AMBIENTE:
la formula "chi inquina paga" è conforme all'ordinamento comunitario?
(Cons. St., Sez. VI, ord. 21 maggio 2013 n. 2740)
Questione di diritto rimessa alla Plenaria
Se, in base al principio di matrice comunitaria compendiato nella formula “chi inquina, paga”, l’amministrazione nazionale possa imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza di cui all’articolo 240, comma 1, lettera m) del decreto legislativo 152 del 2006 (sia pure, in solido con il responsabile e salvo il diritto di rivalsa nei confronti del responsabile per gli oneri sostenuti), ovvero se, in alternativa, in siffatte ipotesi gli effetti a carico del proprietario “incolpevole” restino limitati a quanto espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo decreto legislativo in tema di oneri reali e privilegi speciali.
Massima
1. In giurisprudenza si sono registrate posizioni differenziate in ordine al se possa farsi gravare sul proprietario dell’area ‘incolpevole’ della contaminazione l’obbligo di realizzare gli interventi di cui al titolo V della parte IV del ‘codice ambientale’ (sia pure solo in solido con il responsabile effettivo e salvo il diritto di rivalsa nei confronti di quest’ultimo per gli oneri sostenuti).
2. Da un lato, si potrebbe sostenere che le disposizioni contenute nel Codice (D.Lgs. n. 152/06) sopra riportate non consentano di concludere nel senso che al proprietario dell’area possano essere impartiti specifici obblighi di facĕre (quali quelli relativi all’integrazione delle misure di messa in sicurezza di emergenza e di presentazione della variante al progetto di bonifica, che nella presente vicenda vengono in rilievo).
Infatti, ai sensi dell’articolo 244, comma 3, l’ordinanza che impartisce al responsabile l’ordine di adottare le misure di cui agli articoli 240 e segg. viene, sì, notificata anche al proprietario dell’area, ma “ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253” (i.e.: ai sensi della disposizione in tema di oneri reali e privilegi speciali gravanti sul fondo).
Si potrebbe dunque sostenere che il comma 3 non consenta di notificare l’ordinanza al proprietario anche ai fini della diretta attribuzione nei suoi confronti - in solido con il responsabile - dell’obbligo di adottare le misure.
Inoltre, si potrebbe sostenere che:
- ai sensi del combinato disposto dell’articolo 244, comma 4, e dell’articolo 245, commi 1 e 2, il proprietario dell’area ‘incolpevole’ possa, ma non debba, realizzare gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, se abbia uno specifico interesse ad operare in tal senso.
- ai sensi dell’articolo 245, comma 2, il proprietario ‘incolpevole’avrebbe solo l’obbligo di attuare le misure di prevenzione di cui all’articolo 240, comma 1, lettera i) e di cui all’articolo 242, comma 1 (si tratta delle sole misure di somma urgenza, da adottare entro le prime ventiquattro ore dall’evento e il cui contenuto è puntualmente individuato dal ‘codice’).
Pertanto, si potrebbe affermare che, in applicazione del principio di tendenziale inestensibilità degli obblighi impositivi di prestazioni personali o patrimoniali (nonché del generale principio “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”), gli obblighi ricadenti sul proprietario costituiscono un numerus clausus;
- l’art. 250, che elenca in ordine successivo e sussidiario i soggetti chiamati a realizzare le attività di cui al più volte richiamato titolo V, non ha trasformato in ‘obbligo’ ciò che le altre disposizioni delineano quale mera facoltà, stabilendo invece che l’onere ‘di ultima istanza’ di realizzare le misure gravi comunque su un soggetto pubblico (il Comune o la Regione territorialmente competenti), fermo restando - naturalmente - che in tale ipotesi operano le previsioni e le ‘garanzie’ di cui all’articolo 253;
- il comma 3 dell’articolo 253 (quale norma di ‘chiusura’ del sistema) legittima i competenti soggetti pubblici ad avvalersi del privilegio speciale immobiliare e del connesso diritto di chiedere la ripetizione delle spese in ipotesi del tutto residuali, quali quelle - che qui non ricorrono - in cui sia del tutto impossibile accertare l’identità del soggetto responsabile o in cui sia del tutto impossibile o infruttuoso l’esercizio dell’azione di rivalsa nei suoi confronti.
La medesima conclusione ‘negativa’ si potrebbe basare su considerazioni di ordine sistematico, ove si ritenesse che:
- l’onere reale sia una figura incompatibile con la obbligazione propter rem, che invece pacificamente implica la ‘trasmissibilità’ dell’obbligo di cui è titolare il dante causa.
- il principio comunitario di precauzione non implica necessariamente che il proprietario sia il destinatario ‘naturale’ delle misure precauzionali (pur se la giurisprudenza comunitaria ha attenuato il rilievo da riconoscere all’elemento psicologico ai fini della riferibilità del danno ambientale ai sensi della direttiva 2004/35/CE: CGUE 9 marzo 2010, in C-379/08), in quanto nessuna disposizione comunitaria sembra consentire che il principio ‘chi inquina paga’ comporti l’addebito di una responsabilità per danno ambientale quale mera conseguenza di un rapporto dominicale con la res sulla quale sia in atto un fenomeno di inquinamento.;
- le ipotesi di responsabilità oggettiva per danno ambientale costituiscono un numerus clausus, tendenzialmente inestensibile in via interpretativa ed applicativa (v. la legge 6 aprile 1977, n. 185, sulla responsabilità oggettiva nel caso di inquinamento marino da idrocarburi);
- gli obblighi di protezione e di custodia non rileverebbero quando - come nel caso in esame - l’inquinamento risalga a un periodo in cui le aree erano di proprietà di altri soggetti.
Ove dovesse prendersi in comparazione la normativa sul danno ambientale, va osservato che l’ordinamento comunitario richiede il nesso causale fra l’attività esercitata dall’operatore economico sul fondo e il danno all’ambiente, non ammettendo le ipotesi di responsabilità c.d. ‘da posizione’, mentre solo nel caso di attività oggettivamente rischiose (indicate all’allegato III alla direttiva n. 35 del 2004) le misure di ripristino ambientale possono essere imposte all’operatore responsabile quale mera conseguenza del nesso di causalità esistente fra l’attività esercitata e il danno, mentre – al di là di tali casi – non vi è una disposizione espressa che imponga al proprietario in quanto tale le misure di ripristino ambientale.
