sabato 14 settembre 2013

PROCESSO: le prassi della P.A. illegittime non onerano il ricorrente al ricorso "demolitorio" classico ma lo legittimano a proporre l'azione d'accertamento e di condanna (Cons. St., Sez. IV, 9 maggio 2013 n. 2518).


PROCESSO: 
le prassi della P.A. illegittime 
non onerano il ricorrente al ricorso "demolitorio" classico 
ma lo legittimano a proporre 
l'azione d'accertamento e di condanna 
(Cons. St., Sez. IV, 
sentenza 9 maggio 2013 n. 2518).


Massima

La prassi, intesa quale costante sperimentazione di protocolli procedimentali, praeter o addirittura contra legem, tesi ad elidere (come nel caso di specie) fasi essenziali del procedimento amministrativo, ivi compreso il provvedimento finale, è inidonea a generare oneri di impugnazione, ponendosi piuttosto, essa stessa, come comportamento violativo dell'obbligo di concludere il procedimento; pertanto, dinanzi ad una siffatta prassi, l'unica tutela praticabile è l' azione di accertamento e condanna a provvedere.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8278 del 2012, proposto da:
Comune di Bari in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Chiara Lonero Baldassarra, Augusto Farnelli, con domicilio eletto presso Roberto Ciociola in Roma, via Bertoloni, 37; 
contro
Rocco Calabrese, Vito Dentamaro, Stella Mercante, Anna Paparella, Clarizio Vitina, Filippo Di Venere, Vita Ferrara, Angelo Michele Mariano, Corrado Soranno, Michele Morisco, Luigi De Robertis, Rocco Sabino, Maria Amelia Pantone, Nicola Lioce, Filippo Ladisa, Andrea D'Agosto, Giovanni Caito, Angelo Albergo, Rosa Albergo, Lidia Caito, rappresentati e difesi dagli avv. Vito Aurelio Pappalepore, Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A; Angela Nitti, Lisandro Miliotti, Patrizia Nitti, Maria Di Venere, Nicola Mercante, Addolorata Deflorio, Angela Soranno, Rosa Maria Tunzi, Maria Rosa De Angelis, Domenico Mariano, Giovanni Burdi, Angela Burdi, Michele Nitti, Filomena Lorusso, Angela Armenise, Elio Bovio, Nicola Raganelli, Sebstiano Pasqua, Carmela Loizzi, Madia Colonna, Domenica Di Venere, Antonia Francone, Annamaria Burdi, Donato Tenerelli, Teresa Calabrese, Domenico Partipilo, Nicola Latorre, Carolina Mongelli, Angela Sebastiano; Paolo Falco, Rosa Angela Nitti, Antonio Piscopo, Francesca Mariano, Giuseppe Morisco, Pasqua Attolini, Antonia Attolini, Massimo Ursini, Nicola Caiati, Michele Cavone, Domenico Battista, Maria Luisa Colonna, Antonia Colonna, Carmela Falco, Antonio Soranno, Anna Piscopo, Gaetano Fascina, Michele Macina, Giovanni Pacione, Francesco Falco, Giovanni Bovio, Marcello Bovio, Francesco Triggiani, Onofrio Burdi, Angela Pascazio, Maddalena Angelo, Beatrice Di Tanno, Vincenza Conforti, Vito Bratta, Michelangelo Giannelli, Paolo Caradonna, Oronzo Caradonna, Gregorio Luisi, Rosa Calabrese, Chiara Annamaria Calabrese, Alberto Ruta, rappresentati e difesi dagli avv. Nicolo' De Marco, Vito Aurelio Pappalepore, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A; Cesaria Giannelli, rappresentato e difeso dagli avv. Vito Aurelio Pappalepore, Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A; Elia Caito, rappresentato e difeso dall'avv. Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A; 
e con l'intervento di
Soc Pegaso Cooperativa, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Guaglianone, con domicilio eletto presso Annamaria Rizzo in Roma, via Fabio Massimo, 9;
