PROCESSO:
le prassi della P.A. illegittime
non onerano il ricorrente al ricorso "demolitorio" classico
ma lo legittimano a proporre
l'azione d'accertamento e di condanna
(Cons. St., Sez. IV,
sentenza 9 maggio 2013 n. 2518).
Massima
La prassi, intesa quale costante sperimentazione di protocolli procedimentali, praeter o addirittura contra legem, tesi ad elidere (come nel caso di specie) fasi essenziali del procedimento amministrativo, ivi compreso il provvedimento finale, è inidonea a generare oneri di impugnazione, ponendosi piuttosto, essa stessa, come comportamento violativo dell'obbligo di concludere il procedimento; pertanto, dinanzi ad una siffatta prassi, l'unica tutela praticabile è l' azione di accertamento e condanna a provvedere.
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8278 del 2012,
proposto da:
Comune di Bari in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Chiara Lonero Baldassarra, Augusto Farnelli, con domicilio eletto presso Roberto Ciociola in Roma, via Bertoloni, 37;
Comune di Bari in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Chiara Lonero Baldassarra, Augusto Farnelli, con domicilio eletto presso Roberto Ciociola in Roma, via Bertoloni, 37;
contro
Rocco Calabrese, Vito Dentamaro, Stella Mercante, Anna
Paparella, Clarizio Vitina, Filippo Di Venere, Vita Ferrara, Angelo Michele
Mariano, Corrado Soranno, Michele Morisco, Luigi De Robertis, Rocco Sabino,
Maria Amelia Pantone, Nicola Lioce, Filippo Ladisa, Andrea D'Agosto, Giovanni
Caito, Angelo Albergo, Rosa Albergo, Lidia Caito, rappresentati e difesi dagli
avv. Vito Aurelio Pappalepore, Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso
Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A; Angela Nitti, Lisandro Miliotti,
Patrizia Nitti, Maria Di Venere, Nicola Mercante, Addolorata Deflorio, Angela
Soranno, Rosa Maria Tunzi, Maria Rosa De Angelis, Domenico Mariano, Giovanni
Burdi, Angela Burdi, Michele Nitti, Filomena Lorusso, Angela Armenise, Elio
Bovio, Nicola Raganelli, Sebstiano Pasqua, Carmela Loizzi, Madia Colonna,
Domenica Di Venere, Antonia Francone, Annamaria Burdi, Donato Tenerelli, Teresa
Calabrese, Domenico Partipilo, Nicola Latorre, Carolina Mongelli, Angela
Sebastiano; Paolo Falco, Rosa Angela Nitti, Antonio Piscopo, Francesca Mariano,
Giuseppe Morisco, Pasqua Attolini, Antonia Attolini, Massimo Ursini, Nicola
Caiati, Michele Cavone, Domenico Battista, Maria Luisa Colonna, Antonia
Colonna, Carmela Falco, Antonio Soranno, Anna Piscopo, Gaetano Fascina, Michele
Macina, Giovanni Pacione, Francesco Falco, Giovanni Bovio, Marcello Bovio,
Francesco Triggiani, Onofrio Burdi, Angela Pascazio, Maddalena Angelo, Beatrice
Di Tanno, Vincenza Conforti, Vito Bratta, Michelangelo Giannelli, Paolo
Caradonna, Oronzo Caradonna, Gregorio Luisi, Rosa Calabrese, Chiara Annamaria
Calabrese, Alberto Ruta, rappresentati e difesi dagli avv. Nicolo' De Marco,
Vito Aurelio Pappalepore, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma,
via Cassiodoro N.1/A; Cesaria Giannelli, rappresentato e difeso dagli avv. Vito
Aurelio Pappalepore, Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso Sandro De
Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A; Elia Caito, rappresentato e difeso
dall'avv. Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in
Roma, via Cassiodoro N.1/A;
e con l'intervento di
Soc Pegaso Cooperativa, rappresentato e difeso
dall'avv. Francesco Guaglianone, con domicilio eletto presso Annamaria Rizzo in
Roma, via Fabio Massimo, 9;
