RESPONSABILITA' P.A.:
il Consiglio di Stato supera definitivamente
la c.d. "teoria del contatto sociale"
(Cons. St., Sez. V, sentenza 27 marzo 2013 n. 1833)
a cura del Dott. Massimo Mazzola
I giudici di palazzo spada dicono no alla c.d. "teoria del contatto sociale".
Tertium genus di responsabilità civile, introdotta da Carlo Castronovo in Italia, che continua a far discutere dottrina e giurisprudenza civile e amministrativa.
Massima
Il risarcimento del danno da mancata aggiudicazione di un appalto può essere concesso qualora siano integrati gli elementi costitutivi - strutturali dell'illecito aquiliano (art. 2043 c.c.), non essendo invece configurabile in quest'ipotesi la responsabilità da c.d. "contatto sociale".
Trattasi, infatti, di verificare non tanto l’inottemperanza ad un obbligo gravante in capo all’amministrazione comunale, quanto piuttosto di appurare se vi sia stato uno scorretto esercizio del potere amministrativo.
Per un approccio critico sulla teoria della responsabilità da c.d. "contatto sociale" vedi:
E. NAVARRETTA, L’ingiustizia del danno e i problemi di confine tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale , in Diritto Civile, diretto da N. Lipari e P.Rescigno, IV, (Attuazione dei diritti), t. III, La responsabilità e il danno, Milano, 2011, pp. 234 ss..
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 667 del 2010,
proposto da:
Comune di Treviso, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Garofalo, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tacito, 41;
Comune di Treviso, rappresentato e difeso dall'avvocato Luigi Garofalo, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tacito, 41;
contro
Il Sestante Coop. Sociale a responsabilità limitata in
proprio e quale capogruppo dell’associazione temporanea con Codess, Società
Cooperativa a r.l., rappresentata e difesa dall'avvocato Chiara Cacciavillani,
con domicilio eletto presso Salvatore Patti in Roma, via Tacito, 41;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA: SEZIONE I
n. 00625/2009, resa tra le parti, concernente risarcimento danno a seguito di
revoca appalto triennale servizio di gestione aree centro giovani ed
informazione
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Il
Sestante Coop. Sociale a r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio
2013 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati
Mazzeo, per delega dell'avvocato Garofalo, e Scafarelli, per delega
dell'avvocato Cacciavillani;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO
1. Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto
con sentenza 13 marzo 2009, n. 625, accoglieva il ricorso delle odierne
appellate e, per l’effetto, condannava il Comune di Treviso a corrispondere a
favore delle ricorrenti la somma di € 36.996,16, maggiorata di interessi legali
e rivalutazione del credito. A fondamento della propria decisione il TAR
rilevava che l’originaria ricorrente Il Sestante Soc. coop a.r.l., anche quale
mandataria capogruppo dell’ATI costituita dalla medesima società con Codess
Cultura Soc. coop a.r.l., otteneva con sentenza del TAR Veneto n. 2287/1999,
l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione oggetto del provvedimento n.
362 dell’8 aprile 1998 della Giunta comunale di Treviso a favore della
Cooperativa “Insieme si può” dell’appalto di durata triennale (1 settembre 1998
– 31 dicembre 2000) avente ad oggetto il servizio delle aree “Centro Giovani”
ed “Informazione” bandito dalla stessa amministrazione comunale.
La sentenza n. 2287/1999, in particolare, rilevava
come la stazione appaltante avesse omesso di attribuire a favore del Sestante
un punteggio per l’offerta tecnica, che l’avrebbe collocata al primo posto in
graduatoria con conseguente aggiudicazione a suo favore dell’appalto de quo.
L’amministrazione comunale dopo aver appellato la suddetta sentenza prestava
acquiescenza al dictum del TAR Veneto con conseguente estinzione del giudizio
accertati con la decisione di questo Consiglio dell’11 gennaio 2002, n. 140 ed
aggiudicava a favore delle odierne appellate l’appalto per il periodo residuo
dal 1 maggio 2000 al 31 dicembre 2000, per un lasso temporale di otto mesi. Il
Sestante con l’originario ricorso introduttivo avanzava richiesta al TAR Veneto
di risarcimento in forma specifica o in subordine di risarcimento per
equivalente a fronte della lesione patrimoniale subita. Quindi, domandava in
via principale l’affidamento diretto del servizio per il periodo di tempo
originariamente indicato nel bado di gara, detratta l’esecuzione della durata
di otto mesi, o in subordine il riconoscimento del ristoro patrimoniale
commisurato nella somma di € 71.634.555,00, pari al mancato utile economico
riferito al periodo di servizio non svolto.
2. Il TAR Veneto con la sentenza gravata concludeva
per la sussistenza della responsabilità dell’amministrazione comunale sulla
scorta delle seguenti premesse teoriche: a) il rapporto tra amministrazione
procedente e privato va ricostruito in termini di “contatto sociale”, in
ragione della presenza di una fitta rete di obblighi che gravano
sull’amministrazione in costanza di un procedimento amministrativo. Situazione
quest’ultima che non consente di ricondurre l’illecito dalla stessa commesso al
paradigma aquiliano, quanto piuttosto ad un modello che presenta tratti della
responsabilità precontrattuale e della responsabilità per inadempimento delle
obbligazioni; b) la responsabilità della p.a. non discende in via automatica
dall’annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato, ma, facendo
applicazione del dettato dell’art. 1223 c.c. per essere affermata impone ex
art. 2697 c.c. al danneggiato l’onere di dimostrare: la lesione di una
posizione giuridica soggettiva, l’imputabilità dell’evento dannoso alla p.a.,
un danno patrimoniale ingiusto, un nesso causale tra evento e danno secondo le
coordinate offerte dalla teoria condizionalistica.