Ermenegilda Careccia, Olga Careccia, Giuseppe Palella, Antonia Triggiano, Vittoria Palella, Francesca Calabrese, Antonio Lorusso, Leonardo Lorusso, Maria Panarelli, Antonio Romito, Francesca Romito, Giovanna Lorusso, Simonetta Lorusso, Mariellina Rosa Lenoci, Stefano Lenoci, Simeone Di Cagno Abbrescia, Gasparri Camillo, Procuratore Speciale di Di Cagno Abbrescia Amalia, rappresentati e difesi dall'avv. Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A; 
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PUGLIA – Bari - Sezione III n. 00897/2012, resa tra le parti, concernente parere negativo approvazione piano di lottizzazione

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Rocco Calabrese, Vito Dentamaro, Stella Mercante, Anna Paparella, Clarizio Vitina, Filippo Di Venere, Paolo Falco, Vita Ferrara, Rosa Angela Nitti, Antonio Piscopo, Francesca Mariano, Angelo Michele Mariano, Corrado Soranno, Michele Morisco, Luigi De Robertis, Giuseppe Morisco, Pasqua Attolini, Antonia Attolini, Rocco Sabino, Maria Amelia Pantone, Massimo Ursini, Nicola Lioce, Filippo Ladisa, Nicola Caiati, Michele Cavone, Domenico Battista, Maria Luisa Colonna, Antonia Colonna, Carmela Falco, Antonio Soranno, Anna Piscopo, Gaetano Fascina, Michele Macina, Giovanni Pacione, Cesaria Giannelli, Francesco Falco, Giovanni Bovio, Marcello Bovio, Francesco Triggiani, Onofrio Burdi, Angela Pascazio, Maddalena Angelo, Beatrice Di Tanno, Vincenza Conforti, Vito Bratta, Michelangelo Giannelli, Paolo Caradonna, Oronzo Caradonna, Gregorio Luisi, Rosa Calabrese, Chiara Annamaria Calabrese, Alberto Ruta, Andrea D'Agosto, Giovanni Caito, Angelo Albergo, Rosa Albergo, Lidia Caito, Elia Caito;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2013 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Nino Matassa (su delega di Augusto Farnelli e di Chiara Lonero Baldassarra) e Nicolò De Marco;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Gli odierni appellati, proprietari di terreni ubicati nell'agro di Ceglie e Loseto in zona di espansione C/1, maglia n. 10, già inserita nel III P.P.A., presentavano, in data 17 aprile 2003, un Piano di lottizzazione per un'area estesa 623.000 metri quadri, comprendente circa 500 proprietari catastali. In data 1º ottobre 2003, il Piano otteneva parere favorevole dal Coordinamento tecnico interno della Ripartizione urbanistica, che comunque rinviava alcuni approfondimenti al momento di verifica dell’assoggettabilità del progetto alla V.I.A.
Successivamente venivano richieste più volte integrazioni documentali, fino alla delibera del 22 dicembre 2005, nella quale il Consiglio comunale di Bari, dato atto dell’intervenuta scadenza del terzo piano pluriennale di attuazione, dell’assenza di normativa regionale attuativa delle previsioni dell’art. 20 della legge 30 aprile 1999, n. 136, della ravvisata esigenza di munirsi di apposito programma per il riequilibrio urbano e lo sviluppo urbanistico del territorio (P.ri.sv.u.t.) disponeva l’adozione di varianti alle norme tecniche di attuazione interessanti gli artt. 5, 31, 32, 39, 51, 52 e 59, con introduzione quale norma transitoria dell’art. 59 bis.
La relativa delibera era ritenuta illegittima dal TAR Puglia in quanto di natura meramente soprassessoria ( sent. n. 961/2007).
Il piano attuativo era successivamente adeguato dagli istanti alla disciplina di variante superstite all'annullamento giurisdizionale, e ripresentato in data 11 febbraio 2010. Su tale adeguamento il Coordinamento tecnico interno esprimeva parere negativo in data 10 giugno 2010 e poi, dopo una serie di adeguamenti, chiarimenti e integrazioni, ancora una volta in data 25 marzo 2011 sulla base di ulteriori motivi.