Ermenegilda Careccia, Olga Careccia, Giuseppe Palella, Antonia Triggiano, Vittoria Palella, Francesca Calabrese, Antonio Lorusso, Leonardo Lorusso, Maria Panarelli, Antonio Romito, Francesca Romito, Giovanna Lorusso, Simonetta Lorusso, Mariellina Rosa Lenoci, Stefano Lenoci, Simeone Di Cagno Abbrescia, Gasparri Camillo, Procuratore Speciale di Di Cagno Abbrescia Amalia, rappresentati e difesi dall'avv. Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A;
Ermenegilda Careccia, Olga Careccia, Giuseppe Palella, Antonia Triggiano, Vittoria Palella, Francesca Calabrese, Antonio Lorusso, Leonardo Lorusso, Maria Panarelli, Antonio Romito, Francesca Romito, Giovanna Lorusso, Simonetta Lorusso, Mariellina Rosa Lenoci, Stefano Lenoci, Simeone Di Cagno Abbrescia, Gasparri Camillo, Procuratore Speciale di Di Cagno Abbrescia Amalia, rappresentati e difesi dall'avv. Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – Bari - Sezione III
n. 00897/2012, resa tra le parti, concernente parere negativo approvazione
piano di lottizzazione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Rocco
Calabrese, Vito Dentamaro, Stella Mercante, Anna Paparella, Clarizio Vitina,
Filippo Di Venere, Paolo Falco, Vita Ferrara, Rosa Angela Nitti, Antonio
Piscopo, Francesca Mariano, Angelo Michele Mariano, Corrado Soranno, Michele
Morisco, Luigi De Robertis, Giuseppe Morisco, Pasqua Attolini, Antonia
Attolini, Rocco Sabino, Maria Amelia Pantone, Massimo Ursini, Nicola Lioce,
Filippo Ladisa, Nicola Caiati, Michele Cavone, Domenico Battista, Maria Luisa
Colonna, Antonia Colonna, Carmela Falco, Antonio Soranno, Anna Piscopo, Gaetano
Fascina, Michele Macina, Giovanni Pacione, Cesaria Giannelli, Francesco Falco,
Giovanni Bovio, Marcello Bovio, Francesco Triggiani, Onofrio Burdi, Angela
Pascazio, Maddalena Angelo, Beatrice Di Tanno, Vincenza Conforti, Vito Bratta,
Michelangelo Giannelli, Paolo Caradonna, Oronzo Caradonna, Gregorio Luisi, Rosa
Calabrese, Chiara Annamaria Calabrese, Alberto Ruta, Andrea D'Agosto, Giovanni
Caito, Angelo Albergo, Rosa Albergo, Lidia Caito, Elia Caito;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2013
il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Nino Matassa (su
delega di Augusto Farnelli e di Chiara Lonero Baldassarra) e Nicolò De Marco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
Gli odierni appellati, proprietari di terreni ubicati
nell'agro di Ceglie e Loseto in zona di espansione C/1, maglia n. 10, già
inserita nel III P.P.A., presentavano, in data 17 aprile 2003, un Piano di
lottizzazione per un'area estesa 623.000 metri quadri, comprendente circa 500
proprietari catastali. In data 1º ottobre 2003, il Piano otteneva parere
favorevole dal Coordinamento tecnico interno della Ripartizione urbanistica,
che comunque rinviava alcuni approfondimenti al momento di verifica
dell’assoggettabilità del progetto alla V.I.A.
Successivamente venivano richieste più volte
integrazioni documentali, fino alla delibera del 22 dicembre 2005, nella quale
il Consiglio comunale di Bari, dato atto dell’intervenuta scadenza del terzo
piano pluriennale di attuazione, dell’assenza di normativa regionale attuativa
delle previsioni dell’art. 20 della legge 30 aprile 1999, n. 136, della
ravvisata esigenza di munirsi di apposito programma per il riequilibrio urbano
e lo sviluppo urbanistico del territorio (P.ri.sv.u.t.) disponeva l’adozione di
varianti alle norme tecniche di attuazione interessanti gli artt. 5, 31, 32,
39, 51, 52 e 59, con introduzione quale norma transitoria dell’art. 59 bis.
La relativa delibera era ritenuta illegittima dal TAR
Puglia in quanto di natura meramente soprassessoria ( sent. n. 961/2007).
