ADUNANZE PLENARIE:
chiarite due questioni controverse
sulle concessioni di scavi archeologici
(Ad. Plen., sentenza 8 agosto 2013 n. 19).
Massima
1. In relazione alla procedura di affidamento
della concessione del servizio di gestione di scavi archeologici, ai sensi
dell’art. 75 del Codice dei contratti pubblici, per il quale l’importo della
garanzia a corredo dell’offerta deve essere ‘pari al due per cento del prezzo
base indicato nel bando o nell’invito’, è legittima la clausola della ‘lettera
di richiesta di offerta vincolante’ – pur se non indicata nella precedente
sollecitazione a presentare le offerte – che commisura tale percentuale
all’intero valore economico della concessione e non soltanto agli introiti
ricavati dalla vendita dei biglietti.
2. In relazione alla procedura di affidamento
della concessione del servizio di gestione di scavi archeologici, ai sensi
dell’art. 30, comma 1, e dell’art. 69 del Codice dei contratti pubblici è
legittima la clausola della ‘lettera di richiesta di offerta vincolante’ che, a
pena di esclusione, impone ai concorrenti di rendere una dichiarazione con la
quale essi si impegnano ‘a garantire la continuità dei rapporti di lavoro in
essere al momento del subentro, con esclusione di ulteriori periodi di prova,
di tutto il personale già impiegato nei servizi oggetto della presente
concessione in esecuzione di precedenti convenzioni e riportato nell’apposito Allegato
1’ (cosi detta ‘clausola sociale’).
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza
Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 21
di A.P. del 2013, proposto da:
Ministero Per I Beni E Le Attivita' Culturali, Soprintendenza Per I Beni Archeologici Di Napoli E Pompei, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero Per I Beni E Le Attivita' Culturali, Soprintendenza Per I Beni Archeologici Di Napoli E Pompei, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Soc. Culturespaces Sa in Proprio ed in
Qualità Di Mandataria Rti, Rti - Mondomostre Srl in Proprio E Mandante, Rti -
Skira Editore Spa in Proprio E Mandante, rappresentati e difesi dagli avv.
Antonio Lirosi, Marco Martinelli, con domicilio eletto presso & Partners
Gianni,Origoni,Grippo,Cappelli in Roma, via delle Quattro Fontane 20;
sul ricorso numero di registro generale 22
di A.P. del 2013, proposto da:
Ministero Per I Beni E Le Attivita' Culturali, Soprintendenza Per I Beni Archeologici Di Napoli E Pompei, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero Per I Beni E Le Attivita' Culturali, Soprintendenza Per I Beni Archeologici Di Napoli E Pompei, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Soc. Culturespaces Sa in Proprio ed in
Qualità Di Mandataria Rti, rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Lirosi,
Marco Martinelli, con domicilio eletto presso & Partners
Gianni,Origoni,Grippo,Cappelli in Roma, via delle Quattro Fontane 20; Rti -
Mondomostre Srl in Proprio E Mandante, rappresentato e difeso dagli avv. Marco
Martinelli, Antonio Lirosi, con domicilio eletto presso & Partners Gianni,Origoni,Grippo,Cappelli
in Roma, via delle Quattro Fontane 20;
per la riforma
quanto al ricorso n. 21 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Campania -
Napoli: Sezione I n. 00677/2012, resa tra le parti, concernente affidamento in
concessione dei servizi di biglietteria e altri, presso i siti: scavi di
pompei, di ercolano, di oplonti, di boscoreale e scavi di stabia.
quanto al ricorso n. 22 del 2013:
della sentenza del T.a.r. Campania -
Napoli: Sezione I n. 00678/2012, resa tra le parti, concernente affidamento in
concessione dei servizi di biglietteria e altri servizi aggiuntivi, presso il
museo archeologico nazionale di napoli, complesso vanvitelliano reggia di
caserta, appartamenti storici palazzo reale di napoli, museo di capodimonte,
museo pignatelli cortes, museo duca di martina castel s.elmo e museo di
s.martino.