3. D’altra parte, oltre alle articolate deduzioni contenute nel sopra richiamato parere della seconda Sezione (n. 2038/2012, reso all’esito dell’adunanza del 23 novembre 2011), si può osservare che:
- la normativa può essere interpretata nel senso che le vicende di rilievo civilistico (similmente a quanto accade, per la tutela del territorio, quando il proprietario pro tempore realizza un immobile abusivo) non incidono sulla operatività delle disposizioni volte alla salvaguardia dell’ambiente, anche perché altrimenti diventerebbe estremamente agevole ridurre o eludere l’applicazione della normativa di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006;
- l’onere reale (che in base al diritto moderno è concepibile solo nei casi previsti dalla legge e comporta che il bene che ne risulta oggetto ha un particolare regime giuridico, difforme da quello previsto dal codice civile, ancorato al sistema romanistico del numero chiuso dei diritti reali) per sua natura implica che il titolare del bene, che ne risulta oggetto, sia anche il soggetto tenuto ad adempiere quanto dovuto (sotto tale profilo, col richiamo all’onere reale – rispetto al quale l’obbligazione propter rem differisce, perché essa comporta l’ambulatorietà dell’obbligo, in assenza di un regime giuridico particolare del bene – il legislatore in re ipsa può aver esplicitato la regola che il proprietario ‘attuale’, su cui ricade l’onere reale, è per definizione il soggetto tenuto agli obblighi che costituiscono il presupposto della stessa esistenza dell’onere reale);
- da decenni la dottrina e la giurisprudenza civilistica hanno abbandonato (o comunque largamente contestato) il principio colpevolistico un tempo posto a base della responsabilità civile ed hanno rilevato come tale principio sia uno dei tanti ‘criteri di imputazione’ del danno, al quale – in ragione del determinante rilievo dei sopra richiamati principi comunitari, che tengono conto delle esigenze di difesa dell’ambiente, della natura e della salute – si può aggiungere quello secondo il quale il proprietario di un bene immobile (così come risponde della rovina di un edificio o di un’altra costruzione o quale custode dell’area, per gli artt. 2053 e 2051) risponde anche del danno (da inquinamento) che il terreno continua a cagionare pur dopo il suo acquisto, in ragione degli effetti lesivi permanenti derivanti dall’inquinamento (proprio quelli che giustificano le misure che devono trovare attuazione).
Sotto tale profilo, si può anche ritenere che la ‘rivalsa’ spetta alle autorità pubblica che abbiano eseguito le misure, proprio in ragione del primario ed immanente obbligo gravante sul proprietario in quanto tale.
Del resto, si può anche sostenere che – in coerenza col fondamento stesso del principio ‘chi inquina paga’ – il ‘chi’ non va inteso solo come colui che con la propria condotta attiva abbia posto in essere le attività inquinanti o abusato del territorio immettendo o facendo immettere materiali inquinanti, ma anche colui che – con la propria condotta omissiva o negligente – nulla faccia per ridurre o eliminare l’inquinamento causato dal terreno di cui è titolare.
Infine, per l’id quod plerumque accidit, l’acquirente di un terreno, ove sia sufficientemente diligente, può venire a conoscenza del suo grado di inquinamento (specie quando esso sia ‘grave’): ritenere che l’alienazione in quanto tale renda ‘incolpevole’ l’acquirente-proprietario rischia di risultare una formalistica elusione della normativa di salvaguardia dell’ambiente.
Pertanto, la normativa comunitaria e quella nazionale possono essere interpretate nel senso che hanno considerato rilevanti solo le caratteristiche oggettive dei terreni e non anche le indagini di fatto (altrimenti necessarie) sulla effettiva sussistenza dell’elemento psicologico del proprietario (anche quando si tratti di una persona giuridica).
Ordinanza di rimessione
INTESTAZIONE
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
PARZIALE CON
CONTESTUALE ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 656 del 2013, proposto da:
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero
della Salute, Ispra - Istituto Superiore della Protezione e La Ricerca
Ambientale, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in
Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Fipa Group S.r.l.Gia'
Nasco Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Candido Di Gioia, Francesco Massa,
con domicilio eletto presso Giovan Candido Di Gioia in Roma, piazza G. Mazzini,
27;
nei confronti di
Comune di Massa,
Regione Toscana, Provincia di Massa Carrara, Comune di Carrara, Arpat Azienda
Regionale Protezione Ambientale Toscana, Agenzia Regionale Protezione
Ambientale Settore Versilia;
sul ricorso numero di
registro generale 658 del 2013, proposto da:
Ministero
dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero della Salute,
Ispra - Istituto Superiore della Protezione e La Ricerca Ambientale,
rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
contro
Tws Automation Srl,
rappresentato e difeso dagli avv. Roberto Lazzini, Stefano Prosperi Mangili,
con domicilio eletto presso Stefano Prosperi Mangili in Roma, via G. Battista
Vico, 1;
nei confronti di
Comune di Massa, Regione
Toscana, Provincia di Massa Carrara, Comune di Carrara, Arpat Azienda Regionale
Protezione Ambientale Toscana, Agenzia Regionale Protezione Ambientale Settore
Versilia;
sul ricorso numero di
registro generale 659 del 2013, proposto da:
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero
della Salute, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura, domiciliata in
Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Ivan Srl,
rappresentato e difeso dagli avv. Giovan Candido Di Gioia, Francesco Massa, con
domicilio eletto presso Giovanni Di Gioia in Roma, via Pierluigi Da Palestrina, 19;
nei confronti di
Montedison Srl,
rappresentato e difeso dagli avv. Maria Stefania Masini, Wladimiro Troise
Mangoni, Gian Luca Conti, con domicilio eletto presso Maria Stefania Masini in
Roma, via Antonio Gramsci N.24; Comune di Massa, Regione Toscana, Provincia di
Massa Carrara, Comune di Carrara, Arpat Azienda Regionale Protezione Ambientale
Toscana, Agenzia Regionale Protezione Ambientale Settore Versilia;
per la riforma
quanto al ricorso n.
656 del 2013:
della sentenza breve
del T.a.r. Toscana - Firenze: Sezione Ii n. 01666/2012, resa tra le parti,
concernente
quanto al ricorso n.
658 del 2013:
della sentenza del
T.a.r. Toscana - Firenze: Sezione Ii n. 01659/2012, resa tra le parti,
concernente
quanto al ricorso n.
659 del 2013:
della sentenza del
T.a.r. Toscana - Firenze: Sezione Ii n. 01664/2012, resa tra le parti,
concernente
Visti i ricorsi in
appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di
costituzione in giudizio di Fipa Group S.r.l.Gia' Nasco Srl e di Tws Automation
Srl e di Ivan Srl e di Montedison Srl;
Viste le memorie
difensive;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore nella camera
di consiglio del giorno 8 marzo 2013 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le
parti gli avvocati dello Stato Cristina Gerardi, l'avv.to Di Gioia e l'avv.to
Massa dello Stato Cristina Gerardi e l'avv.to Prosperi Mangili dello Stato
Cristina Gerardi, l'avv.to Massa, l'avv.to Di Gioia, l'avv.to Masini e l'avv.to
Troise;
FATTO
1. Con i cinque
ricorsi di primo grado, proposti al T.A.R. della Toscana (nn. 695/2012,
1294/2007, 145/2012, 2070/2011 e 134/2012), le società odierne appellate
avevano chiesto l’annullamento dei decreti adottati dal Ministero dell’ambiente
fra il 2007 e il 2011 con cui, ai sensi dell’articolo 14-ter della l. 7 agosto
1990, n. 241 (e in senso conforme alle determinazioni conclusive delle
conferenze di servizi decisorie all’uopo convocate), era stato ordinato a tali
società – quali proprietarie di aree gravemente contaminate da agenti nocivi ed
incluse nell’ambito del sito di interesse nazionale di Massa Carrara - di
avviare specifiche misure di messa in sicurezza di emergenza, nonché di
presentare la variante del progetto di bonifica dell’area (progetto risalente
al 1995).
In particolare:
- con il ricorso n.
695/2012 (definito con la sentenza n. 1666/2012), la soc. Nasco s.r.l. aveva
impugnato il decreto direttoriale del 7 novembre 2011 avente ad oggetto il
provvedimento finale di adozione delle determinazioni conclusive della
conferenza di servizi decisoria del 5 ottobre 2011;
- con il ricorso n.