Il piano attuativo era successivamente adeguato dagli
istanti alla disciplina di variante superstite all'annullamento giurisdizionale,
e ripresentato in data 11 febbraio 2010. Su tale adeguamento il Coordinamento
tecnico interno esprimeva parere negativo in data 10 giugno 2010 e poi, dopo
una serie di adeguamenti, chiarimenti e integrazioni, ancora una volta in data
25 marzo 2011 sulla base di ulteriori motivi.
Tale ultimo atto era impugnato dinanzi al TAR Puglia.
Con motivi aggiunti era altresì impugnata la nota 13 ottobre 2011, prot.
240.691 (con i relativi allegati) confermativa del pregresso parere negativo.
Il Tribunale, decidendo definitivamente la causa, ha
accolto i motivi aggiunti (dichiarando improcedibile il ricorso originario) e,
per l’effetto, “annullato la nota del 13 ottobre 2011 della Ripartizione
urbanistica ed edilizia privata del Comune di Bari e gli atti sottostanti”
nonché chiarito, che “l'annullamento degli atti impugnati (accomunati, come i
precedenti sottoposti al vaglio del Tribunale, dalla loro valenza di ostacolo
ingiustificatamente frapposto alla conclusione del procedimento), coniugato con
il principio dell'effettività della tutela cui il processo è preordinato a
favore della parte vittoriosa, non può non comportare l'obbligo dell'Ente
locale di porre in essere nell'immediato ogni misura adeguata al risultato
urbanistico-edilizio richiesto dalla parte perché conforme al piano regolatore
generale in vigore e applicativo dello stesso”.
I passaggi motivazionali salienti sono stati i
seguenti: A) La nota 13 ottobre 2011, prot. 240.691, e l’istruttoria tecnica
allegata, comportano un ulteriore arresto procedimentale anche alla luce della
prassi del Comune di Bari di non sottoporre il piano di lottizzazione bocciato
dagli organi tecnici alla valutazione di quelli politici (del consiglio ovvero
della giunta in forza dell’articolo 5, punto 13-b) del decreto-legge 13 maggio
2011, n. 70, convertito nella legge 12 luglio 2011, n. 106, e dall'articolo 10
della legge regionale I agosto 2011, n. 21). Ciò radica l'interesse al relativo
annullamento; B) E’ privo di fondamento il parere negativo nella parte in cui
presume il venir meno nel tempo delle adesioni alla presentazione del piano di
lottizzazione, non potendosi ritenere che le relative sottoscrizioni siano
soggette a scadenza, e considerato comunque che in adempimento della richiesta
del 20 settembre 2011 della Ripartizione urbanistica, sono state raccolte
nuovamente le firme in calce allo schema di convenzione; C) Risulta
assolutamente contraddittorio che il Comune in sede di adeguamento del piano
regolatore, attraverso una delibera consiliare, abbia ritenuto erronea la
localizzazione di taluni beni archeologici (segnalazione archeologica
denominata "contrada Madonna di Butterito" - sigla SAK 16) escludendo
che essi ricadano nell’area lottizzanda, e poi nella specifica sede istruttoria
tesa all’approvazione della lottizzazione si rifiuti di considerare il
contenuto e gli effetti di tale deliberazione; D) In ogni caso tutti i pareri a
vincoli idrogeologici, boschivi, artistici, paesistici e di ogni altro tipo
devono essere acquisiti successivamente all’adozione del Piano; E) La tesi
dell’assenza di collegamento "alle idonee reti infrastrutturali pubbliche
esistenti" e degli effetti negativi sul flusso del traffico è superata
dall’impegno dei lottizzanti a realizzare non solo la viabilità interna e
quella di collegamento, ma anche una parte delle strade previste dal piano
regolatore e non attuate. In ogni caso gli organi tecnici del Comune sono
tenuti alla verifica della conformità dell'intervento alla disciplina attuale
del territorio, stabilita dagli strumenti pianificatori tipici, in cui si è
cristallizzato l'interesse pubblico ad un ordinato utilizzo delle aree, ed agli
stessi non è affidata alcuna valutazione di merito sull'opportunità o
convenienza dell'intervento che si sovrapponga e annulli quella predeterminata
dagli atti pianificatori; F) la valutazione dei temi della viabilità, e quindi
della sufficienza dei collegamenti esterni all’area oggetto di lottizzazione,
non è un elemento da sviluppare in occasione dell’approvazione del piano di
lottizzazione, che ha natura attuativa, ma deve essere contenuto, a monte,
nello strumento urbanistico generale, il quale, sulla base di una previsione
complessiva dei temi della gestione del territorio, è il mezzo giuridico
funzionalmente idoneo a dare ingresso alle tematiche della circolazione
nell’ambito del territorio comunale.