Tale ultimo atto era impugnato dinanzi al TAR Puglia. Con motivi aggiunti era altresì impugnata la nota 13 ottobre 2011, prot. 240.691 (con i relativi allegati) confermativa del pregresso parere negativo.
Il Tribunale, decidendo definitivamente la causa, ha accolto i motivi aggiunti (dichiarando improcedibile il ricorso originario) e, per l’effetto, “annullato la nota del 13 ottobre 2011 della Ripartizione urbanistica ed edilizia privata del Comune di Bari e gli atti sottostanti” nonché chiarito, che “l'annullamento degli atti impugnati (accomunati, come i precedenti sottoposti al vaglio del Tribunale, dalla loro valenza di ostacolo ingiustificatamente frapposto alla conclusione del procedimento), coniugato con il principio dell'effettività della tutela cui il processo è preordinato a favore della parte vittoriosa, non può non comportare l'obbligo dell'Ente locale di porre in essere nell'immediato ogni misura adeguata al risultato urbanistico-edilizio richiesto dalla parte perché conforme al piano regolatore generale in vigore e applicativo dello stesso”.
I passaggi motivazionali salienti sono stati i seguenti: A) La nota 13 ottobre 2011, prot. 240.691, e l’istruttoria tecnica allegata, comportano un ulteriore arresto procedimentale anche alla luce della prassi del Comune di Bari di non sottoporre il piano di lottizzazione bocciato dagli organi tecnici alla valutazione di quelli politici (del consiglio ovvero della giunta in forza dell’articolo 5, punto 13-b) del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito nella legge 12 luglio 2011, n. 106, e dall'articolo 10 della legge regionale I agosto 2011, n. 21). Ciò radica l'interesse al relativo annullamento; B) E’ privo di fondamento il parere negativo nella parte in cui presume il venir meno nel tempo delle adesioni alla presentazione del piano di lottizzazione, non potendosi ritenere che le relative sottoscrizioni siano soggette a scadenza, e considerato comunque che in adempimento della richiesta del 20 settembre 2011 della Ripartizione urbanistica, sono state raccolte nuovamente le firme in calce allo schema di convenzione; C) Risulta assolutamente contraddittorio che il Comune in sede di adeguamento del piano regolatore, attraverso una delibera consiliare, abbia ritenuto erronea la localizzazione di taluni beni archeologici (segnalazione archeologica denominata "contrada Madonna di Butterito" - sigla SAK 16) escludendo che essi ricadano nell’area lottizzanda, e poi nella specifica sede istruttoria tesa all’approvazione della lottizzazione si rifiuti di considerare il contenuto e gli effetti di tale deliberazione; D) In ogni caso tutti i pareri a vincoli idrogeologici, boschivi, artistici, paesistici e di ogni altro tipo devono essere acquisiti successivamente all’adozione del Piano; E) La tesi dell’assenza di collegamento "alle idonee reti infrastrutturali pubbliche esistenti" e degli effetti negativi sul flusso del traffico è superata dall’impegno dei lottizzanti a realizzare non solo la viabilità interna e quella di collegamento, ma anche una parte delle strade previste dal piano regolatore e non attuate. In ogni caso gli organi tecnici del Comune sono tenuti alla verifica della conformità dell'intervento alla disciplina attuale del territorio, stabilita dagli strumenti pianificatori tipici, in cui si è cristallizzato l'interesse pubblico ad un ordinato utilizzo delle aree, ed agli stessi non è affidata alcuna valutazione di merito sull'opportunità o convenienza dell'intervento che si sovrapponga e annulli quella predeterminata dagli atti pianificatori; F) la valutazione dei temi della viabilità, e quindi della sufficienza dei collegamenti esterni all’area oggetto di lottizzazione, non è un elemento da sviluppare in occasione dell’approvazione del piano di lottizzazione, che ha natura attuativa, ma deve essere contenuto, a monte, nello strumento urbanistico generale, il quale, sulla base di una previsione complessiva dei temi della gestione del territorio, è il mezzo giuridico funzionalmente idoneo a dare ingresso alle tematiche della circolazione nell’ambito del territorio comunale.