1294/2007 e il successivo ricorso n. 145/2012 (definiti, previa riunione, con
sentenza n. 1695/2012), la soc. TWS Automation s.r.l. aveva impugnato: a) il
decreto direttoriale del 18 maggio 2007 avente ad oggetto il provvedimento finale
di adozione delle determinazioni conclusive delle conferenze di servizi
decisorie del 22 dicembre 2005, 28 aprile 2005 e 24 marzo 2005; b) il decreto
direttoriale del 7 novembre 2011 avente ad oggetto il provvedimento finale di
adozione delle determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria
del 5 ottobre 2011 (a sua volta recettiva dell’accordo di programma del 14
marzo 2011);
- con il ricorso n.
2070/2011 e il successivo ricorso n. 134/2012 (definiti, previa riunione, con
sentenza n. 1664/2012), la soc. I.Van. s.r.l. aveva impugnato: il decreto
direttoriale del 16 settembre 2011 e il successivo decreto del 7 novembre 2011,
con cui era stato chiesto alla società in qualità di attuale proprietaria
dell’area e ai sensi dell’articolo 2051 cod. civ., di provvedere al integrare
le misure di messa in sicurezza di emergenza del sito industriale di cui è
proprietaria e di presentare una variante al progetto di bonifica del sito.
Al riguardo, le
società ricorrenti in primo grado avevano rappresentato:
- di essere
subentrate nella titolarità delle aree in parola ad altre società, le quali le
avevano acquistate dalla Cersam s.r.l.;
- di non aver in
alcun modo concorso a determinare il grave stato di contaminazione delle aree
da loro acquistate (stato di contaminazione le cui cause erano da rinvenirsi
nelle attività già svolte su tali aree da parte dei precedenti titolari e, in
primis, dalle società del gruppo Montedison);
- che i decreti
impugnati in primo grado avevano imposto alle appellate, per la loro qualità di
proprietarie delle aree, l’adozione di onerose attività riferibili alle
previsioni di cui al Titolo V della Parte IV del decreto legislativo 152 del
2006 (sulla ‘bonifica dei siti contaminati’), fra cui: i) l’avvio di specifiche
misure di messa in sicurezza di emergenza (fra cui il barrieramento fisico
delle acque di falda); ii) la presentazione di varianti al progetto di bonifica
dell’area.
2. Con le sentenze in
epigrafe, il Tribunale adìto ha accolto i ricorsi proposti dalle società Nasco
s.r.l., TWS Automation s.r.l. e Ivan s.r.l. e, per l’effetto, ha disposto
l’annullamento degli atti impugnati.
3. Le sentenze in
questione sono state appellate dal Ministero dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare, il quale ha articolato tre ricorsi in appello (invero
fondati su argomenti coincidenti) che vengono qui di seguito descritti.
Con un primo ordine
di motivi, il Ministero osserva che i primi Giudici avrebbero dovuto rilevare
l’inammissibilità dei ricorsi di primo grado per la ritenuta insussistenza di
un interesse diretto, concreto ed attuale all’impugnativa.
Ed infatti, un
siffatto interesse sarebbe nel caso di specie assente, in considerazione del
fatto che nessun pregiudizio diretto ed immediato poteva derivare alla sfera di
interessi delle ricorrenti in primo grado, atteso che l’amministrazione avrebbe
potuto agire in loro danno solo se si fosse verificato un evento futuro e
incerto (la paventata inadempienza della Montedison s.r.l. - in seguito: Edison
s.p.a. - rispetto agli obblighi di cui al Titolo V della Parte IV del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n., 152).
Inoltre, i primi
Giudici avrebbero dovuto concludere nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi
in considerazione del fatto che i provvedimenti impugnati dinanzi al T.A.R. erano
stati notificati alle società odierne appellate solo in quanto proprietarie
delle aree e che tali provvedimenti non contenevano alcun ordine nei loro
confronti, sì da porre in dubbio la stessa legittimazione al ricorso, prima
ancora dell’interesse ad agire.
Con un secondo ordine
di motivi, il Ministero appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe
per la parte in cui è stato accolto il motivo di ricorso con il quale si era
contestata la sussistenza dei presupposti per attivare la messa in sicurezza
d’emergenza e per impartire le conseguenti disposizioni nei confronti dei
soggetti proprietari delle aree.
Questo motivo
concerne due distinti aspetti delle sentenze in epigrafe (entrambi, tuttavia,
determinanti ai fini della complessiva risoluzione della vicenda).
In primo luogo, il
Ministero appellante lamenta che erroneamente i primi Giudici abbiano negato la
sussistenza dei presupposti per disporre l’adozione delle misure di messa in
sicurezza d’emergenza di cui all’articolo 240, comma 1, lettera m) del decreto
legislativo n. 152 del 2006.
Contrariamente a
quanto ritenuto dai primi Giudici, infatti, le misure di messa in sicurezza
d’emergenza potrebbero essere disposte anche al fine di evitare un incremento
repentino (non ancora verificatosi, ma in concreto possibile) e potenzialmente
immediato e incontrollabile dell’inquinamento. Sotto tale aspetto, la sentenza
in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per non aver considerato che
l’approccio in questione è quello maggiormente compatibile con i princìpi della
precauzione, dell’azione preventiva e della correzione in via prioritaria alla
fonte dei danno causati all’ambiente.
In secondo luogo, i
primi Giudici non avrebbero considerato che nei confronti del proprietario del
sito inquinato ben possono essere adottati i provvedimenti di cui al titolo IV
della parte IV del ‘codice ambientale’ (articolo 240 e seguenti) a prescindere
dalla sussistenza di una prova in ordine all’addebitabilità dell’inquinamento
alle sue azioni o omissioni.
Ad avviso del Ministero
appellante, invero, il principio di matrice comunitaria ‘chi inquina paga’
dovrebbe essere inteso con un’ampia accezione interpretativa e avendo
prioritario rilievo alla funzione di salvaguardia al cui presidio il principio
in questione è posto.
In definitiva, il
principio in parola dovrebbe essere inteso nel senso che la responsabilità
degli operatori economici proprietari o utilizzatori di aree industriali
ricadenti nell’ambito di siti inquinati si qualificherebbe quale ‘oggettiva
responsabilità imprenditoriale’, conseguente all’esercizio di un’attività
ontologicamente pericolosa.
Ne consegue che i
proprietari delle aree sarebbero tenuti a sostenere integralmente gli oneri
necessari a garantire la tutela dell’ambiente (ad esempio, mediante la realizzazione
degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza) in correlazione causale con
tutti - indistintamente - i fenomeni di compromissione collegati alla
destinazione produttiva del sito il quale sarebbe - sotto tale aspetto -
gravato da un vero e proprio onere reale finalizzato alla tutela di prevalenti
interessi della collettività.
Del resto l’approccio
in questione sarebbe compatibile con un sistema (quello delineato dagli
articoli 240 e seguenti del decreto legislativo 152 del 2006) il quale, nelle
ipotesi in cui il responsabile dell’inquinamento non sia in concreto
individuabile o non provveda, non prevede che la responsabilità (per così dire:
‘di ultima istanza’) gravi sulla collettività, ma prevede che i relativi oneri
gravino a carico della proprietà, salvo il diritto di rivalsa da parte del
proprietario nei confronti del responsabile.
Sotto questo aspetto,
la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma laddove ha affermato che,
nell’ipotesi di mancata effettuazione degli interventi di ripristino ambientale
da parte del responsabile dell’inquinamento (ovvero, nelle ipotesi di mancata
sua identificazione), le attività di recupero ambientale dovrebbero essere
eseguite dalla P.A. competente (la quale potrà a sua volta rivalersi sul
soggetto responsabile nei limiti del valore dell’area bonificata anche
esercitando - laddove la rivalsa non abbia avuto buon fine - le ‘garanzie’
gravanti sul terreno in relazione ai medesimi interventi).
