LEZIONE TENUTA DAL PROF. GIUSEPPE ABBAMONTE
ALLA LUISS
DI ROMA IL 14 NOVEMBRE 2012
Roma, Luiss 14 novembre 2012
Giuseppe Abbamonte
dal sito Studio legale Abbamonte
"Professioni legali, uomini ed istituzioni"
1.- La società ordinata secondo diritto è caratterizzata
da un sistema di regole - principi e norme - formato con l’evolversi dei tempi,
ma l’esperienza storica ha valorizzato la fase dell’applicazione della regola
attraverso l’opera di esperti che, secondo il grado della loro capacità e la
pressione delle forze di conservazione e/o di rinnovamento, si traduce
nell’adattamento del diritto al fatto.
Adattamento che ha colto ogni occasione per potersi realizzare, dal
dissenso alla negoziazione consensuale degli interessi che, non meno, richiede
definizioni certe.
Forse proprio per questa plurisecolare esigenza di adattamento, la
giurisprudenza ha ricevuto la sua empirica definizione di ars boni et
aequi, con soluzioni frutto di
ascolto, meditazione, esperienze recenti e pregresse di casi risolti, principi
raggiunti e modulati proprio mentre facilitavano le conclusioni.
Il tema proposto - professioni legali - raccoglie l’eco di questa realtà di
ordinamenti che si formano nel generale divenire e si adattano al momento
dell’applicazione, richiedendo professionalità in coloro che sono chiamati ad
operare allorquando sorgono controversie, si verificano attacchi all’ordine
costituito oppure occorre regolare scambi. E sono gli esperti della legge e,
più in genere, i giurisperiti a dover rispondere, utilizzando la loro
formazione professionale e, quindi, gli strumenti e la perizia appresa
nell’usarli.
Le professioni legali operano ormai per specializzazioni, maggiori o minori
che siano, anche per rami di amministrazione o per esperienza di ambienti e non
è questo il luogo per una analisi dettagliata, ma è possibile prospettarne
alcune funzioni che individuano altrettante categorie professionali che si
elencano in ordine alfabetico: avvocati, magistrati, notai, categorie
giuridicamente distinte, ma tra loro colloquianti, tanto che non sono rari i
passaggi dall’una all’altra, ben distinte, peraltro, rimanendo le rispettive
funzioni.
Funzioni che possono sinteticamente delinearsi parlando, per l’avvocato, di
mediazione sociale, per il magistrato, di definizione di controversie e, per i
notai, di formulazione e certificazione di atti di volontà e relative
negoziazioni.
2.- Nell’attuale società, competitiva ed in crisi
economica, non mancano critiche e dissensi della base verso le tre categorie
ora elencate e, direi, non solo della base ma anche tra categorie e nei
rapporti con la politica; ciò perché la fase in cui il diritto diviene
operativo ad opera dei professionisti cui spetta, è anch’essa ricettiva delle
motivazioni più varie, dalle particolarità del caso concreto al momento
storico, dalla formazione personale di chi opera alle condizionidegli
interessati. Ma tutto ciò valga come premessa alle considerazioni che seguono,
nel senso di evidenziarne i limiti concettualied ambientali, anche secondo le
finalità del discorso presente che è anche un discorso a noi stessi, per meglio
conoscerci in quello che siamo e operiamo.
3.- Da tempo ho proposto la definizione dell’avvocato
come mediatore sociale e, cioè, come colui che, attraverso quello che sa, ed è
capace di proporre, è interposto tra i singoli che dissentono sul regolamento
di interessi comuni o confliggenti e cercano una via di intesa, di attacco o di
difesa.