Visti i ricorsi in appello e i relativi
allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio
di Soc. Culturespaces Sa in Proprio ed in Qualità Di Mandataria Rti e di Rti -
Mondomostre Srl in Proprio E Mandante e di Rti - Skira Editore Spa in Proprio E
Mandante e di Soc. Culturespaces Sa in Proprio ed in Qualità Di Mandataria Rti
e di Rti - Mondomostre Srl in Proprio E Mandante;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno
17 giugno 2013 il Cons. Marzio Branca e uditi per le parti l’avvocato dello
Stato Maria Elena Scaramucci per l’appellante l’avv. Antonio Lirosi per la
parte resistente.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto
quanto segue.
FATTO
1. La Culturespaces S.A., la Mondo Mostre
s.r.l., la Skira Editore s.p.a., in proprio e nelle rispettive vesti di
designata mandataria, la prima, e di designate mandanti, la seconda e la terza,
della costituenda associazione temporanea di imprese dalle stesse formata, la
Culturespaces S.A. e la Mondo Mostre s.r.l., in proprio e nelle rispettive
vesti di designata mandataria, la prima, e di designata mandante, la seconda,
della costituenda associazione temporanea di imprese dalle stesse formata, con
i ricorsi, rispettivamente, n. 5306 e n. 5330 del 2011, proposti al Tribunale
amministrativo regionale per la Campania, hanno chiesto l’annullamento di due
clausole della “lettera di richiesta di offerta vincolante” con cui sono state
ammesse alla seconda fase delle due procedure gara, cui hanno partecipato in
costituenda ATI, indette dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici
di Napoli e Pompei per l’affidamento, per la durata di anni sei, della
concessione dei servizi di biglietteria e di altri servizi aggiuntivi,
riguardo: quanto alla prima gara (CIG 0502648E3C), agli scavi di Pompei,
Ercolano, Oplonti, Boscoreale e Stabia, per un valore stimato di € 83.889.120
IVA esclusa (ricorso n. 5306 del 2011); quanto alla seconda gara (CIG 050261208B),
al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, al Complesso Vanvitelliano Reggia di
Caserta, agli Appartamenti Storici di Palazzo Reale di Napoli, al Museo di
Capodimonte, al Museo Pignatelli Cortes, al Museo Duca di Martina Castel S.
Elmo e al Museo di San Martino, per un valore stimato di € 17.426.328 IVA
esclusa (ricorso n. 5330 del 2011).
2. La prima delle due clausole impugnate
con i ricorsi sopra citati è quella di cui al punto 4, lett. B, della
"lettera di richiesta di offerta vincolante", con la quale si impone,
a pena di esclusione, l’obbligo di prestare una cauzione provvisoria pari €
1.677.782,00 per la prima gara (a seguito di rettifica con la risposta al
quesito n. 3 della “Raccolta ai Quesiti n. 4 del 24 agosto 2011"), e pari
€ 348.526,00 per la seconda. Per entrambe le gare la cauzione è stata chiesta
in riferimento all’art. 75 del d.lgs. n. 163 del 2006, per il quale l’offerta è
corredata da una garanzia “pari al due per cento del prezzo base indicato nel
bando o nell’invito”, essendo stati assunti, come valore dell’importo garantito
per la commisurazione della percentuale, i valori stimati delle concessioni
pari come sopra indicato per la prima gara (CIG 0502648E3C), a € 83.889.120 e,
per la seconda (CIG 050261208B), a € 17.426.328.
La seconda clausola impugnata è quella di
cui al punto 4, lett. A, della "lettera di richiesta di offerta
vincolante”, che, altresì a pena di esclusione, impone ai concorrenti di
rendere una dichiarazione con la quale si impegnano “a garantire la continuità
dei rapporti di lavoro in essere al momento del subentro, con esclusione di
ulteriori periodi di prova, di tutto il personale già impiegato nei servizi
oggetto della presente concessione in esecuzione di precedenti convenzioni e
riportato nell’apposito Allegato 1” (cosi detta “clausola sociale”).