Con un terzo ordine
di motivi, il Ministero lamenta che le sentenze appellate non avrebbero
considerato che l’applicazione del principio comunitario ‘chi inquina paga’ ben
può consentire l’imposizione a un soggetto di misure urgenti di tutela
ambientale in virtù del mero dato oggettivo della relazione con il sito inquinato
e a prescindere dalla prova di aver cagionato l’evento con la propria condotta
dolosa o colposa.
Ciò sarebbe
compatibile con la natura cautelare (e di estrema tutela) e non sanzionatoria
che caratterizza le misure di tutela ambientale d’urgenza.
L’approccio in
questione sarebbe confermato dalla giurisprudenza nazionale (viene citata al
riguardo Cons. Stato, V, 16 novembre 2005, n. 6406) e comunitaria (viene citata
al riguardo la sentenza della Corte di giustizia della CE del 9 marzo 2010, sui
ricorsi riuniti C-379/08 e C-380/08).
Il Ministero
appellante annette particolare importanza ai fini del decidere alla sentenza da
ultimo richiamata, la quale ha affermato che l’ordinamento comunitario ammette
che le misure di riparazione del danno ambientale possano essere imposte a un
soggetto a prescindere dalla dimostrazione dell’esistenza di un comportamento
doloso o colposo da parte dell’operatore le cui attività siano considerate
all’origine del danno ambientale.
Con un quarto ordine
di motivi, il Ministero appellante chiede la riforma delle sentenze in epigrafe
per la parte in cui non hanno considerato che l’imposizione al proprietario
dell’obbligo di ripristino ambientale risulta compatibile con il principio
comunitario di precauzione, il quale postula che - in tutti i casi in cui non siano
conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente
pericolosa - l’azione dei pubblici poteri deve tradursi in una prevenzione
precoce, anticipatoria rispetto al consolidarsi delle conoscenze scientifiche
In tal senso
deporrebbe la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Con un quinto ordine
di motivi, il Ministero appellante chiede la riforma delle sentenze in epigrafe
per la parte in cui hanno assorbito il motivo dedotto dalle società ricorrenti
in primo grado in relazione alla pretesa non conformità delle ‘prescrizioni’
imposte in seno alla conferenza di servizi decisoria rispetto ai contenuti
dell’accordo di programma intervenuto fra i competenti soggetti pubblici.
Sotto tale aspetto,
la pronuncia di assorbimento non risulterebbe corretta, atteso che i primi
Giudici avrebbero piuttosto dovuto respingere il motivo di ricorso, in quanto
infondato, con le conseguente statuizione di rigetto dei ricorsi nel loro
complesso.
Nel ricorso n.
656/2013 si è costituita in giudizio la società Fipa Group s.r.l. (già soc.
Nasco s.r.l.), la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Nel ricorso n.
658/2013 si è costituita in giudizio la società TWS Automation s.r.l., la quale
ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Nel ricorso n.
659/2013 si è costituita in giudizio la società Ivan s.r.l., la quale ha
concluso nel senso della reiezione dell’appello.
Nel ricorso n.
659/2013 si è costituita in giudizio la soc. Montedison s.r.l. - in seguito:
Edison s.p.a., a quale ha concluso nel senso della fondatezza dell’appello..
Alla camera di
consiglio del giorno 8 marzo 2013, i ricorsi sono stati trattenuti in
decisione, dopo che il presidente ha rappresentato – con l’adesione delle parti
– che il collegio si sarebbe riservato di decidere soltanto le domande
cautelari, ovvero di decidere il secondo grado dei giudizi con sentenza
semplificata, ovvero di decidere le domande cautelari, con trattenimento delle
cause per la definizione del secondo grado dei giudizi.
All’esito della
medesima camera di consiglio, il Collegio:
- ha reso tre
ordinanze, con cui è stata respinta l’istanza di sospensione cautelare degli
effetti delle sentenze impugnate, per carenza dei presupposti di legge;
- ha ritenuto
sussistenti i presupposti per trattenere le cause in decisione, per la
definizione del secondo grado dei giudizi, decidendo – come precisato nel
dispositivo – nel senso di deferire la decisione all’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato ai sensi dell’articolo 99 del cod. proc. Amm.
DIRITTO
1. Giungono alla
decisione del Collegio tre ricorsi in appello proposti dal Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare avverso altrettante
sentenze con cui il T.A.R. della Toscana ha accolto i ricorsi in primo grado
proposti da società che si erano rese acquirenti di alcune aree (già
appartenute a società del gruppo Montedison e incluse nel sito di interesse
nazionale di Massa Carrara, in quanto interessate da gravi fenomeni di
contaminazione) e, per l’effetto, ha annullato gli atti con cui i soggetti
pubblici competenti hanno loro ordinato - in qualità di proprietari delle aree
- di avviare specifiche misure di messa in sicurezza di emergenza, nonché di
presentare la variante del progetto di bonifica dell’area (progetto risalente al
1995).
2. I ricorsi in
questione devono essere riuniti, sussistendo evidenti ragioni di carattere
oggettivo e in parte soggettivo (articolo 70 del cod. proc. amm.).
3. Il Collegio (che
ha trattenuto in decisione i ricorsi in questione all’esito della camera di
consiglio, come prospettato alle parti) ritiene che alcuni dei punti di diritto
sottoposti al suo esame possano dare luogo a contrasti giurisprudenziali e,
pertanto, ritiene di deferire la questione all’Adunanza plenaria del Consiglio
di Stato ai sensi dell’articolo 99 del cod. proc. amm.
In particolare, si
sottopone all’esame dell’Adunanza plenaria la quaestio iuris se . in base al
principio di matrice comunitaria compendiato nella formula ‘chi inquina, paga’
– l’amministrazione nazionale possa imporre al proprietario di un’area
inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in
essere le misure di messa in sicurezza di emergenza di cui all’articolo 240,
comma 1, lettera m) del decreto legislativo 152 del 2006 (sia pure, in solido
con il responsabile e salvo il diritto di rivalsa nei confronti del
responsabile per gli oneri sostenuti), ovvero se – in alternativa - in siffatte
ipotesi gli effetti a carico del proprietario ‘incolpevole’ restino limitati a
quanto espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo decreto
legislativo in tema di oneri reali e privilegi speciali.
4. Ritiene la Sezione
che la questione sopra riassunta sub 3 sia rilevante, poiché vanno respinte le
eccezioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito sollevati dalle difese
delle parti in causa.
4.1. Si osserva al
riguardo che non è fondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello
sollevata dalla difesa della soc. Nasco s.r.l. (in seguito: FIPA Group s.r.l.)
per non essere stato il ricorso in appello notificato alla società Montedison
s.r.l. (in seguito: Edison s.p.a.), poiché alla società Montedison (in seguito:
Edison s.p.a.) è stato notificato il ricorso in appello n. 659/2013,
nell’ambito del quale essa ha potuto compiutamente articolare le proprie
difese.
4.2. Inoltre, non
risultano fondati i motivi di appello con i quali si è chiesto che il ricorso
di primo grado fosse dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione
attiva e interesse ad agire in capo alle società ricorrenti in primo grado (la
cui posizione giuridica potrebbe essere incisa solo nell’ipotesi - futura ed
incerta - del temuto inadempimento di Montedison).