Ciò significa anzitutto che l’avvocato deve essere capace di iniziative, almeno plausibili, modificandole, possibilmente,
finchè non divengono produttive. Ma non è tutto perché la società attuale,
finora sotto la spinta di istanze solidaristiche, purtroppo in via di
attenuazione, ha assunto nelle sue istituzioni compiti intesi alla tutela
dell’uomo,non solo nella integrità della persona e dei beni, ma anche del suo
benessere, moltiplicando così le occasioni di conflitti di interessi tra
singoli ed enti e tra enti, che complicano anzitutto la funzione dell’avvocato,
proiettata al di la della dimensione interindividuale.
Qui l’iniziativa si incontra e si scontra con la funzionepubblica che ha le
sue regole, di competenza e di procedure, valide anche quando il singolo
rivendichi beni per i quali ha subito specifici prelievi, sicchè, da un lato,
non è agevole far intendere gli impedimenti a chi domanda quelle che per lui
sono controprestazioni, e, dall’altro, l’azione deve essere indirizzata secondo
le regole proprie della gestione pubblica, sicchè le difficoltà della
mediazione crescono e, talvolta,sono insolubili.
4.- A questo punto una domanda sull’integrazione tra
iniziativa e giudizio nella ricerca di soluzioni.
Il colloquio tra foro e giurisprudenza è continuo, specialmente attraverso
lo studio dei precedenti che interessano, sia per le particolarità dei casi
esaminati sia per le soluzioni accolte.
Studio che guida nel lavoro di adattamento del diritto vigente ai casi da
regolare sicchè ne risulta una interazione tra quanto è acquisito e la
decisione, mentre la si richiede o la si assume.
E potrebbe ritenersi che, per la larga messe dei precedenti disponibili, lo
spazio interposto tra chi ricerca nell’ansia di riuscire nel suointento e la
formazione di chi ascolta, talvolta autore del precedente invocato, si allarga
o si restringe secondo le circostanze.
Ma le cose non sono così semplici perché nel nostro sistema non è agevole
la ricostruzione della regola adatta al caso da prospettareo da decidere, che
potrebbe chiamarsi ancheper le difficoltà che si incontrano nei necessari
adattamenti, la norma individuale di Kelsen.
Infatti, laddove è agevole la definizione del merito, sorge un problema di
giurisdizione o viceversa, sicchè, davvero, la fase giudiziaria esige attenta
chiarificazione delle premesse ed è forse questo il momento più difficile per
l’avvocato e per le conseguenti ricerche e prospettazioni.
E’ il nostro sistema che, formatosi attraverso una continua dialettica tra
burocrazia e rappresentanze di base, peraltro presenti solo a sussulti, si è
dimostrato, al vaglio dei fatti, incerto, accrescendo così l’area di
valutazione della fase dell’attuazione e, quindi, il compito dei rispettivi
operatori.
Constatazione questa che spiega forse più di altre, il volume abnorme del
contenzioso, con difficoltà e ritardi nello smaltimento.
Ed è da questo punto di vista che non può disconoscersi l’apporto della
fase giudiziaria che, in più occasioni, si è dimostrata fortemente equilibrata
recependo istanze di base, a cominciare dalla macroeconomia nella
determinazione delle retribuzioni del lavoro, per le quali, attraverso la
concorrente azione del foro e della magistratura, si è rimediato all’inerzia
del legislatore.
Si è operato, come è noto, nel senso di determinare le retribuzioni sulla
base dell’art. 36 Cost., assumendo a parametro di retribuzione sufficiente le
determinazioni dei contratti di categoria, indipendentemente da una fonte
formale, estensiva della relativa efficacia.
Ed in questa occasione è stata evidenziata una essenziale funzione di
razionalizzazione del sistema nella fase giudiziaria che, in realtà, svolge una
funzione di supplenza rispetto all’inerte legislatore, pur in presenza di
motivate istanze di base, che avrebbero comportato altra considerazione,
attenendo ai bisogni essenziali dei lavoratori e delle loro famiglie. E non è
questo l’unico esempio di integrazione del sistema, dovendosi ricordare le
continue aperture dei provvedimenti cautelari che andrebbero attentamente
studiate, specialmente per quanto evidenziano nuove fattispecie di interessi
configgenti, apprestando prime regolamentazioni.
