mercoledì 29 maggio 2013

"Professioni legali, uomini ed istituzioni": "Lectio magistralis" del Prof. Avv. GIUSEPPE ABBAMONTE (LUISS Roma 14 novembre 2012).


LEZIONE TENUTA DAL PROF. GIUSEPPE ABBAMONTE 
ALLA LUISS DI ROMA IL 14 NOVEMBRE 2012
Roma, Luiss 14 novembre 2012
Giuseppe Abbamonte

"Professioni legali, uomini ed istituzioni"

1.- La società ordinata secondo diritto è caratterizzata da un sistema di regole - principi e norme - formato con l’evolversi dei tempi, ma l’esperienza storica ha valorizzato la fase dell’applicazione della regola attraverso l’opera di esperti che, secondo il grado della loro capacità e la pressione delle forze di conservazione e/o di rinnovamento, si traduce nell’adattamento del diritto al fatto.
Adattamento che ha colto ogni occasione per potersi realizzare, dal dissenso alla negoziazione consensuale degli interessi che, non meno, richiede definizioni certe.
Forse proprio per questa plurisecolare esigenza di adattamento, la giurisprudenza ha ricevuto la sua empirica definizione di ars boni et aequi, con soluzioni frutto di ascolto, meditazione, esperienze recenti e pregresse di casi risolti, principi raggiunti e modulati proprio mentre facilitavano le conclusioni.
Il tema proposto - professioni legali - raccoglie l’eco di questa realtà di ordinamenti che si formano nel generale divenire e si adattano al momento dell’applicazione, richiedendo professionalità in coloro che sono chiamati ad operare allorquando sorgono controversie, si verificano attacchi all’ordine costituito oppure occorre regolare scambi. E sono gli esperti della legge e, più in genere, i giurisperiti a dover rispondere, utilizzando la loro formazione professionale e, quindi, gli strumenti e la perizia appresa nell’usarli.
Le professioni legali operano ormai per specializzazioni, maggiori o minori che siano, anche per rami di amministrazione o per esperienza di ambienti e non è questo il luogo per una analisi dettagliata, ma è possibile prospettarne alcune funzioni che individuano altrettante categorie professionali che si elencano in ordine alfabetico: avvocati, magistrati, notai, categorie giuridicamente distinte, ma tra loro colloquianti, tanto che non sono rari i passaggi dall’una all’altra, ben distinte, peraltro, rimanendo le rispettive funzioni.
Funzioni che possono sinteticamente delinearsi parlando, per l’avvocato, di mediazione sociale, per il magistrato, di definizione di controversie e, per i notai, di formulazione e certificazione di atti di volontà e relative negoziazioni.

2.- Nell’attuale società, competitiva ed in crisi economica, non mancano critiche e dissensi della base verso le tre categorie ora elencate e, direi, non solo della base ma anche tra categorie e nei rapporti con la politica; ciò perché la fase in cui il diritto diviene operativo ad opera dei professionisti cui spetta, è anch’essa ricettiva delle motivazioni più varie, dalle particolarità del caso concreto al momento storico, dalla formazione personale di chi opera alle condizionidegli interessati. Ma tutto ciò valga come premessa alle considerazioni che seguono, nel senso di evidenziarne i limiti concettualied ambientali, anche secondo le finalità del discorso presente che è anche un discorso a noi stessi, per meglio conoscerci in quello che siamo e operiamo.

3.- Da tempo ho proposto la definizione dell’avvocato come mediatore sociale e, cioè, come colui che, attraverso quello che sa, ed è capace di proporre, è interposto tra i singoli che dissentono sul regolamento di interessi comuni o confliggenti e cercano una via di intesa, di attacco o di difesa.
Ciò significa anzitutto che l’avvocato deve essere capace di iniziative, almeno plausibili, modificandole, possibilmente, finchè non divengono produttive. Ma non è tutto perché la società attuale, finora sotto la spinta di istanze solidaristiche, purtroppo in via di attenuazione, ha assunto nelle sue istituzioni compiti intesi alla tutela dell’uomo,non solo nella integrità della persona e dei beni, ma anche del suo benessere, moltiplicando così le occasioni di conflitti di interessi tra singoli ed enti e tra enti, che complicano anzitutto la funzione dell’avvocato, proiettata al di la della dimensione interindividuale.
Qui l’iniziativa si incontra e si scontra con la funzionepubblica che ha le sue regole, di competenza e di procedure, valide anche quando il singolo rivendichi beni per i quali ha subito specifici prelievi, sicchè, da un lato, non è agevole far intendere gli impedimenti a chi domanda quelle che per lui sono controprestazioni, e, dall’altro, l’azione deve essere indirizzata secondo le regole proprie della gestione pubblica, sicchè le difficoltà della mediazione crescono e, talvolta,sono insolubili.