Al riguardo appare
dirimente ai fini del decidere il fatto che i provvedimenti impugnati in primo
grado sanciscono l’obbligo in via solidale delle società oggi appellate per la
realizzazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza e per la
presentazione delle varianti ai progetti di bonifica.
Ne consegue che i
provvedimenti impugnati in primo grado risultano idonei ad incidere in modo
negativo nella sfera giuridica di tali imprese, imponendo in capo ad esse (in
via solidale rispetto al soggetto responsabile dell’inquinamento) onerosi
obblighi di facĕre;
5. Il carattere
dirimente ai fini del decidere della questione sollevata (relativa al se gli
obblighi di cui agli articoli 240 e seguenti del t.n. n. 152 del 2006 possano
ricadere anche sul proprietario ‘incolpevole’ in ragione del titolo
proprietario dell’area) emerge anche dalla infondatezza (di cui si darà atto
nel dispositivo) del motivo con il quale si è chiesta la riforma in parte qua
delle sentenze in epigrafe, per la parte in cui esse avrebbero negato in radice
la sussistenza dei presupposti stessi dell’avvio della messa in sicurezza di
emergenza dell’area.
Infatti, le sentenze
appellate non hanno posto in discussione la sussistenza stessa dei presupposti
e delle condizioni per imporre l’adozione di misure di messa in sicurezza di
emergenza.
Pertanto, risultano
inammissibili – per difetto di interesse - i motivi di appello con i quali il
Ministero ha chiesto di riformare le sentenze per avere negato (il che non è)
che nel caso in esame sussistessero i presupposti per imporre misure di messa
in sicurezza di emergenza, difettando le condizioni all’uopo previste
dall’articolo 240, comma 1, lettere m) e t) del d.lgs. 152 del 2006.
Sul punto, va
precisato che, qualora il TAR avesse effettivamente negato l’esistenza dei
presupposti per l’attivazione delle misure di messa in sicurezza di emergenza,
si sarebbe dovuto esaminare anche la questione inerente l’effettiva sussistenza
di tali presupposti.
Tuttavia, non avendo
il TAR escluso che vadano realizzate le misure di messa in sicurezza di
emergenza, nel giudizio occorre unicamente verificare quale sia la concreta
‘distribuzione’ degli obblighi tra l’autore dell’inquinamento - sia o meno esso
proprietario dell’area - e il proprietario che risulti tale al momento in cui
l’amministrazione ordina le misure imposte dalla legge.
6. Nel merito il
Collegio, poiché la centrale questione di diritto posta al suo esame risulta
particolarmente delicata e può dare luogo a contrasti giurisprudenziali,
ritiene di devolvere la definizione delle controversie all’esame dell’Adunanza
plenaria.
6.1. Al riguardo si
ritiene di premettere alcuni cenni in ordine al complessivo assetto delle
disposizioni che il decreto legislativo 152 del 2006 dedica alla questione
degli obblighi ricadenti - rispettivamente - a carico del soggetto responsabile
dell’inquinamento e del proprietario dell’area.
L’articolo 242 (in
tema di ‘procedure operative ed amministrative’) disciplina con un certo
livello di dettaglio gli oneri ricadenti sul soggetto responsabile
dell’inquinamento al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado
di contaminare il sito.
L’articolo 242
disciplina gli obblighi ricadenti sul soggetto responsabile per ciò che
riguarda:
i) l’adozione delle
necessarie misure di prevenzione, di ripristino e di messa in sicurezza
d’emergenza;
ii) gli obblighi di
comunicazione nei confronti dei soggetti pubblici competenti;
iii) la
predisposizione del piano di caratterizzazione;
iv) la gestione della
procedura di analisi del rischio specifica;
v) l’ottemperanza
agli obblighi derivanti dall’approvazione del piano di monitoraggio;
vi) la presentazione
dei progetti operativi degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa
o permanente;
vii) l’attivazione
delle attività di caratterizzazione, di bonifica, di messa in sicurezza e di
ripristino ambientale rese necessarie, a seconda dei casi, dalle prescrizioni
impartite dai soggetti pubblici competenti.
L’at. 242 non individua
alcun obbligo in capo al proprietario del sito, la cui posizione, in effetti,
non viene mai richiamata nell’ambito della disposizione in esame.
L’articolo 244
(rubricato ‘ordinanze’) disciplina il caso in cui sia stato accertato che la
contaminazione verificatasi nel caso concreto abbia superato i valori di
concentrazione della soglia di contaminazione.
In questo caso,
Provincia diffida con ordinanza motivata il responsabile della potenziale
contaminazione all’adozione delle misure di cui agli articoli 240 e seguenti.
Il comma 3 stabilisce
che “l’ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario
del sito ai sensi e per gli effetti dell’articolo 253”.
Il successivo comma 4
stabilisce che, “se il responsabile non sia individuabile o non provveda e non
provveda il proprietario del sito né altro soggetto interessato, gli interventi
che risultassero necessari ai sensi delle disposizioni di cui al presente
titolo sono adottati dall’amministrazione competente in conformità a quanto disposto
dall’articolo 250”.
L’articolo 245
(rubricato ‘Obblighi di intervento e di notifica da parte dei soggetti non
responsabili della potenziale contaminazione’) al comma 1 stabilisce che: “Le
procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino
ambientale disciplinate dal presente titolo possono essere comunque attivate su
iniziativa degli interessati non responsabili”.
Il comma 2, inoltre,
stabilisce che “Fatti salvi gli obblighi del responsabile della potenziale
contaminazione di cui all'articolo 242, il proprietario o il gestore dell'area
che rilevi il superamento o il pericolo concreto e attuale del superamento
delle concentrazione soglia di contaminazione (CSC) deve darne comunicazione
alla regione, alla provincia ed al comune territorialmente competenti e attuare
le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242. La
provincia, una volta ricevute le comunicazioni di cui sopra, si attiva, sentito
il comune, per l'identificazione del soggetto responsabile al fine di dar corso
agli interventi di bonifica. E' comunque riconosciuta al proprietario o ad
altro soggetto interessato la facoltà di intervenire in qualunque momento
volontariamente per la realizzazione degli interventi di bonifica necessari
nell'ambito del sito in proprietà o disponibilità”.
L’articolo 250
(rubricato ‘bonifica da parte dell’amministrazione’) stabilisce che, “Qualora i
soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli
adempimenti disposti dal presente titolo ovvero non siano individuabili e non
provvedano ne' il proprietario del sito ne' altri soggetti interessati, le
procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono realizzati d'ufficio
dal comune territorialmente competente e, ove questo non provveda, dalla
regione, secondo l'ordine di priorità fissati dal piano regionale per la
bonifica delle aree inquinate, avvalendosi anche di altri soggetti pubblici o
privati, individuati ad esito di apposite procedure ad evidenza pubblica. Al
fine di anticipare le somme per I predetti interventi le regioni possono
istituire appositi fondi nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio”.
Infine, rileva
l’articolo 253 (rubricato ‘Oneri reali e privilegi speciali’), il quale, ai
primi quattro commi, stabilisce quanto segue: “1. Gli interventi di cui al
presente titolo costituiscono onere reale sui siti contaminati qualora
effettuati d'ufficio dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 250.