Propone ora appello il Comune di Bari, deducendo:
1) Error in iudicando per mancata rilevazione
dell’inammissibilità del ricorso originario. Si tratterebbe dell’impugnazione
di atti endoprocedimentali, non vincolanti, finalizzati alla successiva
delibazione del Piano da parte del Consiglio comunale, organo al quale, allo
momento del giudizio, era già stato sottoposta l’istanza ed i pareri tecnici.
La sentenza di prime cure avrebbe il paradossale effetto di imporre un
riformulazione dei pareri tecnici impendendo il definitivo pronunciamento
all’organo competente,
2) Error in iudicando in ordine al “merito” del parere
tecnico.
2.1.Il Giudice di prime cure avrebbe messo di
considerare adeguatamente il disposto dell’art. 59 delle NTA al PRG a mente del
quale non si può procedere all’approvazione a Piani di lottizzazione in assenza
di idonee reti infrastrutturali pubbliche già esistenti o comunque di
coordinamento con le opere viarie previste dal Piano triennale delle OO.PP.
2.2.) Avrebbe altresì omesso di considerare che il
Piano di lottizzazione, anche se conforme allo strumento urbanistico generale,
non può considerarsi un atto dovuto, rimanendo intatto il potere discrezionale
di valutare, anche sotto il profilo temporale, la sua compatibilità con la
programmazione delle opere pubbliche o la sopravvenienza di pregnanti interessi
pubblici che ostino alla sua approvazione;
2.3) Il descritto margine di discrezionalità non
potrebbe essere equiparato (come invece ha fatto il Giudice di prime cure) ad
un sostanziale vincolo ablatorio, costituendo l’effetto di un ineludibile
esigenza di coordinamento temporale tra l’espansione consentita dal Piano e la
concreta realizzazione delle necessarie infrastrutture pubbliche;
3) Violazione dei limiti esterni della giurisdizione
amministrativa. Il Tribunale, nel sancire l'obbligo dell'Ente locale di porre
in essere nell'immediato ogni misura adeguata al risultato urbanistico-edilizio
richiesto dalla parte avrebbe operato uno sconfinamento nel merito della
valutazione amministrativa riservata.
4) Error in iudicando in ordine ai poteri del
dirigente tecnico. La sentenza di prime cure ritiene sussistente l’obbligo del
dirigente di esaminare la conformità agli strumenti urbanistici e di offrire
soluzioni tecniche compatibili, “senza indulgere in valutazioni di specifico
interesse pubblico che appartengono alla sfera esclusiva delle attribuzioni
dell’organo politico”. L’affermazione sarebbe erronea perché:
4.1.) Le osservazioni del dirigente avrebbero comunque
valore endoprocedimentale risolvendosi in un mera proposta deliberativa agli
organi politici competenti;
4.2.) La sfera di discrezionalità che caratterizza le
valutazioni degli organi politici, comunque sarebbe esercitata sulla base di
valutazioni istruttorie che non possono che promanare dagli organi tecnici;
Gli appellati si sono difesi, stigmatizzando il
comportamento sostanzialmente soprassessorio, oltre che defatigatorio del
Comune. Così anche i numerosi interventori..
Nell’imminenza dell’udienza pubblica fissata per la
discussione l’appellante ha depositato, in data 7 marzo 2013, note e documenti
relativi alla proposta di adozione di una deliberazione con la quale la Giunta
Comunale si stava accingendo a respingere definitivamente il progetto di
lottizzazione. In sede di discussione ha dato altresì notizia dell’avvenuta
adozione, in data 7 marzo 2013, della detta deliberazione di Giunta Comunale.
Gli appellati si sono opposti all’acquisizione della
produzione documentazione, in quanto palesemente tardiva.
La causa è trattenuta in decisione all’esito della
pubblica udienza dell’8 marzo 2013.
DIRITTO
1.1. L’appello è improcedibile per sopravvenuto
difetto di interesse.
