CULTURA:
alcuni tra i più grandi
Avvocati amministrativisti
del secondo dopoguerra
(Cons. Giuseppe Barbagallo).
Dal Sito della Giustizia Amministrativa
"Non posso qui non ricordare, scusandomi per le
tante omissioni, alcuni grandi avvocati che molto mi hanno aiutato a
comprendere il diritto e, soprattutto, il processo amministrativo, visto dalla
parte dei destinatari dell’attività amministrativa.
E così, parlo di
grandi avvocati purtroppo scomparsi, come Leopoldo Piccardi, mirabile esempio
di razionale ed elegante oratoria, di Antonio Sorrentino, che con
il suo argomentare vivo ed incalzante dava un’anima e un volto alle “carte”,
facendo balzare dietro di esse la vicenda umana grande o piccola che fosse; di Enrico
Guicciardi che la sua logica tersa e geometrica era quegli che meglio
aveva delineato l’in sè dell’azione amministrativa e del processo relativo agli
interessi legittimi, come razionalmente distinti dai diritti soggettivi che si
potevano azionare davanti al giudice civile, ma per ciò stesso estensivi
al massimo del sindacato giurisdizionale, prima che si affermasse un nuovo
modello di processo amministrativo, dandosi maggior rilevanza agli interessi sostanziali.
Ricordo Mario
Nigro, tagliente interprete della realtà in evoluzione forse il più moderno
tra tutti noi, e A.M. Sandulli puntuale e lucido interprete dell’ordinamento,
che ha guidato quelli della mia generazione; Feliciano Benvenuti che aprì nuovi
orizzonti nel processo amministrativo, sia con riferimento all’istruzione, sia
con riferimento alle regole del processo volte a garantire il
contraddittorio.
Infine, ma solo per
la sua dipartita più recente, devo ricordare M. S. Giannini, del
quale col tempo -come si addice ad un vero maestro- apprezziamo sempre di più
gli insegnamenti elargiti, che avevano dato un significato ad una possibilità
di comprensione della legislazione pullulante di uno stato pluriclasse,
portandola dalla frammentarietà e dal disordine ai ripari dei principi generali
dell’ordinamento. Il professor Giannini era un maestro di diritto che colpiva
come avvocato per il suo garbo e direi per la sua bravura nell’esporre, con la
massima naturalezza, le tesi più suggestive, ma miranti a ricostruire l’unità
dell’ordinamento, rendendolo comprensibile nella sua evoluzione.
Era caratteristico
il suo introdurre verso tali ricostruzioni, a mò di apertura, con un “vedete”.
Però spesso potevano seguire, nonostante la voce pacata, giudizi taglienti, impietosi
per l’operato dell’Amministrazione. Egli non amava le schermaglie o i
sotterfugi processuali, ma mirava sempre alla sostanza del ricorso.
Non era sicuramente
un avvocato che si affidava alle risorse dell’oratoria facile e, forse, nell’immediato
poteva non produrre un grande effetto sul giudice. Può darsi anche -e
naturalmente parlo di me stesso- che nell’immediato potevano non cogliersi
appieno le sue tesi difensive per un tradizionalismo di chi lo ascoltava, ma
col tempo quelle tesi hanno lasciato un segno non superficiale legato alla
fattispecie discussa, ma profonda, che è poi riemersa.
Un fatto è certo,
ora ci sentiamo impoveriti, sentiamo la Sua mancanza
Il professor Giannini credo non amava il diritto
processuale e quello amministrativo in particolare, pur essendo molto attento
alla giurisprudenza del giudice amministrativo.
Nel
discorso generale sulla giustizia amministrativa degli anni ’63 e
’64 egli aveva avvertito che vi era necessità d’intendersi sulla giustizia
amministrativa, ritenendo che non costituiva un sistema e che bisogna trarsi
fuori dagli ambienti di pensiero che volevano trattarla come sistema e porsi
invece il problema nella sua autonomia ed essenza onde risolverla
scientificamente. Ma nel 1981, nel “discorso” sui cinquanta anni di esperienza
giuridica amministrativa, osservava che “tutti gli studi nel tema peccano di
presunzione nel momento in cui vogliono affermare l’autonomia della giustizia
amministrativa col disegno del diritto processuale civile che restava, invece,
la matrice di tutti gli studi sul processo”.