Ritorna qui, non tanto il concetto quanto la funzione del diritto e della
giurisprudenza che ne specifica regole e valori nei casi concreti, ben
meritando la definizione di ars boni et aequi.
E va ribadito che la giurisprudenza è il frutto di due ordini che svolgono
funzioni distinte si macomplementari e, cioè, l’ordine forense cui spetta
l’iniziativa e l’ordine giudiziario cui spetta la decisione. Decisione che,
guardata nei suoi contenuti reali esprime tra l’altro una funzione di filtro
delle istanze di base, per comporle con le condizioni socio-economiche come
espresse dal sistema, elaborando soluzioni attuabili nelle cose, cui il
diritto, nelle condizioni attuali, può condurre prevalentemente attraverso la
giusta misura, nonché il consenso.
Consenso che il dibattito giuridico e giudiziario sostanzialmente
contribuisce a preparare anche attraverso atti formalmente rivestiti di
autorità quali le sentenze.
Aggiungendosi che anche per le sentenze, senza poterne negare l’essenziale
valore definitorio della controversia – giurisdizione esiste perché produce
giudicato – occorre arricchirne la parte motivazionale, specie per la class
action e similari, anzitutto riferendosi alle situazioni concretamente
generatrici delle liti, approfondendo il perché del dissenso, essendo
fuorviante ritenereche i motivi reali della lite restino fuori del processo -
chi legga attentamente le norme codicistiche sulla interpretazione dei
contratti (artt. 1362 ss. c.c.) si accorge del diverso indirizzo del
legislatore.
E in sostanza la fattualità che deve dare il suo contributo al raggiungimento di equilibri indispensabili nei rapporti socio-economici
specialmente in un momento di chiara crisi di efficienza delle rappresentanze
partitiche e parlamentari, come ci rivela anche l'ipertrofia della richiesta
alla giustizia dei già ricordati procedimenti urgenti e del contributo che ne è
derivato alla produzione di nuove regole.
Valga per tutti l'esempio dell'evoluzione, prima giurisprudenziale e poi
legislativa dei rimedi cautelari nel processo amministrativo.
A questo punto un chiarimento.
Nessuna pretesa di supplenza della fase giudiziaria alle scelte politiche
ma soltanto possibilità concreta di emersione di problemi politicamente
rilevanti, nel dibattito giudiziario originato da conflitti di interessi che la
società e gli individui da soli mal riescono a comporre e chiedono, quindi,
attraverso opportune prospettazioni del Foro, alla Magistratura di dare
concrete regole compatibili con il sistema. Compatibilità che non è mera
applicazione.
Sistema che, a sua volta, specialmente attraverso la pluralità delle fonti
e l'elasticità della fonte primaria che è la Costituzione, ammette integrazioni
e correzioni proprio attraverso la bipartizione del potere nella fase
attuativa, che è rappresentata dallainiziativa professionalizzata
del Foro e la decisione, non
meno professionalizzata ed assistita da garanzie di imparzialità ed
indipendenza, espressa dalla Magistratura.
6.- Nessuna priorità dunque ma formazione
circolare di apparati e ceti in modo
che l'Ente politico che tutti raggruppa, come spesso si dimentica e, cioè, lo
Stato, possa sempre ed adeguatamente rispondere alla comunità.
In questa prospettiva restano assorbite gli sterili conflitti di primazie,
che negli ordinamenti costituzionali dove tout se tient, non hanno alcun fondamento e vanno lasciati all'area della circolare
sulle precedenze nelle cerimonie ufficiali, dove, forse, è opportuno
distribuire preventivamente i posti disponibili, per non risvegliare
suscettibilità di epoche pregresse, non sempre sopite.