L'onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del progetto di bonifica
e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica”. “2. Le
spese sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono assistite da
privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti
dell'articolo 2748, secondo comma, del codice civile. Detto privilegio si può
esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi
sull'immobile”. “3. Il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere
esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole
dell'inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di
provvedimento motivato dell'autorità competente che giustifichi, tra l'altro,
l'impossibilita' di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che
giustifichi l'impossibilita' di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del
medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità”. “4. In ogni caso, il
proprietario non responsabile dell'inquinamento può essere tenuto a rimborsare,
sulla base di provvedimento motivato e con l'osservanza delle disposizioni di
cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati
dall'autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito
determinato a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui
il proprietario non responsabile dell'inquinamento abbia spontaneamente
provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei
confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute e per
l'eventuale maggior danno subito”
7. In giurisprudenza
si sono registrate posizioni differenziate in ordine al se possa farsi gravare
sul proprietario dell’area ‘incolpevole’ della contaminazione l’obbligo di
realizzare gli interventi di cui al titolo V della parte IV del ‘codice
ambientale’ (sia pure solo in solido con il responsabile effettivo e salvo il
diritto di rivalsa nei confronti di quest’ultimo per gli oneri sostenuti).
7.1. In base a un
primo orientamento, al quesito va data risposta in senso positivo, avuto
riguardo al principio di matrice comunitaria compendiato nella formula ‘chi
inquina paga’.
L’orientamento in
questione è stato compendiato (con puntuali richiami alla giurisprudenza
amministrativa e della Corte di Cassazione) dalla seconda Sezione di questo
Consiglio di Stato con il parere n. 2038/2012 (reso all’esito dell’adunanza di
Sezione del 23 novembre 2011).
Stante il suo
carattere del tutto perspicuo, si ritiene di richiamare de extenso la parte
principale del parere in questione, per quanto qui di interesse:
“Alla luce degli
artt. 242, 244, 245, 250 e 253 del D.Lgs. 152/2006, appare evidente che, nel
sistema sanzionatorio ambientale, il proprietario del sito inquinato è senza
dubbio soggetto diverso dal responsabile dell’inquinamento (pur potendo,
ovviamente, i due soggetti coincidere); su quest’ultimo gravano, oltre altri
tipi di responsabilità da illecito, tutti gli obblighi di intervento, di
bonifica e lato sensu ripristinatori, previsti dal Codice dell’ambiente (in
particolare dagli artt. 242 ss.).
Tuttavia, il
proprietario dell’immobile, pur incolpevole, non è immune da ogni
coinvolgimento nella procedura relativa ai siti contaminati e dalle conseguenze
della constatata contaminazione. In primo luogo, il proprietario è comunque
tenuto ad attuare le misure di prevenzione di cui all’art. 242 (art. 254); in
secondo luogo, il proprietario, ancorché non responsabile, può sempre attivare
volontariamente gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di
ripristino ambientale (art. 245); infine, il proprietario è il soggetto sul
quale l’ordinamento, in ultima istanza, fa gravare — in mancanza di
individuazione del responsabile o in caso di sua infruttuosa escussione — le
conseguenze dell’inquinamento e dei successivi interventi (253).
I principi della
precauzione e dell’azione preventiva sono del resto posti a base della politica
della Comunità europea in materia ambientale.
Il principio “chi
inquina paga”, pur individuando nel responsabile dell’inquinamento il soggetto
responsabile per le obbligazioni ripristinatorie e risarcitone, per altro
verso, non prevede che — in assenza di individuazione del responsabile ovvero
di impossibilità di questi a far fronte alle proprie obbligazioni — il costo
degli interventi gravi sulla collettività (per il tramite di uno degli enti
esponenziali di questa), ma pone tali costi a carico della proprietà.
D’altra parte,
escludere che i costi derivanti dal ripristino di siti colpiti da inquinamento
venga sopportato dalla collettività, costituisce proprio la ratio sottesa al
principio comunitario del “chi inquina paga”.
La giurisprudenza
della Suprema Corte, con la sentenza a Sezioni Unite n. 4472 del 25 febbraio
2009 ha evidenziato che “nonostante la corresponsabilità del proprietario
richieda che la violazione sia a lui imputabile a titolo di dolo o colpa
grave….le esigenze di tutela ambientale sottese alla norma citata rendono
evidente che il riferimento a chi è titolare di diritti reali o personali di
godimento va inteso in senso lato, essendo destinato a comprendere qualunque
soggetto si trovi con l’area interessata in un rapporto, anche di mero fatto,
tale da consentirgli – e per ciò stesso imporgli – di esercitare una funzione
di protezione e custodia finalizzata ad evitare che l’area medesima possa
essere adibita a discarica abusiva di rifiuti nocivi per la salvaguardia
dell’ambiente”; la Corte in pratica sostiene che proprio l’omissione degli
accorgimenti e delle cautele atte a realizzare un’efficace custodia e
protezione dell’area possano integrare il requisito della colpa previsto dalla
norma.
Tale giurisprudenza
della Corte di Cassazione è stata di recente ribadita anche da questo Consiglio
(cfr. Cons. St., Sez. IV, 13.1.2010, n. 84).
Del resto, come pure
affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. St., Sez. VI, 15
luglio 2010, n. 4561), mentre la responsabilità dell’autore dell’inquinamento,
di cui all’art. 17, comma 2, del D. Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (tale decreto è
stato abrogato dall’art. 264, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152)
<<costituisce, invero, una forma di responsabilità oggettiva per gli
obblighi di bonifica, messa in sicurezza e ripristino ambientale conseguenti
alla contaminazione delle aree – la natura oggettiva della responsabilità in
questione, secondo tale pronuncia, sarebbe “desumibile dalla circostanza che
l’obbligo di effettuare gli interventi di legge sorge, in base all’art. 17
citato, in connessione con una condotta “anche accidentale”, ossia a
prescindere dall’esistenza di qualsiasi elemento soggettivo doloso o colposo in
capo all’autore dell’inquinamento; ai fini della responsabilità in questione è
comunque pur sempre necessario il rapporto di causalità tra l’azione (o
l’omissione) dell’autore dell’inquinamento ed il superamento o pericolo
concreto ed attuale di superamento dei limiti di contaminazione, in coerenza
col principio comunitario “chi inquina paga”, sensibilmente diversa << si
presenta, invece, la posizione del proprietario del sito (…) per la
responsabilità del quale occorre fare riferimento ai commi 10 e 11 dell’art.
17: chi è proprietario o chi subentra nella proprietà o possesso del bene
subentra anche negli obblighi connessi all’onere reale ivi previsto,
indipendentemente dal fatto che ne abbia avuto preventiva conoscenza. Quella
posta in capo al proprietario è pertanto una responsabilità “da posizione”, non
solo svincolata dai profili soggettivi del dolo o della colpa, ma che non
richiede neppure l’apporto causale del proprietario responsabile al superamento
o pericolo di superamento dei valori limite di contaminazione. È quindi
evidente che il proprietario del suolo – che non abbia apportato alcun
contributo causale, neppure incolpevole, all’inquinamento – non si trova in
alcun modo in una posizione analoga od assimilabile a quella dell’inquinatore,
essendo tenuto a sostenere i costi connessi agli interventi di bonifica
esclusivamente in ragione dell’esistenza dell’onere reale sul sito>>.
Il principio
comunitario “chi inquina paga”, piuttosto che ricondursi alla fattispecie
illecita integrata dall’elemento soggettivo del dolo e della colpa e
dall’elemento materiale, imputa il danno a chi si trovi nelle condizioni di
controllare i rischi, cioè imputa il costo del danno al soggetto che ha la
possibilità della “cost-benefit analysis” per cui lo stesso deve sopportarne la
responsabilità per essersi trovato, prima del suo verificarsi, nella situazione
più adeguata per evitarlo in modo più conveniente”.