4.- A questo punto una domanda sull’integrazione tra iniziativa e giudizio nella ricerca di soluzioni.
Il colloquio tra foro e giurisprudenza è continuo, specialmente attraverso lo studio dei precedenti che interessano, sia per le particolarità dei casi esaminati sia per le soluzioni accolte.
Studio che guida nel lavoro di adattamento del diritto vigente ai casi da regolare sicchè ne risulta una interazione tra quanto è acquisito e la decisione, mentre la si richiede o la si assume.
E potrebbe ritenersi che, per la larga messe dei precedenti disponibili, lo spazio interposto tra chi ricerca nell’ansia di riuscire nel suointento e la formazione di chi ascolta, talvolta autore del precedente invocato, si allarga o si restringe secondo le circostanze.
Ma le cose non sono così semplici perché nel nostro sistema non è agevole la ricostruzione della regola adatta al caso da prospettareo da decidere, che potrebbe chiamarsi ancheper le difficoltà che si incontrano nei necessari adattamenti, la norma individuale di Kelsen.
Infatti, laddove è agevole la definizione del merito, sorge un problema di giurisdizione o viceversa, sicchè, davvero, la fase giudiziaria esige attenta chiarificazione delle premesse ed è forse questo il momento più difficile per l’avvocato e per le conseguenti ricerche e prospettazioni.
E’ il nostro sistema che, formatosi attraverso una continua dialettica tra burocrazia e rappresentanze di base, peraltro presenti solo a sussulti, si è dimostrato, al vaglio dei fatti, incerto, accrescendo così l’area di valutazione della fase dell’attuazione e, quindi, il compito dei rispettivi operatori.
Constatazione questa che spiega forse più di altre, il volume abnorme del contenzioso, con difficoltà e ritardi nello smaltimento.
Ed è da questo punto di vista che non può disconoscersi l’apporto della fase giudiziaria che, in più occasioni, si è dimostrata fortemente equilibrata recependo istanze di base, a cominciare dalla macroeconomia nella determinazione delle retribuzioni del lavoro, per le quali, attraverso la concorrente azione del foro e della magistratura, si è rimediato all’inerzia del legislatore.
Si è operato, come è noto, nel senso di determinare le retribuzioni sulla base dell’art. 36 Cost., assumendo a parametro di retribuzione sufficiente le determinazioni dei contratti di categoria, indipendentemente da una fonte formale, estensiva della relativa efficacia.
Ed in questa occasione è stata evidenziata una essenziale funzione di razionalizzazione del sistema nella fase giudiziaria che, in realtà, svolge una funzione di supplenza rispetto all’inerte legislatore, pur in presenza di motivate istanze di base, che avrebbero comportato altra considerazione, attenendo ai bisogni essenziali dei lavoratori e delle loro famiglie. E non è questo l’unico esempio di integrazione del sistema, dovendosi ricordare le continue aperture dei provvedimenti cautelari che andrebbero attentamente studiate, specialmente per quanto evidenziano nuove fattispecie di interessi configgenti, apprestando prime regolamentazioni.
Ritorna qui, non tanto il concetto quanto la funzione del diritto e della giurisprudenza che ne specifica regole e valori nei casi concreti, ben meritando la definizione di ars boni et aequi.
E va ribadito che la giurisprudenza è il frutto di due ordini che svolgono funzioni distinte si macomplementari e, cioè, l’ordine forense cui spetta l’iniziativa e l’ordine giudiziario cui spetta la decisione. Decisione che, guardata nei suoi contenuti reali esprime tra l’altro una funzione di filtro delle istanze di base, per comporle con le condizioni socio-economiche come espresse dal sistema, elaborando soluzioni attuabili nelle cose, cui il diritto, nelle condizioni attuali, può condurre prevalentemente attraverso la giusta misura, nonché il consenso.
Consenso che il dibattito giuridico e giudiziario sostanzialmente contribuisce a preparare anche attraverso atti formalmente rivestiti di autorità quali le sentenze.
Aggiungendosi che anche per le sentenze, senza poterne negare l’essenziale valore definitorio della controversia – giurisdizione esiste perché produce giudicato – occorre arricchirne la parte motivazionale, specie per la class action e similari, anzitutto riferendosi alle situazioni concretamente generatrici delle liti, approfondendo il perché del dissenso, essendo fuorviante ritenereche i motivi reali della lite restino fuori del processo - chi legga attentamente le norme codicistiche sulla interpretazione dei contratti (artt. 1362 ss. c.c.) si accorge del diverso indirizzo del legislatore.
E in sostanza la fattualità che deve dare il suo contributo al raggiungimento di equilibri indispensabili nei rapporti socio-economici specialmente in un momento di chiara crisi di efficienza delle rappresentanze partitiche e parlamentari, come ci rivela anche l'ipertrofia della richiesta alla giustizia dei già ricordati procedimenti urgenti e del contributo che ne è derivato alla produzione di nuove regole.
Valga per tutti l'esempio dell'evoluzione, prima giurisprudenziale e poi legislativa dei rimedi cautelari nel processo amministrativo.
A questo punto un chiarimento.
Nessuna pretesa di supplenza della fase giudiziaria alle scelte politiche ma soltanto possibilità concreta di emersione di problemi politicamente rilevanti, nel dibattito giudiziario originato da conflitti di interessi che la società e gli individui da soli mal riescono a comporre e chiedono, quindi, attraverso opportune prospettazioni del Foro, alla Magistratura di dare concrete regole compatibili con il sistema. Compatibilità che non è mera applicazione.
Sistema che, a sua volta, specialmente attraverso la pluralità delle fonti e l'elasticità della fonte primaria che è la Costituzione, ammette integrazioni e correzioni proprio attraverso la bipartizione del potere nella fase attuativa, che è rappresentata dallainiziativa professionalizzata del Foro e la decisione, non meno professionalizzata ed assistita da garanzie di imparzialità ed indipendenza, espressa dalla Magistratura.