Propone ora appello il Comune di Bari, deducendo:
1) Error in iudicando per mancata rilevazione dell’inammissibilità del ricorso originario. Si tratterebbe dell’impugnazione di atti endoprocedimentali, non vincolanti, finalizzati alla successiva delibazione del Piano da parte del Consiglio comunale, organo al quale, allo momento del giudizio, era già stato sottoposta l’istanza ed i pareri tecnici. La sentenza di prime cure avrebbe il paradossale effetto di imporre un riformulazione dei pareri tecnici impendendo il definitivo pronunciamento all’organo competente,
2) Error in iudicando in ordine al “merito” del parere tecnico.
2.1.Il Giudice di prime cure avrebbe messo di considerare adeguatamente il disposto dell’art. 59 delle NTA al PRG a mente del quale non si può procedere all’approvazione a Piani di lottizzazione in assenza di idonee reti infrastrutturali pubbliche già esistenti o comunque di coordinamento con le opere viarie previste dal Piano triennale delle OO.PP.
2.2.) Avrebbe altresì omesso di considerare che il Piano di lottizzazione, anche se conforme allo strumento urbanistico generale, non può considerarsi un atto dovuto, rimanendo intatto il potere discrezionale di valutare, anche sotto il profilo temporale, la sua compatibilità con la programmazione delle opere pubbliche o la sopravvenienza di pregnanti interessi pubblici che ostino alla sua approvazione;
2.3) Il descritto margine di discrezionalità non potrebbe essere equiparato (come invece ha fatto il Giudice di prime cure) ad un sostanziale vincolo ablatorio, costituendo l’effetto di un ineludibile esigenza di coordinamento temporale tra l’espansione consentita dal Piano e la concreta realizzazione delle necessarie infrastrutture pubbliche;
3) Violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa. Il Tribunale, nel sancire l'obbligo dell'Ente locale di porre in essere nell'immediato ogni misura adeguata al risultato urbanistico-edilizio richiesto dalla parte avrebbe operato uno sconfinamento nel merito della valutazione amministrativa riservata.
4) Error in iudicando in ordine ai poteri del dirigente tecnico. La sentenza di prime cure ritiene sussistente l’obbligo del dirigente di esaminare la conformità agli strumenti urbanistici e di offrire soluzioni tecniche compatibili, “senza indulgere in valutazioni di specifico interesse pubblico che appartengono alla sfera esclusiva delle attribuzioni dell’organo politico”. L’affermazione sarebbe erronea perché:
4.1.) Le osservazioni del dirigente avrebbero comunque valore endoprocedimentale risolvendosi in un mera proposta deliberativa agli organi politici competenti;
4.2.) La sfera di discrezionalità che caratterizza le valutazioni degli organi politici, comunque sarebbe esercitata sulla base di valutazioni istruttorie che non possono che promanare dagli organi tecnici;
Gli appellati si sono difesi, stigmatizzando il comportamento sostanzialmente soprassessorio, oltre che defatigatorio del Comune. Così anche i numerosi interventori..
Nell’imminenza dell’udienza pubblica fissata per la discussione l’appellante ha depositato, in data 7 marzo 2013, note e documenti relativi alla proposta di adozione di una deliberazione con la quale la Giunta Comunale si stava accingendo a respingere definitivamente il progetto di lottizzazione. In sede di discussione ha dato altresì notizia dell’avvenuta adozione, in data 7 marzo 2013, della detta deliberazione di Giunta Comunale.
Gli appellati si sono opposti all’acquisizione della produzione documentazione, in quanto palesemente tardiva.
La causa è trattenuta in decisione all’esito della pubblica udienza dell’8 marzo 2013.

DIRITTO
1.1. L’appello è improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse.
1.2. Non è dubbio che oggetto di causa siano atti di natura endoprocedimentale, e che essi siano stati impugnati perché ritenuti ostativi di una satisfattiva conclusione del procedimento amministrativo avviatosi con la proposta di lottizzazione. A dire del primo Giudice, la nota 13 ottobre 2011, prot. 240.691 e l’istruttoria tecnica allegata, avrebbe comportato un arresto procedimentale, anche alla luce della prassi del Comune di Bari di non sottoporre il piano di lottizzazione bocciato dagli organi tecnici, alla valutazione di quelli politici, e ciò in tesi sarebbe sufficiente a radicare l’interesse all’impugnazione.