Il problema, si ripete, è l'adeguatezza delle soluzioni alle concrete
esigenze, raggiungendo ogni ceto, sicchè ogni apparato possa
collaborare accrescendo i suoi strumenti di permeabilità per gli interessi
reali, per coglierne le
contrapposizioni, per valutarle secondo il sistema,
che è anzitutto unatestimonianza di equilibri già raggiunti, nonchè
guida verso il possibile.
Ma chi assume iniziative ha certamente il potere dovere di esprimerne le motivazionireali perchè esse stesse e solo esse possono indurre al rinnovamento.
Già nel 1920 Emilio Betti, nella sua teoria delle obbligazioniponeva
a base del buon funzionamento del rapporto obbligatorio la cooperazione ed, in un suo recentissimo discorso, il Presidente
della Confindustria Squinzi, ha invitato alla cooperazione i sindacati nel
difficile percorso verso la ripresa.
E queste sono almeno ammissioni, se non ancora augurabili realtà di base,
che spingono a domandarsi quale possa essere l'effettivo contributo del Foro e
della Magistratura ai nuovi equilibri socio-economici che vanno delineandosi,
almeno nella percezione delle menti più aperte e costruttive.
Già la concezione della professione forense come mediazione sociale,
inserita nell'elasticità del sistema ed espressa ininiziativepropositive di soluzioni, potrebbe agganciarsi alla garanzia dell'effettività
della tutela, affermata nel primo articolo
da nuovo codice del processo amministrativo, ma quella che più interessa è la correlata
risposta dei giudici.
Risposta dei giudici che forma il sistema al punto che, secondo le ricerche
di Orazio Abbamonte, durante il noto ventennio, il Presidente D'Amelio era
frequente ospite a Palazzo Venezia, riuscendo, peraltro, con la sua abilità, a
prospettare l'interesse del regime al buon funzionamento della giustizia.
E con questo storico inserto nella presente esposizione vi è una risposta
sintetica al tema delle professioni legali ieri, oggi e domani.
7.- E' innegabile che le sentenze fanno sistema
adattando con l'efficacia del giudicato e la forza del precedenteil diritto al
fatto e non solo per il caso deciso la regola è quella del giudicato, perchè il
reiterarsi di pronunce orientate in una determinata direzione forma indirizzi
vincolanti. Tuttavia bisogna pur avere presente che il mondo cambia, e, soprattutto,
che al giorno d'oggi tutto e tutti vengono continuamente sottoposti a verifica,
sicchè gli operatori di diritto hanno, nello stesso tempo, il compito di
conservare e rinnovare, per quanto non spetti alla politica del legislatore,
che pure dà luogo a fatti di supplenza se non si mantiene al passo coi tempi.
Segue che per chi creda nel sistema come produttiva della indispensabile
stabilità in funzione di continuità,
emergono interrogativi di vario genere per i quali non è agevole trovare
risposte ma che sono ineludibili nel corso anche di semplici riflessioni
sull'attuale funzione di avvocati, processi e giudici.
Che dire in proposito, avendo presenti le considerazioni sin qui esposte.
Le istituzioni, si dice, hanno anche una funzione frenante
rispetto alle evoluzioni,
ma si tratta di una affermazione che va correlata all'attuale dilagare delle
informazioni, al potenziamento delle organizzazioni di base e relative istanze
di partecipazione, all'avvenuto accesso delle varie categorie sociali di ambo i
sessi alle organizzazioni che esercitano il potere, con gli effetti che si
vedono nei provvedimenti che la basepur riesce ad ottenere.
E lo stato sociale, quasi attraverso convulsioni, avanza ed arretra,
mettendo in pericolo ordine e stabilità, sicchè lungi dall'illudersi circa
improbabili, definitivi recuperi dei c.d. poteri forti che, comunque, non
produrrebbero progresso, occorre domandarsi responsabilmente cosa può e deve
fare il ceto forense e giudiziario che, bene o male, considerando
sinergicamente la soluzione delle controversie e la repressione dei crimini, si
trova in medias res, sicchè, in mancanza di una adeguata presa di coscienza di
uomini e cose, i legali più sensibili potrebbero interrogarsi sulle motivazioni
e legittimazioni delle loro funzioni, talvolta fino a rifiutarne l’esercizio o,
peggio ancora, esercitarle in maniera abnorme, come insegna l’esempio delle
c.d. sentenze suicide.