6.- Nessuna priorità dunque ma formazione circolare di apparati e ceti in modo che l'Ente politico che tutti raggruppa, come spesso si dimentica e, cioè, lo Stato, possa sempre ed adeguatamente rispondere alla comunità.
In questa prospettiva restano assorbite gli sterili conflitti di primazie, che negli ordinamenti costituzionali dove tout se tient, non hanno alcun fondamento e vanno lasciati all'area della circolare sulle precedenze nelle cerimonie ufficiali, dove, forse, è opportuno distribuire preventivamente i posti disponibili, per non risvegliare suscettibilità di epoche pregresse, non sempre sopite.
Il problema, si ripete, è l'adeguatezza delle soluzioni alle concrete esigenze, raggiungendo ogni ceto, sicchè ogni apparato possa collaborare accrescendo i suoi strumenti di permeabilità per gli interessi reali, per coglierne le contrapposizioni, per valutarle secondo il sistema, che è anzitutto unatestimonianza di equilibri già raggiunti, nonchè guida verso il possibile.
Ma chi assume iniziative ha certamente il potere dovere di esprimerne le motivazionireali perchè esse stesse e solo esse possono indurre al rinnovamento.
Già nel 1920 Emilio Betti, nella sua teoria delle obbligazioniponeva a base del buon funzionamento del rapporto obbligatorio la cooperazione ed, in un suo recentissimo discorso, il Presidente della Confindustria Squinzi, ha invitato alla cooperazione i sindacati nel difficile percorso verso la ripresa.
E queste sono almeno ammissioni, se non ancora augurabili realtà di base, che spingono a domandarsi quale possa essere l'effettivo contributo del Foro e della Magistratura ai nuovi equilibri socio-economici che vanno delineandosi, almeno nella percezione delle menti più aperte e costruttive.
Già la concezione della professione forense come mediazione sociale, inserita nell'elasticità del sistema ed espressa ininiziativepropositive di soluzioni, potrebbe agganciarsi alla garanzia dell'effettività della tutela, affermata nel primo articolo da nuovo codice del processo amministrativo, ma quella che più interessa è la correlata risposta dei giudici.
Risposta dei giudici che forma il sistema al punto che, secondo le ricerche di Orazio Abbamonte, durante il noto ventennio, il Presidente D'Amelio era frequente ospite a Palazzo Venezia, riuscendo, peraltro, con la sua abilità, a prospettare l'interesse del regime al buon funzionamento della giustizia.
E con questo storico inserto nella presente esposizione vi è una risposta sintetica al tema delle professioni legali ieri, oggi e domani.