2.1. L’affermazione non può essere condivisa nei termini in cui è formulata.
2.2. Di arresto procedimentale può parlarsi ove ci si trovi dinanzi a fattispecie endoprocedimentali sostanzialmente provvedimentali, ossia preclusive delle aspirazioni dell’istante o comunque di uno sviluppo diverso e per esso maggiormente favorevole: è il caso, ad es., delle clausole escludenti, o delle statuizioni terminative di fasi del procedimento destinato a concludersi con provvedimenti favorevoli a terzi (Cfr. Cons. di Stato, Ad. plen., 10 luglio 1986, n. 8; da ultimo Ad.Plen. 28 gennaio 2012, n. 1). Esse onerano il destinatario del tempestivo esperimento dell’azione di annullamento, pena la decadenza (non così per i pareri vincolanti. Sul punto, da ultimo, Cons. Stato Sez. IV, Sent., 28-03-2012, n. 1829)
2.3. La giurisprudenza più risalente accomuna, quoad effectum, all’arresto procedimentale anche l’atto soprassessorio, sul presupposto che esso, rinviando il soddisfacimento dell'interesse pretensivo ad un accadimento futuro ed incerto nel quando, determini un arresto a tempo indeterminato del procedimento amministrativo così generando un’immediata lesione della posizione giuridica dell'interessato (la definizione è quella di Cass. SSUU, 27/06/2005, n. 13707; nell’ambito della giurisprudenza amministrativa, cfr. inizialmente Ad. plen., 10 luglio 1986, n. 8, cit., e poi, Sez. VI, n. 1246/04; Sez. V, n.1902/01; Sezione VI, n. 1377/98; Sez. IV, n. 226/97).
L’analogia fra le due fattispecie è il frutto di una impostazione pretoria giustificata dalla storica (ma ormai superata) concentrazione delle prospettive di tutela unicamente nell’azione di annullamento, restando (al tempo) quella sul silenzio, utile ad accertare, sullo sfondo di un’amministrazione totalmente inerte ed in una logica puramente attizia, l’esistenza di un obbligo di provvedere e l’attualità di tale obbligo, talchè l’esistenza di un atto anche se soprassessorio conduceva ad una declaratoria di inammissibile o improcedibilità dell’azione.
Il varo del codice del processo amministrativo, ma, ancor prima, la configurazione di poteri speciali del giudice per l’ipotesi di azione avverso l’inerzia, estesi in via eccezionale alla cognizione dell’eventuale fondatezza dell’istanza (già previsti dall’art. 6 bis della legge n. 80/2005), ha fatto venir meno la necessità di accomunare le due fattispecie, rendendo possibile anche in presenza di un atto soprassessorio l’azione sul silenzio: e ciò sul presupposto che siffatto atto non costituisca il provvedimento terminativo del procedimento che l’amministrazione ha l’obbligo di emanare quale che sia il contenuto, ma un rinvio sine die della conclusione del procedimento in violazione dell’obbligo di concluderlo entro il termine fissato.
L’atto è in questo caso essenzialmente conosciuto dal giudice non già in relazione ai suoi aspetti di satisfattività per l’istante, ma in relazione alla sua idoneità ad integrare adempimento della primaria obbligazione di provvedere, con il corollario che la sentenza è dichiarativa dell’obbligo generico di provvedere o, nei casi in cui l’attività è ab origine o ex post divenuta vincolata, anche dell’obbligo di adottare un provvedimento di tenore predeterminato. E’ evidente tuttavia che poichè l’interesse a ricorrere deriva non dall’inerzia assoluta ma dal comportamento soprassessorio, l’azione è ritualmente introdotta attraverso l’impugnazione del sedicente provvedimento conclusivo, ma esso è traguardato e stigmatizzato per il contenuto elusivo dell’obbligo di provvedere, ossia quale atto sussumibile nella fattispecie composita dell’inerzia . L’impugnazione è cioè strumentale ad una pronuncia che constatata la natura soprassessoria dell’atto e dichiarata la permanenza dell’obbligo di provvedere, condanni l’amministrazione ad emanarlo immediatamente.