3. Il Tribunale amministrativo regionale
per la Campania, sezione prima, con le sentenze n. 677 e n. 678 del 2012, ha
accolto, rispettivamente, i ricorsi n. 5306 e n. 5330 del 2011 e, per
l’effetto, ha annullato le impugnate clausole delle citate “lettere di
richiesta di offerta vincolante” relative alle gare di cui sopra. Ha compensato
tra le parti le spese del giudizio e condannato il Ministero resistente al
rimborso in favore delle ricorrenti del contributo unificato, come per legge.
4. Con gli appelli in epigrafe, n. 3526 e
n. 3528 del 2012, è chiesto l’annullamento delle citate sentenze di primo
grado, rispettivamente n. 677 e n. 678 del 2012 e, per l’effetto, il rigetto
dei relativi ricorsi, con domanda cautelare di sospensione dell’esecutività
delle sentenze.
Le domande cautelari sono state accolte,
rispettivamente, con le ordinanze n. 2190 e n. 2191 del 6 giugno 2012.
5. All’esito dell’udienza del 22 marzo
2013, in cui le cause sono state trattenute per la decisione, il Collegio, riuniti
gli appelli in epigrafe, ha pronunciato la sentenza non definitiva n. 2374 del
30 aprile 2013, con cui ha respinto le eccezioni di inammissibilità dei ricorsi
di primo grado dedotte con gli appelli stessi e, quanto al merito delle
questioni in controversia (salva la delibazione della questione della
legittimità della così detta “clausola sociale”), con ordinanza 8 maggio 2013
n. 2493, ne ha rimesso l’esame all’Adunanza plenaria, poiché suscettibili di
dare luogo a contrasti giurisprudenziali, come in seguito specificato, restando
riservata al definitivo ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle
spese.
All’udienza del 17 giugno 2013, uditi i
difensori delle parti come in epigrafe, le cause sono state trattenute in
decisione.
DIRITTO
1. L’ordinanza in epigrafe rimette
all’esame dell’Adunanza Plenaria due questioni del tutto autonome, che
concernono due diverse clausole della “lettera di richiesta di offerta
vincolante” (in seguito Lettera), con la quale l’Amministrazione ha avviato due
procedure concessorie riguardanti la gestione, l’una degli scavi di Pompei,
Ercolano, Oplonti, Boscoreale e Stabia, l’altra il Museo Archeologico Nazionale
di Napoli, del Complesso Vanvitelliano Reggia di Caserta, degli Appartamenti
Storici di Palazzo Reale di Napoli, del Museo di Capodimonte, del Museo
Pignatelli Cortes, del Museo Duca di Martina Castel S. Elmo e del Museo di San
Martino.
Le due questioni, che sono comuni ad
entrambe le procedure, debbono essere trattate separatamente.
2.1. Il primo quesito concerne la clausola
(punto 4, lett. B della Lettera, come rettificata con la risposta al quesito n.
3 della “Raccolta ai Quesiti n. 4 del 24 agosto 2011”) con la quale si
determina l’importo della garanzia a corredo dell’offerta che, a norma
dell’art. 75 del d.lgs. 163 del 2006, deve essere “pari al due per cento del
prezzo base indicato nel bando o nell’invito”.
Essendo stati assunti, come importo per la
commisurazione della detta percentuale, i valori stimati delle concessioni,
ricordati sopra, la clausola impone, a pena di esclusione, l’obbligo di
prestare una cauzione provvisoria pari € 1.677.782,00 per la prima gara e pari
€ 348.526,00 per la seconda.