7.- E' innegabile che le sentenze fanno sistema adattando con l'efficacia del giudicato e la forza del precedenteil diritto al fatto e non solo per il caso deciso la regola è quella del giudicato, perchè il reiterarsi di pronunce orientate in una determinata direzione forma indirizzi vincolanti. Tuttavia bisogna pur avere presente che il mondo cambia, e, soprattutto, che al giorno d'oggi tutto e tutti vengono continuamente sottoposti a verifica, sicchè gli operatori di diritto hanno, nello stesso tempo, il compito di conservare e rinnovare, per quanto non spetti alla politica del legislatore, che pure dà luogo a fatti di supplenza se non si mantiene al passo coi tempi.
Segue che per chi creda nel sistema come produttiva della indispensabile stabilità in funzione di continuità, emergono interrogativi di vario genere per i quali non è agevole trovare risposte ma che sono ineludibili nel corso anche di semplici riflessioni sull'attuale funzione di avvocati, processi e giudici.
Che dire in proposito, avendo presenti le considerazioni sin qui esposte.
Le istituzioni, si dice, hanno anche una funzione frenante rispetto alle evoluzioni, ma si tratta di una affermazione che va correlata all'attuale dilagare delle informazioni, al potenziamento delle organizzazioni di base e relative istanze di partecipazione, all'avvenuto accesso delle varie categorie sociali di ambo i sessi alle organizzazioni che esercitano il potere, con gli effetti che si vedono nei provvedimenti che la basepur riesce ad ottenere.
E lo stato sociale, quasi attraverso convulsioni, avanza ed arretra, mettendo in pericolo ordine e stabilità, sicchè lungi dall'illudersi circa improbabili, definitivi recuperi dei c.d. poteri forti che, comunque, non produrrebbero progresso, occorre domandarsi responsabilmente cosa può e deve fare il ceto forense e giudiziario che, bene o male, considerando sinergicamente la soluzione delle controversie e la repressione dei crimini, si trova in medias res, sicchè, in mancanza di una adeguata presa di coscienza di uomini e cose, i legali più sensibili potrebbero interrogarsi sulle motivazioni e legittimazioni delle loro funzioni, talvolta fino a rifiutarne l’esercizio o, peggio ancora, esercitarle in maniera abnorme, come insegna l’esempio delle c.d. sentenze suicide.
Forse questo ricordo è troppo forte ma ogni indagine sul comportamento umano e relative regole non può prescindere dalle motivazioni che reggono il contesto, perché tutti dobbiamo sapere fino a che punto dobbiamo rispondere e quando abbiamo il diritto di fermarci, ricordando di essere uomini tra gli uomini, uomini che processano altri uomini, per investitura ricevuta dall’insieme.
Non si intende qui esprimere alcuna drammatizzazione della funzione giudiziaria e dei suoi operatori, drammatizzazione che cadrebbe nello scetticismo attuale e sarebbe assorbita nell’indifferenza prodotta dall’urgenza della quotidianità.
Conviene piuttosto domandarsi come utilizzare al meglio quello che abbiamo appreso.
Ebbene per gli anglosassoni il diritto non è una scienza ma una esperienza e verso la fine della sua esistenza anche Carnelutti riferiva dei dubbi sull’esistenza di una scienza giuridica e temeva perfino di divenire anarchico.
Ma a me sembra che riferirsi all’esperienza significa arricchire la scienza, che poi è sapere, è conoscenza e mi sembra che questa sia la via da battere per conoscere e migliorare la nostra funzione di avvocati e giudici, che non può essere studiata scindendo le due funzioni, che si integrano nel perseguire il risultato della pronuncia giudiziaria: persone, giurisdizione, processo, sentenza.
Può anche sembrare semplicistico affermare quanto precede ma spesso una riformulazione delle premesse può avviare alla risposta che, in realtà, trova la sua motivazione negli svolgimenti che le riformulate premesse consentono.