Forse questo ricordo è troppo forte ma ogni indagine sul comportamento
umano e relative regole non può prescindere dalle motivazioni che reggono il
contesto, perché tutti dobbiamo sapere fino a che punto dobbiamo rispondere e
quando abbiamo il diritto di fermarci, ricordando di essere uomini tra gli
uomini, uomini che processano altri uomini, per investitura ricevuta dall’insieme.
Non si intende qui esprimere alcuna drammatizzazione della funzione
giudiziaria e dei suoi operatori, drammatizzazione che cadrebbe nello
scetticismo attuale e sarebbe assorbita nell’indifferenza prodotta dall’urgenza
della quotidianità.
Conviene piuttosto domandarsi come utilizzare al meglio quello che abbiamo
appreso.
Ebbene per gli anglosassoni il diritto non è una
scienza ma una esperienza e verso la
fine della sua esistenza anche Carnelutti riferiva dei dubbi sull’esistenza di
una scienza giuridica e temeva perfino di divenire anarchico.
Ma a me sembra che riferirsi all’esperienza significa arricchire
la scienza, che poi è sapere, è conoscenza e mi sembra che questa sia la via da battere per
conoscere e migliorare la nostra funzione di avvocati e giudici, che non può
essere studiata scindendo le due funzioni, che si integrano nel perseguire il
risultato della pronuncia giudiziaria: persone, giurisdizione, processo,
sentenza.
Può anche sembrare semplicistico affermare quanto precede ma spesso una
riformulazione delle premesse può avviare alla risposta che, in realtà, trova
la sua motivazione negli svolgimenti che le riformulate premesse consentono.
Cosa significa per il problema sociale della effettiva resa di
giustizia arricchire la scienza dell’esperienza? Significa anzitutto articolare il ragionamento sulla attenta
assimilazione dei fatti, anche per classi, prima di includerli, ove necessario,
in un determinato schema logico e forma giuridica, ricordando che ladommatica
non è fatta per dare tranquillità a chi vi ricorre bensì per aiutare a
progredire nella ricerca.
E la ricerca per chi assume l’iniziativa è a spettrolargo, dai soggetti,
all’oggetto, alle interferenze, ai metri di valutazione, alla situazione
generale ed ad ogni altro elemento che la ricerca stessa suggerisce.
Può essere utile considerare che altri sono i risultati della ricerca
all’atto dell’iniziativa ed altro quello che può richiedere la prospettazione
al giudice ed al suo apparato, ben distinto da comunità e gruppi che hanno
prodotto la necessità dell’iniziativa.
Di Emilio Betti l’illustre e dotto presidente della Cassazione Giuseppe
Flore affermava: “è capace, di mettere tutto a partito” ed una affermazione del
genere, proveniente da sì alta esperienza per un così gran giurista è per noi
l’indicazione dell’ampiezza della ricerca cui siamo tenuti: è l’esperienza
giuridica e l’esperienza umana che si cerca di incanalare in un ordinamento
sociale capace di imporsi, secondo la definizione di Kelsen. Ma oggi dobbiamo
procedere oltre, perché l’organizzazione delle categorie ci ha indicato
l’efficacia del consenso: le analisi fattuali e le ricostruzioni logiche dei
giuristi dovrebbero appunto essere orientate nel senso di trovare soluzioni
acconsentibili dalle parti contrapposte ed ho già ricordato l’invito al
colloquio espresso da Squinzi per i sindacati.