1.2. Non è dubbio che oggetto di causa siano atti di
natura endoprocedimentale, e che essi siano stati impugnati perché ritenuti
ostativi di una satisfattiva conclusione del procedimento amministrativo
avviatosi con la proposta di lottizzazione. A dire del primo Giudice, la nota
13 ottobre 2011, prot. 240.691 e l’istruttoria tecnica allegata, avrebbe
comportato un arresto procedimentale, anche alla luce della prassi del Comune
di Bari di non sottoporre il piano di lottizzazione bocciato dagli organi
tecnici, alla valutazione di quelli politici, e ciò in tesi sarebbe sufficiente
a radicare l’interesse all’impugnazione.
2.1. L’affermazione non può essere condivisa nei
termini in cui è formulata.
2.2. Di arresto procedimentale può parlarsi ove ci si
trovi dinanzi a fattispecie endoprocedimentali sostanzialmente provvedimentali,
ossia preclusive delle aspirazioni dell’istante o comunque di uno sviluppo
diverso e per esso maggiormente favorevole: è il caso, ad es., delle clausole
escludenti, o delle statuizioni terminative di fasi del procedimento destinato
a concludersi con provvedimenti favorevoli a terzi (Cfr. Cons. di Stato, Ad.
plen., 10 luglio 1986, n. 8; da ultimo Ad.Plen. 28 gennaio 2012, n. 1). Esse
onerano il destinatario del tempestivo esperimento dell’azione di annullamento,
pena la decadenza (non così per i pareri vincolanti. Sul punto, da ultimo,
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-03-2012, n. 1829)
2.3. La giurisprudenza più risalente accomuna,
quoad effectum, all’arresto procedimentale anche l’atto soprassessorio, sul
presupposto che esso, rinviando il soddisfacimento dell'interesse pretensivo ad
un accadimento futuro ed incerto nel quando, determini un arresto a tempo
indeterminato del procedimento amministrativo così generando un’immediata
lesione della posizione giuridica dell'interessato (la definizione è quella di
Cass. SSUU, 27/06/2005, n. 13707; nell’ambito della giurisprudenza
amministrativa, cfr. inizialmente Ad. plen., 10 luglio 1986, n. 8, cit., e poi,
Sez. VI, n. 1246/04; Sez. V, n.1902/01; Sezione VI, n. 1377/98; Sez. IV, n.
226/97).
L’analogia fra le due fattispecie è il frutto di una
impostazione pretoria giustificata dalla storica (ma ormai superata)
concentrazione delle prospettive di tutela unicamente nell’azione di
annullamento, restando (al tempo) quella sul silenzio, utile ad accertare,
sullo sfondo di un’amministrazione totalmente inerte ed in una logica puramente
attizia, l’esistenza di un obbligo di provvedere e l’attualità di tale obbligo,
talchè l’esistenza di un atto anche se soprassessorio conduceva ad una
declaratoria di inammissibile o improcedibilità dell’azione.
Il varo del codice del processo amministrativo, ma,
ancor prima, la configurazione di poteri speciali del giudice per l’ipotesi di
azione avverso l’inerzia, estesi in via eccezionale alla cognizione
dell’eventuale fondatezza dell’istanza (già previsti dall’art. 6 bis della
legge n. 80/2005), ha fatto venir meno la necessità di accomunare le due
fattispecie, rendendo possibile anche in presenza di un atto soprassessorio
l’azione sul silenzio: e ciò sul presupposto che siffatto atto non costituisca
il provvedimento terminativo del procedimento che l’amministrazione ha
l’obbligo di emanare quale che sia il contenuto, ma un rinvio sine die della
conclusione del procedimento in violazione dell’obbligo di concluderlo entro il
termine fissato.
L’atto è in questo caso essenzialmente conosciuto dal
giudice non già in relazione ai suoi aspetti di satisfattività per l’istante,
ma in relazione alla sua idoneità ad integrare adempimento della primaria
obbligazione di provvedere, con il corollario che la sentenza è dichiarativa
dell’obbligo generico di provvedere o, nei casi in cui l’attività è ab origine
o ex post divenuta vincolata, anche dell’obbligo di adottare un provvedimento
di tenore predeterminato. E’ evidente tuttavia che poichè l’interesse a
ricorrere deriva non dall’inerzia assoluta ma dal comportamento soprassessorio,
l’azione è ritualmente introdotta attraverso l’impugnazione del sedicente
provvedimento conclusivo, ma esso è traguardato e stigmatizzato per il
contenuto elusivo dell’obbligo di provvedere, ossia quale atto sussumibile
nella fattispecie composita dell’inerzia . L’impugnazione è cioè strumentale ad
una pronuncia che constatata la natura soprassessoria dell’atto e dichiarata la
permanenza dell’obbligo di provvedere, condanni l’amministrazione ad emanarlo
immediatamente.