2.2. Secondo la ricorrente in primo grado,
l’Amministrazione avrebbe dovuto assumere come parametro di riferimento della
garanzia provvisoria la somma dei valori percentuali spettanti ad essa Società
a titolo di aggio per il servizio di biglietteria e per gli altri servizi
(rispettivamente il 12 e il 90 per cento nella prima gara e il 30 e il 95 per
cento nella seconda) e, quindi, calcolare su tale somma il 2 per cento di cui
all’art. 75 del Codice dei contratti pubblici, e non rapportarlo, come avvenuto
nella specie, all’intero valore economico della concessione.
A sostegno della tesi si è citato in primo
grado e ora in appello, da un lato, l’art. 29, comma 12, lett. a 2), del Codice
suddetto, per il quale, negli appalti dei servizi assicurativi e bancari, in
cui l’appaltatore ritrae il proprio vantaggio economico dalla trattenuta di una
percentuale derivante dallo svolgimento dei servizi in gara, la base d’asta è
individuata negli “onorari, commissioni da pagare e altre forme di
remunerazione” e, dall’altro, che in caso contrario si verrebbe a imporre ai
concorrenti un onere partecipativo sproporzionato per eccesso rispetto
all’oggetto della gara, e ciò sarebbe avvenuto nella specie.
2.3. Il Tar Campania ha accolto il motivo
di ricorso richiamando la precedente sentenza, 11 gennaio 2012, n. 239, del
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sez. II–quater), intervenuta
tra le stesse parti nel contenzioso avente ad oggetto la gestione del polo
museale romano.
Secondo quella sentenza l’Amministrazione
avrebbe errato nel calcolare il valore della concessione in riferimento al
totale dei presunti introiti derivanti cumulativamente dalla vendita dei
biglietti e dai corrispettivi per tutti i servizi complementari o aggiuntivi
“giacché in tale importo è compresa anche la quota parte spettante
all’amministrazione per la fruizione del museo da parte del pubblico, attività
estranea all’oggetto della concessione”.
2.4. Con sentenza della VI Sezione 26
giugno 2012, n. 3764, è stato accolto l’appello dell’Amministrazione avverso la
detta sentenza del Tribunale amministrativo per il Lazio n. 239 del 2012,
praticamente recepita, come detto, dalle sentenze di primo grado qui impugnate.
Nella detta sentenza si ritiene, in
sintesi, che: nel quadro complessivo della concessione di cui si tratta il
servizio di biglietteria è elemento accessorio, assorbito nella gestione
indiretta dei beni culturali, la cui convenienza economica risulta per i
privati dal bilanciamento fra le percentuali trattenute per i diversi servizi;
nelle concessioni, in quanto svincolate dagli ordinari parametri
sinallagmatici, il valore complessivo è di necessità commisurato all’utilità
complessiva che il bene è in grado di produrre, non essendo l’Amministrazione
tenuta a versare un compenso al concessionario ma questo a versarle un canone
sfruttando le potenzialità economiche del servizio concesso.
La sentenza motiva la propria statuizione
anche menzionando l’esigenza della copertura del rischio della mancata
formalizzazione dell’accordo nonché la delicata attività di maneggio di denaro
condotta dal concessionario, che nei fatti può disporre per tempi difficilmente
comprimibili di notevole liquidità.
2.5. Gli atti di appello sono anteriori
alla pubblicazione di quest’ultima sentenza ma nella sostanza ne precorrono le
argomentazioni.
2.6. Secondo l’ordinanza di rimessione
alla Adunanza Plenaria la sentenza della stessa Sezione appena citata,
pronunciatasi sullo specifico quesito, non pare possa considerarsi risolutiva,
ritenendosi che potrebbero comunque insorgere successivi contrasti
giurisprudenziali, per due ragioni.
Si fa presente, in primo luogo, che una non
lontana sentenza delle SS.UU. (27 maggio 2009, n. 12252), valorizza la
circostanza che l’affidamento di cui si tratta riguarda due diverse tipologie
di servizi individuate dall’art. 117 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio: quelli “di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico”
(comma 2) e quelli “di pulizia, vigilanza e biglietteria” (comma 3),
affermandosi che l’affidamento del primo tipo dia luogo ad una concessione di
servizio pubblico, il cui corrispettivo consiste nel diritto di gestirli e
sfruttarli economicamente, mentre il servizio di biglietteria costituirebbe
normalmente un appalto di servizio pubblico, in quanto servizio reso
all’Amministrazione dietro pagamento di una quota parte del prezzo del
pagamento del biglietto.