Bisogna, però, rendersi conto di un’altra realtà, che è la settorizzazione
degli interessi per categorie, che introduce nel discorso dati tecnici e limiti
economici ineludibili, sicchè la ricerca egualmente si settorizza ed i concetti
generali possono, soltanto metterci in condizione di meglio intendere le realtà
particolari, suggerendoci di non costringerle, ma, piuttosto, di trovare il
modo di esprimerle e le strade di incontro.
La concreta prevalenza delle fonti consensuali, in sintesi, ci indica anche
la necessità di approfondimento dei fatti fino a scoprirne i punti di dissenso
e le possibilità di incontro, sicchè il compito dei giuristi si aggrava,
specialmente se intendono mantenere la posizione che attualmente può renderli
credibili e, cioè, come operatori di una giurisprudenza che esprime l’arte del
giusto.
È questa una meta da assegnare a qualunque operatore di diritto e che
soprattutto non deve essere dimenticata da quelli che, come i giudici, hanno il
potere di dire la parola definitiva, perché devono pensare che se questa parola
non è giusta, la società moderna la rifiuta, riproponendo continuamente i
problemi, specialmente attraverso i disponibili mezzi di comunicazione sociale
che rendono a tutti accessibili gli interrogativi, prospettando anche in modo
assai colorito, la erroneità delle soluzioni, sicchè oggi il problema delle
professioni legali si aggrava per i rispettivi operatori, sia per quelli che
devono assumere iniziative sia per quelli che devono adottare decisioni, che
devono essere adeguate agli interessi.
Tutto ciò si impone a meno di non perdere credibilità e venire scavalcato
da nuove forme di trattazione dei problemi e relative soluzioni, che
svuoterebbe il ceto dei giuristi, senza certamente che la società ne guadagni,
perché millenarie esperienze non verrebbero agevolmente sostituite da illusori
produttori di benessere che, ben presto, vedrebbero, a loro volta, precipitare
le loro costruzioni e ritornare ai precedenti con notevoli danni sociali per
chi si trova nei momenti intermedi.
8.- Non è possibile allo stato attuale indicare con
precisione le linee evolutive per le categorie che si stanno studiando, perché
nella società attuale, che attraversa una crisi purtroppo duratura, tutto è
assolutamente incerto: né la politica né le esperienze economiche hanno saputo
indicare delle strade sicure, ma piuttosto hanno adottato dei rimedi per
reggere la situazione nel suo complesso; e non sarebbe onesto opporre critiche
a questa o quella ideologia, a questo o quel sistema, visto che crisi significa
insufficienza di quello che si sapeva e necessità di ricerca del nuovo. Ed è
quanto innanzi si è cercato di prospettare senza aver la pretesa di aver
percorso poco più che un inizio.
9.- Il
discorso è stato condotto sin qui riferendosi congiuntamente ad avvocati e
giudici, indicando qualche linea evolutiva delle rispettive funzioni, che
contribuiscono in modo decisivo all’equilibrio dei rapporti socio-economici,
garantendointeressi essenziali quali la sicurezza di individui e comunità,
nonché l’ordine nello
svolgimento delle negoziazioni e nel godimento dei beni.
Ma ciò non basta perché laddove si riconosce ai singoli l’autonomia nella
regolamentazione dei propri interessi, specialmente concordandone la disciplina
con altri interessati, cooperanti o contrapposti che siano, sarà necessaria
l’opera del professionista idoneo a dar forma giuridicamente vincolante alle
disposizioni degli interessati, conformandone e certificandone le volontà
secondo legge.
Conformazione e certificazione spesso ardue, per le complicazioni del
nostro sistema, le contrapposizioni talora aspre degli interessi, l’urgenza
delle soluzioni ed interferenze non sempre prevedibili, che si aggravano anche
per il non lieve regime fiscale.
Ebbene la professione del notaio è coinvolta in queste complesse realtà che
insidiano uomini e patrimoni e richiedono esperienze ben maturate ed articolate
per poter essere affrontate.