2.4. Vi è poi una terza e peculiare fattispecie il cui richiamo appare opportuno in questa sede: quella dei provvedimenti provvisori, ossia di quei provvedimenti tipici promananti da organi straordinari o commissioni tecniche, che preannunciano il tenore della decisione amministrativa, e che sono destinati ad essere sostituiti dal provvedimento definitivo emesso dall’organo ordinariamente competente ad impegnare definitivamente la volontà dell’amministrazione.
In relazione ai provvedimenti provvisori, la giurisprudenza consente l’impugnazione immediata quale mera facoltà alla quale comunque deve seguire nel corso del giudizio l’impugnazione del provvedimento definitivo, evidentemente guidata, nella delineazione di tale assetto, dalla considerazione che, di norma, il provvedimento definitivo interviene in uno stretto torno temporale, espressamente o comunque per implicito (silenzio assenso). Ovviamente, in mancanza di provvedimento definitivo, l’impugnazione avverso il provvedimento provvisorio non soddisfa di per sè sola i requisiti di lesività presupposti dall’azione demolitoria, con conseguente inammissibilità o improcedibilità della stessa. La situazione è dunque dissimile dall’arresto procedimentale.
3.1. Tornando al caso di specie, l’azione proposta dall’originario ricorrente è di impugnazione di un atto oggettivamente endoprocedimentale (parere tecnico del dirigente in ordine a proposta di lottizzazione) sul presupposto che esso, sulla base di una prassi invalsa nel Comune di Bari, costituisca in realtà l’epilogo provvedimentale.
Lo schema proposto è quindi quello proprio dell’arresto procedimentale. Il ricorrente sostiene cioè che non vi debbano o possano essere sviluppi procedimentali ulteriori, con conseguente immediato pregiudizio per la sfera giuridica connessa ai propri interessi pretensivi. Inappropriato è invece il riferimento all’atto soprassessorio, poichè esso per definizione, come già visto, implica successivi sviluppi nel tempo, ai quali rinvia sub conditione.
3.2. Ciò nondimeno difettano, in concreto, i presupposti per definire il parere tecnico negativo, un arresto procedimentale; ed è il riferimento alla “prassi” che appare in proposito dirimente.
L’arresto procedimentale che astrattamente giustifica ed anzi impone l’immediata azione di annullamento in base all’equiparazione provvedimentale quoad effectum, non può sfuggire al principio di legalità ed ai suoi corollari di tipicità e tassatività, ed è pertanto configurabile ove tragga origine e fondamento dalla stessa dinamica contemplata dalla legge nell’esegesi che ne da in chiave applicativa il giudice.
La prassi, intesa quale costante sperimentazione di protocolli procedimentali, praeter o addirittura contra legem, tesi ad elidere (come nel caso di specie) fasi essenziali del procedimento amministrativo, ivi compreso il provvedimento finale, è per converso inidonea a generare oneri di impugnazione, ponendosi piuttosto, essa stessa, come comportamento violativo dell’obbligo di concludere il procedimento.
3.3. Dinanzi ad una siffatta prassi, l’unica tutela praticabile è l’azione di accertamento e condanna a provvedere.
Il giudice può certamente conoscere dei contenuti del parere ed anzi può dirsi che quest’ultimo riduca la discrezionalità a tal punto da consentire al giudice l’accertamento della fondatezza o meno della pretesa. L’azione sul silenzio è tuttavia strumentale al provvedere, e diviene recessiva, salvo ovviamente la risarcibilità del pregiudizio inferto, una volta che l’amministrazione provvede autonomamente.
E’quanto è successo nell’odierno giudizio. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’atto istruttorio a mezzo di un’azione sostanzialmente qualificabile quale azione di accertamento e condanna, ma nel corso del giudizio è sopravvenuto il provvedimento terminativo del procedimento determinandone l’improcedibilità.