Cosa significa per il problema sociale della effettiva resa di giustizia arricchire la scienza dell’esperienza? Significa anzitutto articolare il ragionamento sulla attenta assimilazione dei fatti, anche per classi, prima di includerli, ove necessario, in un determinato schema logico e forma giuridica, ricordando che ladommatica non è fatta per dare tranquillità a chi vi ricorre bensì per aiutare a progredire nella ricerca.
E la ricerca per chi assume l’iniziativa è a spettrolargo, dai soggetti, all’oggetto, alle interferenze, ai metri di valutazione, alla situazione generale ed ad ogni altro elemento che la ricerca stessa suggerisce.
Può essere utile considerare che altri sono i risultati della ricerca all’atto dell’iniziativa ed altro quello che può richiedere la prospettazione al giudice ed al suo apparato, ben distinto da comunità e gruppi che hanno prodotto la necessità dell’iniziativa.
Di Emilio Betti l’illustre e dotto presidente della Cassazione Giuseppe Flore affermava: “è capace, di mettere tutto a partito” ed una affermazione del genere, proveniente da sì alta esperienza per un così gran giurista è per noi l’indicazione dell’ampiezza della ricerca cui siamo tenuti: è l’esperienza giuridica e l’esperienza umana che si cerca di incanalare in un ordinamento sociale capace di imporsi, secondo la definizione di Kelsen. Ma oggi dobbiamo procedere oltre, perché l’organizzazione delle categorie ci ha indicato l’efficacia del consenso: le analisi fattuali e le ricostruzioni logiche dei giuristi dovrebbero appunto essere orientate nel senso di trovare soluzioni acconsentibili dalle parti contrapposte ed ho già ricordato l’invito al colloquio espresso da Squinzi per i sindacati.
Bisogna, però, rendersi conto di un’altra realtà, che è la settorizzazione degli interessi per categorie, che introduce nel discorso dati tecnici e limiti economici ineludibili, sicchè la ricerca egualmente si settorizza ed i concetti generali possono, soltanto metterci in condizione di meglio intendere le realtà particolari, suggerendoci di non costringerle, ma, piuttosto, di trovare il modo di esprimerle e le strade di incontro.
La concreta prevalenza delle fonti consensuali, in sintesi, ci indica anche la necessità di approfondimento dei fatti fino a scoprirne i punti di dissenso e le possibilità di incontro, sicchè il compito dei giuristi si aggrava, specialmente se intendono mantenere la posizione che attualmente può renderli credibili e, cioè, come operatori di una giurisprudenza che esprime l’arte del giusto.
È questa una meta da assegnare a qualunque operatore di diritto e che soprattutto non deve essere dimenticata da quelli che, come i giudici, hanno il potere di dire la parola definitiva, perché devono pensare che se questa parola non è giusta, la società moderna la rifiuta, riproponendo continuamente i problemi, specialmente attraverso i disponibili mezzi di comunicazione sociale che rendono a tutti accessibili gli interrogativi, prospettando anche in modo assai colorito, la erroneità delle soluzioni, sicchè oggi il problema delle professioni legali si aggrava per i rispettivi operatori, sia per quelli che devono assumere iniziative sia per quelli che devono adottare decisioni, che devono essere adeguate agli interessi.
Tutto ciò si impone a meno di non perdere credibilità e venire scavalcato da nuove forme di trattazione dei problemi e relative soluzioni, che svuoterebbe il ceto dei giuristi, senza certamente che la società ne guadagni, perché millenarie esperienze non verrebbero agevolmente sostituite da illusori produttori di benessere che, ben presto, vedrebbero, a loro volta, precipitare le loro costruzioni e ritornare ai precedenti con notevoli danni sociali per chi si trova nei momenti intermedi.