In secondo luogo, la Sezione attribuisce
rilievo ad una recentissima deliberazione dell’Autorità di Vigilanza sui
Contratti Pubblici (n. 10 del 6 marzo 2013), con la quale, rivisitando
l’orientamento espresso con determinazioni n. 9 e n. 13 del 2010, sul tema specifico
della determinazione del valore della concessione ai fini del computo della
garanzia, si è ritenuto, facendo anche riferimento alla ricordata pronuncia
delle SS.UU., che:
“il valore dell’affidamento in
concessione relativo ai servizi strumentali dovrebbe corrispondere al
corrispettivo del servizio reso dall’affidatario, mentre il valore
dell’affidamento in concessione concernente i servizi per il pubblico dovrebbe
corrispondere alla rimuneratività presunta per il concessionario, ossia alla
utilità complessiva che il bene è in grado di produrre…”.
La Sezione conclude nel senso che potrebbe
“ritenersi corretto far coincidere tale valore con il totale dei corrispettivi
stessi spettanti al concessionario, non assumendo invece - pur integrati i
servizi in unica concessione in via procedurale - che tale valore sia calcolato
sulla base del totale degli introiti, ivi comprese le quote
dell’Amministrazione.” (paragrafo 6.7.).
2.7. L’Adunanza Plenaria non condivide
l’ipotesi interpretativa avanzata nell’ordinanza di remissione.
E’ da osservare, in primo luogo, che la
richiamata sentenza delle Sezioni Unite (n.12252 del 2009) non impone di
concludere che le due tipologie di servizi, assistenza al pubblico e
biglietteria, debbano in ogni caso soggiacere ad una disciplina differenziata.
Ed infatti, la Corte, investita della
questione sulla appartenenza della giurisdizione, pur riaffermando che sussiste
una distinzione quanto alla natura del rapporto: concessione, quanto ai servizi
di assistenza, e appalto per la biglietteria, conclude come segue: “ 6.3 …Sennonchè
sia i servizi aggiuntivi che il servizio di biglietteria sono stati affidati a
seguito della stessa procedura di affidamento con il medesimo atto concessorio
e gli atti emessi dalla p.a., del quale si è chiesto l'annullamento al TAR,
investono il rapporto tra le parti nel suo complesso, senza alcuna distinzione
tra concessione dei servizi aggiuntivi ed appalto del servizio di biglietteria,
ed egualmente è a dirsi per la domanda risarcitoria proposta dalla Ati,
rappresentata dalla Novamusa.
6.4. Osservano queste S.U. che,
poichè gli art. 113, comma 3, T.U. del 1999 e art. 117, comma 3, del codice del
2004, fanno riferimento al servizio di biglietteria come integrante le
concessioni sui servizi aggiuntivi, e quindi posizionando tale servizio come
accessorio nell'ambito di un prevalente rapporto concessorio di pubblico
servizio, il riparto della giurisdizione dovrà effettuarsi tenendo conto del
principio della prevalenza, che non è estraneo alle questioni di determinazione
della giurisdizione (Cass. S.U. 12/05/2008, n. 11656; Cass. civ., Sez. Unite,
28/10/1995, n. 11310; Cass. civ., Sez. Unite, 25/03/1991, n. 3199).
Se ne deve concludere che, secondo
l’avviso della Suprema Corte, l’astratta distinzione tra i contenuti tipici
della concessione e quelli propri dell’appalto non è di ostacolo a che un
determinato rapporto sia considerato, a determinati fini, in modo unitario,
quando – come nella specie - sia la legge ad indicare la forma giuridica, e
quindi il regime, cui il rapporto deve soggiacere.