Spesso non si sa come muoversi, eppure bisogna agire perché quella del
notaio, il maestro di atti dei tempi passati, è una professione operativa, a continuo contatto con negoziazioni, volontà anche
di sopravvivere post mortem dettando regole agli eredi, associazioni perfino
fantasiose, per le quali tutt’al più si possono autenticare le firme dei
partecipanti.
Senza dire delle crescenti difficoltà degli atti in materia di società
commerciali, per le quali le innovazioni della disciplina codicistica sono
state profonde, anche per la necessità di adeguamento agli accordi comunitari
ed internazionali, data la globalizzazione dello scenario della produzione e
degli scambi.
Cenni quelli che precedono, alle attuali difficoltà della vita notarile,
che qui si ricordano solo in funzione di un comune avvenire, che tutti dobbiamo
concorrere a costruire, perché gli attuali assetti poco reggono e non sono
idonei a rispondere ad una comunità che cresce nel numero, nella consapevolezza
e nei bisogni.
Per avvocati e giudici si sono sostanzialmente evidenziate esigenze di
approfondimento di analisi, di affinamento degli strumenti interpretativi e
ricostruttivi, di utilizzazione degli stessi risultati per verifiche ulteriori,
di franco rifiuto del rifugio nel formalismo, che poco o nulla si diversifica
dalla incapacità di pervenire a soluzioni plausibili.
Possono riferirsi queste istanze a chi, come il notaio, deve dare alla
volontà delle parti riconoscibilità secondo il diritto con conseguente
efficacia secondo legge?
Ebbene richiamando qui quanto si è detto sul colloquio attraverso il
processo tra avvocati e giudici nel comune percorso verso la soluzione della
controversia, si può derivarne la valorizzazione della parte colloquiale e
fiduciaria della professione notarile, dove il discorso si svolge tra parte
interessata e notaio verso la soluzione che la parte vuole ma che è
condizionata dalle regole che vincolano la formazione dell’atto; sicchè il
notaio è interposto tra l’interesse e la regola che deve illustrare a chi vuole
contrattare o testare, dicendogli sostanzialmente quello che può e
non può fare, prevenendo in tal modo
ragioni di invalidità e relative controversie.
Ed è in questa attività del notaio, che in termini procedimentali potrebbe
dirsi preparatoria, sta forse la parte più produttiva e, nello stesso tempo,
più difficile della professione notarile, in quanto non è affatto detto che
dare forma e limite a volontà interessate ad un determinato regolamento di
interessi, sia più agevole che risolvere dissensi tra parti contrapposte.
Esiste, infatti in entrambi i tipi di fattispecie l’esigenza di specificare le
regole del sistema adattandole alle singolarità degli interessi, siano essi
contrapposti oppure tendenti ad una soluzione che soddisfi l’interesse di
parte.
Concludendo, se il notaio si trova interposto tra volontà di
parte e sistema, è ancora più vero
che deve cooperare alla
corretta realizzazione del sistema negli atti di volontà che riceve ed ai quali
dà corretta espressione e forma. E può farlo meglio di altri per il momento in
cui opera.
Nè sembri soltanto fideistica la conclusione alla quale si è pervenuti, nel
senso, cioè, della cooperazione per tutte le professioni legali; in realtà, si
è rimasti coerenti alla concezione dell’elaborazione del diritto
come arte del giusto ed alla giurisdizione come giusta composizione delle liti,
rivendicando al ceto dei giuristi - e tali sono gli esercenti le professioni
legali - soluzioni che si accettano perché frutto di logiche elaborazioni di
sistemi e di concretezze correttamente acquisite.
Nel mondo che ha visto quadruplicare gli uomini in meno di un secolo e
progredire conoscenze e tecniche in modo esponenziale, è augurabile che non
solo il diritto, ma tutte le scienze morali evolvano nel senso della convivenza
nella pace,componendo secondo legge e coscienze le posizioni contrapposte.
Prof. avv. Giuseppe Abbamonte
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