8.- Non è possibile allo stato attuale indicare con precisione le linee evolutive per le categorie che si stanno studiando, perché nella società attuale, che attraversa una crisi purtroppo duratura, tutto è assolutamente incerto: né la politica né le esperienze economiche hanno saputo indicare delle strade sicure, ma piuttosto hanno adottato dei rimedi per reggere la situazione nel suo complesso; e non sarebbe onesto opporre critiche a questa o quella ideologia, a questo o quel sistema, visto che crisi significa insufficienza di quello che si sapeva e necessità di ricerca del nuovo. Ed è quanto innanzi si è cercato di prospettare senza aver la pretesa di aver percorso poco più che un inizio.

9.- Il discorso è stato condotto sin qui riferendosi congiuntamente ad avvocati e giudici, indicando qualche linea evolutiva delle rispettive funzioni, che contribuiscono in modo decisivo all’equilibrio dei rapporti socio-economici, garantendointeressi essenziali quali la sicurezza di individui e comunità, nonché l’ordine nello svolgimento delle negoziazioni e nel godimento dei beni.
Ma ciò non basta perché laddove si riconosce ai singoli l’autonomia nella regolamentazione dei propri interessi, specialmente concordandone la disciplina con altri interessati, cooperanti o contrapposti che siano, sarà necessaria l’opera del professionista idoneo a dar forma giuridicamente vincolante alle disposizioni degli interessati, conformandone e certificandone le volontà secondo legge.
Conformazione e certificazione spesso ardue, per le complicazioni del nostro sistema, le contrapposizioni talora aspre degli interessi, l’urgenza delle soluzioni ed interferenze non sempre prevedibili, che si aggravano anche per il non lieve regime fiscale.
Ebbene la professione del notaio è coinvolta in queste complesse realtà che insidiano uomini e patrimoni e richiedono esperienze ben maturate ed articolate per poter essere affrontate.
Spesso non si sa come muoversi, eppure bisogna agire perché quella del notaio, il maestro di atti dei tempi passati, è una professione operativa, a continuo contatto con negoziazioni, volontà anche di sopravvivere post mortem dettando regole agli eredi, associazioni perfino fantasiose, per le quali tutt’al più si possono autenticare le firme dei partecipanti.
Senza dire delle crescenti difficoltà degli atti in materia di società commerciali, per le quali le innovazioni della disciplina codicistica sono state profonde, anche per la necessità di adeguamento agli accordi comunitari ed internazionali, data la globalizzazione dello scenario della produzione e degli scambi.
Cenni quelli che precedono, alle attuali difficoltà della vita notarile, che qui si ricordano solo in funzione di un comune avvenire, che tutti dobbiamo concorrere a costruire, perché gli attuali assetti poco reggono e non sono idonei a rispondere ad una comunità che cresce nel numero, nella consapevolezza e nei bisogni.
Per avvocati e giudici si sono sostanzialmente evidenziate esigenze di approfondimento di analisi, di affinamento degli strumenti interpretativi e ricostruttivi, di utilizzazione degli stessi risultati per verifiche ulteriori, di franco rifiuto del rifugio nel formalismo, che poco o nulla si diversifica dalla incapacità di pervenire a soluzioni plausibili.
Possono riferirsi queste istanze a chi, come il notaio, deve dare alla volontà delle parti riconoscibilità secondo il diritto con conseguente efficacia secondo legge?
Ebbene richiamando qui quanto si è detto sul colloquio attraverso il processo tra avvocati e giudici nel comune percorso verso la soluzione della controversia, si può derivarne la valorizzazione della parte colloquiale e fiduciaria della professione notarile, dove il discorso si svolge tra parte interessata e notaio verso la soluzione che la parte vuole ma che è condizionata dalle regole che vincolano la formazione dell’atto; sicchè il notaio è interposto tra l’interesse e la regola che deve illustrare a chi vuole contrattare o testare, dicendogli sostanzialmente quello che può e non può fare, prevenendo in tal modo ragioni di invalidità e relative controversie.
Ed è in questa attività del notaio, che in termini procedimentali potrebbe dirsi preparatoria, sta forse la parte più produttiva e, nello stesso tempo, più difficile della professione notarile, in quanto non è affatto detto che dare forma e limite a volontà interessate ad un determinato regolamento di interessi, sia più agevole che risolvere dissensi tra parti contrapposte. Esiste, infatti in entrambi i tipi di fattispecie l’esigenza di specificare le regole del sistema adattandole alle singolarità degli interessi, siano essi contrapposti oppure tendenti ad una soluzione che soddisfi l’interesse di parte.
Concludendo, se il notaio si trova interposto tra volontà di parte e sistema, è ancora più vero che deve cooperare alla corretta realizzazione del sistema negli atti di volontà che riceve ed ai quali dà corretta espressione e forma. E può farlo meglio di altri per il momento in cui opera.
Nè sembri soltanto fideistica la conclusione alla quale si è pervenuti, nel senso, cioè, della cooperazione per tutte le professioni legali; in realtà, si è rimasti coerenti alla concezione dell’elaborazione del diritto come arte del giusto ed alla giurisdizione come giusta composizione delle liti, rivendicando al ceto dei giuristi - e tali sono gli esercenti le professioni legali - soluzioni che si accettano perché frutto di logiche elaborazioni di sistemi e di concretezze correttamente acquisite.
Nel mondo che ha visto quadruplicare gli uomini in meno di un secolo e progredire conoscenze e tecniche in modo esponenziale, è augurabile che non solo il diritto, ma tutte le scienze morali evolvano nel senso della convivenza nella pace,componendo secondo legge e coscienze le posizioni contrapposte.

Prof. avv. Giuseppe Abbamonte


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