Non appare esatta, infatti, la tesi
sostenuta nella richiamata determinazione dell’Autorità di Vigilanza, secondo
cui l’assorbimento dell’appalto nella concessione, sarebbe bensì previsto dal
d.lgs. n. 42 del 2004, in ossequio al principio di economia dell’azione
amministrativa, ma “esclusivamente da un punto di vista procedurale, non
sostanziale”, ossia con limitato riferimento alla procedura di
individuazione del contraente.
Può al contrario osservarsi agevolmente
come, sia nell’art. 115 sia nell’art. 117 del Codice, si parli di forma
integrata con riferimento alla “gestione”, ossia con riguardo non al dato
procedurale della gara, bensì alla modalità di svolgimento dei servizi, in
esecuzione di un rapporto di carattere unitario.
Milita in tal senso anche il disposto di
cui all’art. 117, comma 5, dove di dispone che “I canoni di concessione dei
servizi sono incassati e ripartiti ai sensi dell'articolo 110.”,
disposizione quest’ultima nella quale si disciplina in modo unitario il
versamento de “i proventi derivanti dalla vendita dei biglietti di ingresso
agli istituti ed ai luoghi della cultura, nonché dai canoni di concessione e dai
corrispettivi per la riproduzione dei beni culturali”.
Il comma 3 dello stesso art. 110, inoltre,
dispone: “I proventi derivanti dalla vendita dei biglietti d'ingresso agli
istituti ed ai luoghi appartenenti o in consegna allo Stato sono destinati alla
realizzazione di interventi per la sicurezza e la conservazione dei luoghi
medesimi, ai sensi dell'articolo 29, nonché all'espropriazione e all'acquisto
di beni culturali, anche mediante esercizio della prelazione.”.
La norma chiarisce che, quando
l’Amministrazione si determina per il sistema della gestione indiretta tramite
concessione a norma dell’art. 115, comma 2, persegue l’interesse pubblico
mediante una operazione di cui è componente essenziale il profilo finanziario,
in modo da non rinunciare a quei proventi che avrebbe acquisito nel sistema
della gestione diretta.
Non risulta irragionevole, dunque, che le
garanzie, richieste al concessionario, siano commisurate, a norma dell’art. 75
del d.lgs. n. 163 del 2006, sull’intero valore del rapporto, affinché sia
assicurata la copertura del rischio di mancata formalizzazione dell’accordo
(come di successiva non corretta gestione del servizio): una copertura che non
può non comprendere gli introiti ricavati dalla vendita dei biglietti.
In conclusione gli appelli per questa
parte meritano accoglimento.
3.1. La seconda clausola impugnata è
quella di cui al punto 4, lett. A, della "Lettera”, che, altresì a pena di
esclusione, impone ai concorrenti di rendere una dichiarazione con la quale si
impegnano “a garantire la continuità dei rapporti di lavoro in essere al
momento del subentro, con esclusione di ulteriori periodi di prova, di tutto il
personale già impiegato nei servizi oggetto della presente concessione in
esecuzione di precedenti convenzioni e riportato nell’apposito Allegato 1”
(cosi detta “clausola sociale”).
Le già ricordate sentenze di primo grado
hanno accolto i ricorsi sul punto annullando la clausola, ma la Sezione
remittente, con la sentenza non definitiva n. 2374 del 2013 ha accolto il
motivo di appello con cui è stata contestata la sentenza di primo grado circa
la statuizione di illegittimità della clausola in questione .
La Sezione nondimeno ha ritenuto di
demandare all’Adunanza Plenaria di verificare la legittimità della clausola
sotto il profilo, dedotto dalla parte resistente, della previsione della stessa
nella “lettera” di invito e non nella “sollecitazione”, che nell’attuale
procedura tiene luogo del bando.