7.1.1. In definitiva,
i principali argomenti a sostegno della tesi in questione risultano:
- la valorizzazione
del dato testuale sul coinvolgimento (anche su base volontaria) del
proprietario nell’adozione delle misure di cui agli articoli 240 e segg.;
- la lettura dei
princìpi comunitari di precauzione, dell’azione preventiva e del ‘chi inquina
paga’, sulla base dell’esigenza che le conseguenze dell’inquinamento (a seguito
delle alienazione tra privati delle aree) ricadano sulla collettività;
- la sussistenza di
specifici doveri di protezione e custodia ricadenti sul proprietario dell’area
(peraltro riconducibili ai codici civili del 1865 e del 1942, oltre che alle
tradizioni giuridiche degli Stati), a prescindere dal suo coinvolgimento
diretto ed immediato nella determinazione del fenomeno di contaminazione;
- la sottolineatura
della particolare posizione del proprietario, il cui coinvolgimento nei più
volte richiamati obblighi sarebbe svincolato da qualunque profilo di colpa,
essendo qualificabile quale responsabilità ‘da posizione’, derivante in ultima
analisi: i) dalla mera relazione con la res; ii) per di più dall’esistenza di
un onere reale sul sito (di fonte normativa); iii) dall’essere (o dall’essere
stato) in condizione di realizzare ogni misura utile ad impedire il verificarsi
del danno ambientale.
7.2. In base a un
opposto orientamento, non vi sono ragioni testuali o sistematiche per far
gravare in capo al proprietario dell’area gli obblighi di adozione delle misure
di cui alle disposizioni più volte citate.
7.2.1. L’orientamento
in questione è stato di recente sostenuto da questa Sezione, con la sentenza 9
gennaio 2013, n. 56.
Anche in questo caso,
va riportata la parte essenziale della motivazione.
“Il d.lgs. n. 152 del
2006 (Codice dell’Ambiente) stabilisce che l’obbligo di bonifica è in capo al
responsabile dell’inquinamento che le autorità amministrative hanno l’onere di
individuare e ricercare (artt. 242 e 244); che il proprietario dell’area non
responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno solo la
facoltà di effettuare interventi di bonifica (art.245); che nel caso di mancata
individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere
di bonifica sono realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250) che, a
fronte delle spese sostenute, si vedono riconosciuto un privilegio speciale
immobiliare sul fondo (253).
Ne consegue che,
contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, laddove l’Amministrazione
non provi che l’inquinamento riscontrabile nel sito sia imputabile alle società
appellate, a queste ultime non può essere imposto alcun obbligo di adottare
misure di bonifica in un’ottica di recupero del sito. (Cons. di Stato, Sez. VI,
18 aprile 2011, n. 2376).
A quanto appena
rilevato deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la
necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento
del “responsabile” ed il fenomeno dell’inquinamento, affermando che tale
accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei
elementi istruttori nonché “su prove e non su mere presunzioni” (Cons. di
Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005, n. 4525).
Infine, a conferma di
quanto fin qui sostenuto occorre rilevare che anche la giurisprudenza
comunitaria si è orientata nei termini che precedono, ritenendo, anche se per
fattispecie diversa, che l’addebito dei costi dello smaltimento dei rifiuti a
soggetti che non li hanno prodotti sarebbe incompatibile con il principio “chi
inquina paga” (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188)”.
7.2.1. In definitiva,
i principali argomenti a sostegno della tesi in questione sembrano essere i
seguenti:
- l’indagine testuale
delle disposizioni del d.lg. n. 152 del 2006, interpretate nel senso che
delineano una precisa scansione nell’individuazione dei soggetti di volta in
volta chiamati ad adottare le misure di protezione e ripristino ambientale,
senza possibilità di individuare in modo diretto ed immediato in capo al
proprietario ‘incolpevole’ alcuno degli obblighi di cui agli articoli 240 e
seguenti, salvi gli effetti dell’imposizione ex lege di particolari oneri reali
e di privilegi speciali per far fronte all’ipotesi di inadempimento da parte
del soggetto responsabile;
- un approccio
concettuale il quale declina le conseguenze del principio comunitario ‘chi
inquina paga’ secondo le categorie tipiche del canone della responsabilità
personale, con l’esclusione del ricorso ad indici presuntivi o a forme più o
meno accentuate di responsabilità oggettiva.
8. Una volta rilevata
l’esistenza di contrasti in giurisprudenza, il Collegio ritiene necessario che
la questione venga devoluta all’esame della Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato.
8.1. Al riguardo, in
aggiunta a quanto già osservato dalla sopra richiamata giurisprudenza, il
Collegio ritiene di formulare le seguenti considerazioni.
Da un lato, si
potrebbe sostenere che le disposizioni sopra riportate non consentano di
concludere nel senso che al proprietario dell’area possano essere impartiti
specifici obblighi di facĕre (quali quelli relativi all’integrazione delle
misure di messa in sicurezza di emergenza e di presentazione della variante al
progetto di bonifica, che nella presente vicenda vengono in rilievo).
Infatti, ai sensi
dell’articolo 244, comma 3, l’ordinanza che impartisce al responsabile l’ordine
di adottare le misure di cui agli articoli 240 e segg. viene, sì, notificata
anche al proprietario dell’area, ma “ai sensi e per gli effetti dell’articolo
253” (i.e.: ai sensi della disposizione in tema di oneri reali e privilegi
speciali gravanti sul fondo).
Si potrebbe dunque
sostenere che il comma 3 non consenta di notificare l’ordinanza al proprietario
anche ai fini della diretta attribuzione nei suoi confronti - in solido con il
responsabile - dell’obbligo di adottare le misure.
Inoltre, si potrebbe
sostenere che:
- ai sensi del
combinato disposto dell’articolo 244, comma 4, e dell’articolo 245, commi 1 e
2, il proprietario dell’area ‘incolpevole’ possa, ma non debba, realizzare gli
interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, se
abbia uno specifico interesse ad operare in tal senso.
- ai sensi
dell’articolo 245, comma 2, il proprietario ‘incolpevole’avrebbe solo l’obbligo
di attuare le misure di prevenzione di cui all’articolo 240, comma 1, lettera
i) e di cui all’articolo 242, comma 1 (si tratta delle sole misure di somma
urgenza, da adottare entro le prime ventiquattro ore dall’evento e il cui
contenuto è puntualmente individuato dal ‘codice’).
Pertanto, si potrebbe
affermare che, in applicazione del principio di tendenziale inestensibilità
degli obblighi impositivi di prestazioni personali o patrimoniali (nonché del
generale principio “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit”), gli obblighi
ricadenti sul proprietario costituiscono un numerus clausus;
- l’art. 250, che
elenca in ordine successivo e sussidiario i soggetti chiamati a realizzare le
attività di cui al più volte richiamato titolo V, non ha trasformato in
‘obbligo’ ciò che le altre disposizioni delineano quale mera facoltà,
stabilendo invece che l’onere ‘di ultima istanza’ di realizzare le misure gravi
comunque su un soggetto pubblico (il Comune o la Regione territorialmente
competenti), fermo restando - naturalmente - che in tale ipotesi operano le
previsioni e le ‘garanzie’ di cui all’articolo 253;
- il comma 3
dell’articolo 253 (quale norma di ‘chiusura’ del sistema) legittima i
competenti soggetti pubblici ad avvalersi del privilegio speciale immobiliare e
del connesso diritto di chiedere la ripetizione delle spese in ipotesi del
tutto residuali, quali quelle - che qui non ricorrono - in cui sia del tutto
impossibile accertare l’identità del soggetto responsabile o in cui sia del
tutto impossibile o infruttuoso l’esercizio dell’azione di rivalsa nei suoi
confronti.