Del
resto maggior parte dei disegni di legge sulla giustizia amministrativa, con
accenti or più ora meno marcati hanno fatto riferimento al processo civile.
Sicuramente,
ora che si va imponendo la distinzione delle due giurisdizioni su nuova base,
quella appunto delle materie o se si vuole, con una terminologia che può anche
non piacere dal punto di vista linguistico, dei blocchi di materie, distinzione
che Giannini ha sempre avversato, egli qualcosa da ridire e naturalmente da
meditare l’avrebbe detta.
Questi
sono i miei ricordi, che esterno frammentariamente, come emergono
dalla mia memoria di sette lustri di giudice amministrativo, che mi consentono,
però, di evidenziare un aspetto, anch’esso comune ai due protagonisti del
processo amministrativo, la stretta contiguità tra foro e cattedra (e ne è
luminoso esempio proprio il professor avvocato Giannini che è stato per anni il
presidente degli avvocati amministrativi) e scranno nel campo della giustizia
amministrativa.
Non
vi sono state mai cesure o rotture tra dottrine e giurisprudenza, ma osmosi
consapevole; ne sono una testimonianza qualificata i nostri convegni, come lo è
appunto questa giornata di studi dedicata a un grande maestro della dottrina,
che fu anche un grande maestro del foro e ciò proprio in occasione dell’annuale
conferimento del premio Sorrentino.
3 - Resta però
valida -e forse oggi lo è a maggior ragione, la convinzione di Nigro che “La
giustizia amministrativa e qualunque giustizia amministrativa, non solo quella
italiana, è storia e problema, anzi è storia in quanto problema (o complesso di
problemi) ed è problema in quanto storia”, atteso che -e chi lo può negare ?-
essa giustizia è legata da un lato ad un certo tipo di storia, ora in via di
rapida e forse tumultuosa, almeno in superficie, trasformazione, commutamento
delle relazioni tra questo Stato o meglio questo apparato amministrativo e i
cittadini da un lato e, dall’altro, la giustizia amministrativa che aspira ad
essere più giustizia. Cioè ad essere, come diceva Nigro, un apparato di tutela
effettiva di situazioni giuridiche, vale a dire di un ordine non strumentale,
ma autogovernato si però, come io ritengo di soggiungere, nella sua specificità
e ciò proprio per quella effettività di tutela richiamata.
E
qui vengono in risalto, ad un tempo, la ragione della specificità del giudice
amministrativo, che deve conoscere il funzionamento dall’interno della macchina
amministrativa e quella dell’avvocato che deve conoscerla quanto agli effetti
che essa produce sui destinatari, ancor più in modo specialistico. L’una e
l’altra però devono essere in grado di raccordarsi all’ordinamento generale
nella risoluzione delle controversie. Da qui la necessità della conoscenza di
giudici ed avvocati amministrativi del diritto privato e del diritto pubblico.
Ed
è, perciò, proprio vero che non occorrono modelli precostituiti, dovendosi
curare il costante collegamento della sostanza con il processo, che appunto a
quella sostanza deve adeguarsi. Ciò spiega, in particolare, quella
giurisprudenza pretoria, che forse si avvicina ad altre attuali esperienze
giuridiche, che necessariamente postulano norme del rito a maglie larghe,
piuttosto che molto dettagliate, che possono allontanare dalla risoluzione
adeguata con una ingessatura rituale.
Da
qui l’enorme importanza, giustamente riconosciuta alla giurisprudenza, che
perciò può presentarsi non sistemica. Motivo per cui la dottrina,
per compensazione, deve indicare le linee fondamentali, che devono essere
rispettate ed inverate, estraendo cioè molteplicità casistica la “ratio legis”,
adeguatamente storicizzata.
Nondimeno il
processo delle regole certe deve pur averle, sotto pena confusione e alla fine
di discredito dei giudici e/o del malcapitato avvocato, inciampato in una
regola fluida, modificata proprio nel suo caso".
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