Il dubbio trae origine dal precetto di cui
all’art. 69 del codice dei contratti, a norma del quale le particolari
condizioni di esecuzione del contratto che è possibile apporre, attinenti anche
“a esigenze sociali”, devono essere “precisate nel bando di gara, o nell’invito
nel caso di procedure senza bando”.
La Sezione ha ritenuto non esaustive la
considerazioni in base alle quali il motivo è stato rigettato dalla già
ricordata sentenza della Sezione VI n. 3764 del 2012, (polo museale romano) i
cui passi salienti sono i seguenti:
“Il Collegio non ravvisa, a quest’ultimo
riguardo, il prospettato contrasto fra sollecitazione (finalizzata alla
prequalificazione delle imprese) e lettera di invito, dovendo qualificarsi la
ricordata clausola sociale non come requisito di partecipazione, ma come
modalità di esecuzione del servizio: modalità indicata in tempo utile – in via
integrativa del bando – affinché le imprese potessero valutare, senza alcuna
lesione della “par condicio”, la convenienza dell’offerta da presentare.
“Il carattere non invalidante di tale
integrazione corrisponde, peraltro, a ragioni di economia procedimentale, in
quanto l’integrazione del bando – ritenuta necessaria nella sentenza appellata
– presupporrebbe l’inutile azzeramento dell’intera procedura, anziché il
completamento della stessa in una fase, antecedente alla presentazione delle
offerte, in cui l’integrazione del bando – non implicante alcun contrasto con
il contenuto del medesimo – doveva considerarsi legittimamente effettuabile
(sulla differenza tra fase prequalificativa e fase valutativa vera e propria
dell’offerta cfr. Cons. St., sez. VI, 4.6.2009, n. 3442).”.
3.2. L’Adunanza Plenaria è dell’avviso che
le suesposte considerazioni meritino conferma.
E’ anche da aggiungere che la censura
affidata alla pretesa violazione dell’art. 69 del d.lgs. n. 163 del 2006 doveva
considerarsi infondata per la ragione preliminare che, in forza dell’art. 30,
comma 1, del medesimo codice dei contratti, le relative disposizioni “non si
applicano alle concessioni di servizi”.
E’ ben vero che il terzo comma dell’art.
30, prescrive che la scelta del concessionario deve avvenire nel rispetto dei
principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti
pubblici e, in particolare, dei principi di trasparenza, adeguata pubblicità,
non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento,
proporzionalità; e tuttavia, come chiarito dall’Adunanza Plenaria con la
sentenza n. 13 del 2013, non potrebbe sostenersi, a norma del ricordato comma
1, l’applicabilità di tutte le disposizioni del codice, in quanto tutte le
norme di dettaglio costituiscono una più o meno immediata applicazione di
principi generali.
L’applicabilità delle disposizioni
legislative specifiche, di per sé estranee alla concessione di servizi, è
predicabile quando esse trovino la propria ratio immediata nei suddetti
principi, sia pure modulati al servizio di esigenze più particolari, ma sempre
configurandosi come estrinsecazioni essenziali dei principi medesimi.
Tale carattere non può essere attribuito
all’art. 69 in questione, ove inteso, sempre che ciò sia possibile, secondo la
tesi della parte resistente, come volto a comminare l’illegittimità di una
condizione particolare di esecuzione, attinente ad esigenze sociali, perché non
prevista nel bando ma nella lettera di invito.
In realtà la norma è destinata a
salvaguardare il principio, questo certamente non eludibile, e nella specie
osservato, che il concorrente sia messo in condizione di conoscere, prima della
presentazione dell’offerta, quali oneri assume con la partecipazione alla gara.
Gli appelli, pertanto, anche per questa
parte devono essere accolti.
3.3. Sussistono ragioni legate alla
complessità della vicenda per compensare integralmente le spese del doppio
grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
definitivamente pronunciando sugli
appelli, come in epigrafe proposti, li accoglie, e, per l'effetto, in riforma delle
sentenze impugnate respinge i ricorsi di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 17 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 06/08/2013
(Art. 89, co. 3,
cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione
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