risarcibile.
Ne deriva l’infondatezza della domanda risarcitoria, che, pertanto, deve essere respinta.
5) In definitiva, il ricorso è parzialmente fondato e merita accoglimento nei limiti dianzi esposti.
La soccombenza parziale reciproca consente di compensare tra le parti le spese della lite.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)definitivamente pronunciando accoglie in parte il ricorso e per l’effetto:
1) annulla la deliberazione dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas datata 22 novembre 2010 n. VIS 148/10;
2) condanna l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas alla restituzione delle somme versate dalla società ricorrente a titolo sanzionatorio in forza della deliberazione datata 22 novembre 2010 n. VIS 148/10, con esclusione della rivalutazione monetaria, ma con corresponsione degli interessi di mora al saggio legale dal giorno della notificazione del ricorso e sino alla completa soddisfazione;
3) respinge la domanda di condanna al risarcimento del danno;
4) compensa tra le parti le spese della lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Domenico Giordano, Presidente
Dario Simeoli, Primo Referendario
Fabrizio Fornataro, Primo Referendario, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/12/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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