La medesima
conclusione ‘negativa’ si potrebbe basare su considerazioni di ordine
sistematico, ove si ritenesse che:
- l’onere reale sia
una figura incompatibile con la obbligazione propter rem, che invece
pacificamente implica la ‘trasmissibilità’ dell’obbligo di cui è titolare il
dante causa.
- il principio
comunitario di precauzione non implica necessariamente che il proprietario sia
il destinatario ‘naturale’ delle misure precauzionali (pur se la giurisprudenza
comunitaria ha attenuato il rilievo da riconoscere all’elemento psicologico ai
fini della riferibilità del danno ambientale ai sensi della direttiva
2004/35/CE: CGUE 9 marzo 2010, in C-379/08), in quanto nessuna disposizione
comunitaria sembra consentire che il principio ‘chi inquina paga’ comporti
l’addebito di una responsabilità per danno ambientale quale mera conseguenza di
un rapporto dominicale con la res sulla quale sia in atto un fenomeno di
inquinamento.;
- le ipotesi di
responsabilità oggettiva per danno ambientale costituiscono un numerus clausus,
tendenzialmente inestensibile in via interpretativa ed applicativa (v. la legge
6 aprile 1977, n. 185, sulla responsabilità oggettiva nel caso di inquinamento
marino da idrocarburi);
- gli obblighi di
protezione e di custodia non rileverebbero quando - come nel caso in esame -
l’inquinamento risalga a un periodo in cui le aree erano di proprietà di altri
soggetti.
Ove dovesse prendersi
in comparazione la normativa sul danno ambientale, va osservato che
l’ordinamento comunitario richiede il nesso causale fra l’attività esercitata
dall’operatore economico sul fondo e il danno all’ambiente, non ammettendo le
ipotesi di responsabilità c.d. ‘da posizione’, mentre solo nel caso di attività
oggettivamente rischiose (indicate all’allegato III alla direttiva n. 35 del
2004) le misure di ripristino ambientale possono essere imposte all’operatore
responsabile quale mera conseguenza del nesso di causalità esistente fra
l’attività esercitata e il danno, mentre – al di là di tali casi – non vi è una
disposizione espressa che imponga al proprietario in quanto tale le misure di
ripristino ambientale.
8.2. D’altra parte,
oltre alle articolate deduzioni contenute nel sopra richiamato parere della
seconda Sezione (n. 2038/2012, reso all’esito dell’adunanza del 23 novembre
2011), si può osservare che:
- la normativa può
essere interpretata nel senso che le vicende di rilievo civilistico (similmente
a quanto accade, per la tutela del territorio, quando il proprietario pro
tempore realizza un immobile abusivo) non incidono sulla operatività delle
disposizioni volte alla salvaguardia dell’ambiente, anche perché altrimenti
diventerebbe estremamente agevole ridurre o eludere l’applicazione della
normativa di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006;
- l’onere reale (che
in base al diritto moderno è concepibile solo nei casi previsti dalla legge e comporta
che il bene che ne risulta oggetto ha un particolare regime giuridico, difforme
da quello previsto dal codice civile, ancorato al sistema romanistico del
numero chiuso dei diritti reali) per sua natura implica che il titolare del
bene, che ne risulta oggetto, sia anche il soggetto tenuto ad adempiere quanto
dovuto (sotto tale profilo, col richiamo all’onere reale – rispetto al quale
l’obbligazione propter rem differisce, perché essa comporta l’ambulatorietà
dell’obbligo, in assenza di un regime giuridico particolare del bene – il
legislatore in re ipsa può aver esplicitato la regola che il proprietario
‘attuale’, su cui ricade l’onere reale, è per definizione il soggetto tenuto
agli obblighi che costituiscono il presupposto della stessa esistenza dell’onere
reale);
- da decenni la
dottrina e la giurisprudenza civilistica hanno abbandonato (o comunque
largamente contestato) il principio colpevolistico un tempo posto a base della
responsabilità civile ed hanno rilevato come tale principio sia uno dei tanti
‘criteri di imputazione’ del danno, al quale – in ragione del determinante
rilievo dei sopra richiamati principi comunitari, che tengono conto delle
esigenze di difesa dell’ambiente, della natura e della salute – si può
aggiungere quello secondo il quale il proprietario di un bene immobile (così
come risponde della rovina di un edificio o di un’altra costruzione o quale
custode dell’area, per gli artt. 2053 e 2051) risponde anche del danno (da
inquinamento) che il terreno continua a cagionare pur dopo il suo acquisto, in
ragione degli effetti lesivi permanenti derivanti dall’inquinamento (proprio
quelli che giustificano le misure che devono trovare attuazione).
Sotto tale profilo,
si può anche ritenere che la ‘rivalsa’ spetta alle autorità pubblica che abbiano
eseguito le misure, proprio in ragione del primario ed immanente obbligo
gravante sul proprietario in quanto tale.
Del resto, si può
anche sostenere che – in coerenza col fondamento stesso del principio ‘chi
inquina paga’ – il ‘chi’ non va inteso solo come colui che con la propria
condotta attiva abbia posto in essere le attività inquinanti o abusato del
territorio immettendo o facendo immettere materiali inquinanti, ma anche colui
che – con la propria condotta omissiva o negligente – nulla faccia per ridurre
o eliminare l’inquinamento causato dal terreno di cui è titolare.
Infine, per l’id quod
plerumque accidit, l’acquirente di un terreno, ove sia sufficientemente
diligente, può venire a conoscenza del suo grado di inquinamento (specie quando
esso sia ‘grave’): ritenere che l’alienazione in quanto tale renda
‘incolpevole’ l’acquirente-proprietario rischia di risultare una formalistica
elusione della normativa di salvaguardia dell’ambiente.
Pertanto, la
normativa comunitaria e quella nazionale possono essere interpretate nel senso
che hanno considerato rilevanti solo le caratteristiche oggettive dei terreni e
non anche le indagini di fatto (altrimenti necessarie) sulla effettiva
sussistenza dell’elemento psicologico del proprietario (anche quando si tratti
di una persona giuridica).
9. Per le ragioni fin
qui esposte, il Collegio ritiene che, ferme le statuizioni di cui ai punti 4.1.
e 4.2. – la controversia vada devoluta all’esame dell’Adunanza Plenaria,
affinché con la sua istituzionale autorevolezza siano definite le segnalate
delicate questioni, aventi carattere di massima
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
- respinge le
eccezioni di cui ai punti 4.1. e 4.2. della motivazione;
- non definitivamente
pronunciando per il resto, rimette l’esame degli appelli in epigrafe
all’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 del Codice del processo
amministrativo
Spese al definitivo.
Così deciso in Roma
nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013 con l'intervento dei
magistrati:
Luigi Maruotti,
Presidente
Claudio Contessa,
Consigliere, Estensore
Andrea Pannone,
Consigliere
Silvia La Guardia,
Consigliere
Vincenzo Lopilato,
Consigliere
L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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|
DEPOSITATA IN
SEGRETERIA
Il 21/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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