4. Le conclusioni non muterebbero ove l’azione potesse configurarsi quale impugnazione facoltativa di un atto provvisorio, poiché anche in questo caso la mancata impugnazione dell’atto definitivo sopravvenuto determinerebbe l’improcedibilità.
La giurisprudenza amministrativa ha infatti costantemente affermato che "la formula - di carattere pretorio - della improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse riguarda propriamente le fattispecie in cui l'atto amministrativo impugnato abbia comunque cessato di produrre i suoi effetti, o per il mutamento della situazione di fatto o di diritto presente al momento della presentazione del ricorso, che faccia venir meno l'effetto del provvedimento impugnato, ovvero per la intervenuta adozione, da parte dell'amministrazione, di un provvedimento idoneo a ridefinire l'assetto degli intereressi in gioco e tale da rendere certa e definitiva l'inutilità della sentenza, ancorché l'atto risulti eventualmente privo di effetto satisfattivo nei confronti del ricorrente."(Consiglio Stato, sez. V, 09 ottobre 2007, n. 5256; sez IV, 30 luglio 2012, n. 4187).
5. Piuttosto deve darsi risposta alle obiezioni degli appellati in ordine alla conoscibilità del provvedimento amministrativo finale tardivamente depositato. Essi sostengono che il divieto di produzione documentale investa anche i provvedimenti amministrativi; comunque stigmatizzano il comportamento del Comune, il quale avrebbe sostanzialmente posto nel nulla la lunga parentesi giudiziaria attendendo i giorni prossimi alla decisione finale per determinarsi.
L’obiezione, seppur dettata da comprensibili ragioni di tutela sostanziale, non può essere condivisa.
Il Comune ha sia in primo grado che in appello sostenuto la tesi dell’inammissibilità dell’impugnativa in ragione del carattere endoprocedimentale dell’atto gravato e, benché tardivamente, ha dato coerente sfogo provvedimentale alla tesi processuale sostenuta, emanando infine il diniego di approvazione.
Il provvedimento emanato dalla parte pubblica resistente, incidente sull’assetto di interessi portato in giudizio dal ricorrente, non è equiparabile ad un documento astrattamente utile ai fini della decisione, ma è un atto che riverbera direttamente su una delle condizioni dell’azione (l’interesse a ricorrere, che com’è noto deve sussistere al momento della pronuncia), facendola venire meno. La sua conoscenza da parte del giudice può avvenire anche a mezzo di semplice dichiarazione in udienza, purchè non contestata, e comunque il Giudicante, ove nutra dubbi sulla natura e portata dell’atto, può, ed anzi deve, comunque acquisirlo d’ufficio.
6. Da ultimo una qualche considerazione deve pur essere fatta in ordine alla correttezza processuale del comportamento del Comune. Non v’è dubbio che quest’ultimo avrebbe potuto per tempo adottare l’atto, ed adottandolo in limine alla decisione ha di fatto ottenuto una vittoria meramente processuale che suona come un diniego di giustizia per il ricorrente.
Occorre tuttavia sottolineare che il ritardo è evenienza patologica che può essere efficacemente combattuta in prima istanza unicamente con l’azione di accertamento ed adempimento: e l’adempimento tardivo, anche se di tenore reiettivo, costituisce in questa fase pur sempre un risultato utile in direzione del superamento dell’inerzia. Il pregiudizio, patrimoniale e non, eventualmente derivante dalla tardività dell’adempimento, è materia di pertinenza della successiva ed eventuale azione demolitoria nonchè di quella risarcitoria ove ne ricorrano i presupposti. E’ in tale sede che le doglianze del ricorrente potranno trovare concreto ascolto.
7. In conclusione, in riforma della sentenza gravata, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.
7. Avuto riguardo all’esito ed all’andamento del giudizio, le spese del doppio grado possono essere compensate.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza gravata, dichiara improcedibile il ricorso.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente FF
Andrea Migliozzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Giulio Veltri, Consigliere, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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