2.4. Vi è poi una terza e peculiare fattispecie il cui
richiamo appare opportuno in questa sede: quella dei provvedimenti provvisori,
ossia di quei provvedimenti tipici promananti da organi straordinari o
commissioni tecniche, che preannunciano il tenore della decisione
amministrativa, e che sono destinati ad essere sostituiti dal provvedimento
definitivo emesso dall’organo ordinariamente competente ad impegnare
definitivamente la volontà dell’amministrazione.
In relazione ai provvedimenti provvisori, la
giurisprudenza consente l’impugnazione immediata quale mera facoltà alla quale
comunque deve seguire nel corso del giudizio l’impugnazione del provvedimento
definitivo, evidentemente guidata, nella delineazione di tale assetto, dalla considerazione
che, di norma, il provvedimento definitivo interviene in uno stretto torno
temporale, espressamente o comunque per implicito (silenzio assenso).
Ovviamente, in mancanza di provvedimento definitivo, l’impugnazione avverso il
provvedimento provvisorio non soddisfa di per sè sola i requisiti di lesività
presupposti dall’azione demolitoria, con conseguente inammissibilità o
improcedibilità della stessa. La situazione è dunque dissimile dall’arresto
procedimentale.
3.1. Tornando al caso di specie, l’azione proposta
dall’originario ricorrente è di impugnazione di un atto oggettivamente
endoprocedimentale (parere tecnico del dirigente in ordine a proposta di
lottizzazione) sul presupposto che esso, sulla base di una prassi invalsa nel
Comune di Bari, costituisca in realtà l’epilogo provvedimentale.
Lo schema proposto è quindi quello proprio
dell’arresto procedimentale. Il ricorrente sostiene cioè che non vi debbano o
possano essere sviluppi procedimentali ulteriori, con conseguente immediato
pregiudizio per la sfera giuridica connessa ai propri interessi pretensivi.
Inappropriato è invece il riferimento all’atto soprassessorio, poichè esso per
definizione, come già visto, implica successivi sviluppi nel tempo, ai quali
rinvia sub conditione.
3.2. Ciò nondimeno difettano, in concreto, i
presupposti per definire il parere tecnico negativo, un arresto procedimentale;
ed è il riferimento alla “prassi” che appare in proposito dirimente.
L’arresto procedimentale che astrattamente giustifica
ed anzi impone l’immediata azione di annullamento in base all’equiparazione
provvedimentale quoad effectum, non può sfuggire al principio di
legalità ed ai suoi corollari di tipicità e tassatività, ed è pertanto
configurabile ove tragga origine e fondamento dalla stessa dinamica contemplata
dalla legge nell’esegesi che ne da in chiave applicativa il giudice.
La prassi, intesa quale costante sperimentazione di
protocolli procedimentali, praeter o addirittura contra legem, tesi ad elidere
(come nel caso di specie) fasi essenziali del procedimento amministrativo, ivi
compreso il provvedimento finale, è per converso inidonea a generare oneri di
impugnazione, ponendosi piuttosto, essa stessa, come comportamento violativo
dell’obbligo di concludere il procedimento.
3.3. Dinanzi ad una siffatta prassi, l’unica tutela
praticabile è l’azione di accertamento e condanna a provvedere.
Il giudice può certamente conoscere dei contenuti del
parere ed anzi può dirsi che quest’ultimo riduca la discrezionalità a tal punto
da consentire al giudice l’accertamento della fondatezza o meno della pretesa.
L’azione sul silenzio è tuttavia strumentale al provvedere, e diviene
recessiva, salvo ovviamente la risarcibilità del pregiudizio inferto, una volta
che l’amministrazione provvede autonomamente.
E’quanto è successo nell’odierno giudizio. Il
ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’atto istruttorio a mezzo di un’azione
sostanzialmente qualificabile quale azione di accertamento e condanna, ma nel
corso del giudizio è sopravvenuto il provvedimento terminativo del procedimento
determinandone l’improcedibilità.
4. Le conclusioni non muterebbero ove l’azione potesse
configurarsi quale impugnazione facoltativa di un atto provvisorio, poiché
anche in questo caso la mancata impugnazione dell’atto definitivo sopravvenuto
determinerebbe l’improcedibilità.
La giurisprudenza amministrativa ha infatti
costantemente affermato che "la formula - di carattere pretorio - della
improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse riguarda propriamente le
fattispecie in cui l'atto amministrativo impugnato abbia comunque cessato di
produrre i suoi effetti, o per il mutamento della situazione di fatto o di
diritto presente al momento della presentazione del ricorso, che faccia venir
meno l'effetto del provvedimento impugnato, ovvero per la intervenuta adozione,
da parte dell'amministrazione, di un provvedimento idoneo a ridefinire
l'assetto degli intereressi in gioco e tale da rendere certa e definitiva
l'inutilità della sentenza, ancorché l'atto risulti eventualmente privo di effetto
satisfattivo nei confronti del ricorrente."(Consiglio Stato, sez. V, 09
ottobre 2007, n. 5256; sez IV, 30 luglio 2012, n. 4187).
5. Piuttosto deve darsi risposta alle obiezioni degli
appellati in ordine alla conoscibilità del provvedimento amministrativo finale
tardivamente depositato. Essi sostengono che il divieto di produzione
documentale investa anche i provvedimenti amministrativi; comunque
stigmatizzano il comportamento del Comune, il quale avrebbe sostanzialmente
posto nel nulla la lunga parentesi giudiziaria attendendo i giorni prossimi
alla decisione finale per determinarsi.
L’obiezione, seppur dettata da comprensibili ragioni
di tutela sostanziale, non può essere condivisa.
Il Comune ha sia in primo grado che in appello
sostenuto la tesi dell’inammissibilità dell’impugnativa in ragione del
carattere endoprocedimentale dell’atto gravato e, benché tardivamente, ha dato
coerente sfogo provvedimentale alla tesi processuale sostenuta, emanando infine
il diniego di approvazione.
Il provvedimento emanato dalla parte pubblica
resistente, incidente sull’assetto di interessi portato in giudizio dal
ricorrente, non è equiparabile ad un documento astrattamente utile ai fini
della decisione, ma è un atto che riverbera direttamente su una delle condizioni
dell’azione (l’interesse a ricorrere, che com’è noto deve sussistere al momento
della pronuncia), facendola venire meno. La sua conoscenza da parte del giudice
può avvenire anche a mezzo di semplice dichiarazione in udienza, purchè non
contestata, e comunque il Giudicante, ove nutra dubbi sulla natura e portata
dell’atto, può, ed anzi deve, comunque acquisirlo d’ufficio.
6. Da ultimo una qualche considerazione deve pur
essere fatta in ordine alla correttezza processuale del comportamento del
Comune. Non v’è dubbio che quest’ultimo avrebbe potuto per tempo adottare
l’atto, ed adottandolo in limine alla decisione ha di fatto ottenuto una
vittoria meramente processuale che suona come un diniego di giustizia per il
ricorrente.
Occorre tuttavia sottolineare che il ritardo è
evenienza patologica che può essere efficacemente combattuta in prima istanza
unicamente con l’azione di accertamento ed adempimento: e l’adempimento
tardivo, anche se di tenore reiettivo, costituisce in questa fase pur sempre un
risultato utile in direzione del superamento dell’inerzia. Il pregiudizio,
patrimoniale e non, eventualmente derivante dalla tardività dell’adempimento, è
materia di pertinenza della successiva ed eventuale azione demolitoria nonchè
di quella risarcitoria ove ne ricorrano i presupposti. E’ in tale sede che le
doglianze del ricorrente potranno trovare concreto ascolto.
7. In conclusione, in riforma della sentenza gravata,
il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.
7. Avuto riguardo all’esito ed all’andamento del giudizio,
le spese del doppio grado possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
in riforma della sentenza gravata, dichiara improcedibile il ricorso.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 8 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente FF
Andrea Migliozzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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