2.1. Nella dimostrazione della presenza degli elementi
positivi che correderebbero il regime della responsabilità della stazione
appaltante, la sentenza impugnata si soffermava sulla ricorrenza del requisito
della colpa a carico della p.a., ritenendolo sussistente in ragione
dell’illegittimità acclarata con la precedente sentenza dello stesso TAR n.
2287/1999, della previsione del bando di gara che in violazione dell’allora
vigente art. 10, d.lgs. 358/1992, imponeva il possesso da parte di ciascuna
impresa facente parte del raggruppamento dei requisiti di capacità tecnica ed
economico finanziaria necessari per la partecipazione alla gara.
La violazione in questione configurerebbe un
comportamento colposo non avendo assolto la p.a. all’onere di dimostrare la scusabilità
dell’errore a fondamento della suddetta illegittimità, in quanto pur in
costanza di un indirizzo giurisprudenziale che all’epoca si esprimeva per la
non cumulabilità dei requisiti tecnici in capo alle imprese facenti parte
dell’ATI, lo stesso era stato superato da orientamento costante del giudice di
secondo grado. Inoltre, la pronuncia appellata riteneva sussistente il nesso di
causalità tra l’aggiudicazione illegittima ed il danno prodotto alle odierne
appellate, non essendo stato in grado il Comune di dimostrare che nel periodo
di esecuzione dell’appalto da parte della Cooperativa “Insieme si può”, le
originarie Società ricorrenti avessero conseguito l’aggiudicazione di appalti
consimili ai quali non avrebbero potuto aspirare se risultate aggiudicatarie
della procedura di gara oggetto del contenzioso in esame.
2.2. Concludeva, quindi, il primo Giudice per
l’impossibilità di accordare il risarcimento in forma specifica, in ragione
della scadenza del termine triennale di vigenza del contatto posto in gara e
della dismissione da lungo tempo da parte dell’originaria ricorrente della
propria attività sia presso il “Centro Giovani” che presso “Informa Giovani”.
Di contro riteneva sussistente il diritto ad un ristoro patrimoniale per
equivalente che commisurava utilizzando il criterio contenuto nell’art. 345, l.
20 marzo 1865, n. 2248 all. F, in misura pari al 10% del valore della
prestazione dell’appalto non eseguita.
3. Propone appello il Comune di Treviso che con
distinti motivi censura la pronuncia conclusiva del primo grado di giudizio.
3.1. In prima battuta la p.a. appellante lamenta
l’esistenza di un pregiudizio in capo alle odierne appellate. Ciò in quanto
l’annullamento degli atti di gara prima dell’integrale esecuzione del contratto
d’appalto si tradurrebbe in un soddisfacimento integrale del danno subito in
ragione della rinnovazione della procedura di gara.
Al contrario, il danno lamentato dalle originarie
ricorrenti discenderebbe non dalla prima illegittima aggiudicazione, ma dalla
seconda con la quale l’amministrazione ha ritenuto di non prolungare la durata
dell’appalto. Pertanto, le imprese appellate avrebbero dovuto impugnare
quest’ultima aggiudicazione per non incappare nelle limitazioni derivanti dalla
cd. pregiudiziale di annullamento, qualora si avanzi autonoma azione
risarcitoria. Al contrario, le imprese raggruppate in A.T.I. avrebbero prestato
acquiescenza alla decisione dell’amministrazione comunale di limitare la durata
del servizio oggetto del contratto. Pertanto, il primo Giudice avrebbe errato
nel non rilevare la mancata impugnazione dell’aggiudicazione a suo favore con
conseguente rigetto della richiesta risarcitoria.
3.2. Con un secondo motivo di doglianza
l’amministrazione comunale contesta l’inquadramento teorico offerto dalla
sentenza gravata secondo la quale il rapporto tra Comune e partecipante alla
gara dovrebbe essere ricondotto al paradigma del cd. contatto sociale
qualificato, secondo il quale tra due soggetti si instaurano obblighi latu
sensu contrattuali pur in assenza dell’obbligo primario di una prestazione.
Questa soluzione a giudizio dell’amministrazione appellante non convince per
l’eccesso di tutela che ne deriverebbe a favore del cittadino. In questo senso,
una corretta riconduzione della responsabilità della p.a. nell’alveo
dell’illecito extracontrattuale, imporrebbe un onere di dimostrazione degli
elementi positivi in capo al presunto danneggiato. Sotto questo profilo, pur a
fronte dell’indicazione del regime contenuto nell’art. 2697 c.c., operante
anche nella fattispecie, con onere della prova, quindi, in capo al
ricorrente-danneggiato, quest’ultimo non avrebbe offerto alcuna dimostrazione
della sussistenza degli elementi di responsabilità in capo all’amministrazione.
3.2.1. Così, il presunto danneggiato non avrebbe
dimostrato la sussistenza di un profilo di colpa in capo all’amministrazione,
che, al contrario, nel momento in cui operava, commetteva la riscontrata
illegittimità in una temperie dottrinale e giurisprudenziale molto contrastata
sulla questione della cumulabilità dei requisiti tecnici e finanziari delle
imprese facenti parte dell’ATI ai fini dell’attribuzione di punteggi
dell’offerta che questa avesse presentato. Profilo quest’ultimo
superficialmente superato dal primo Giudice sulla scorta della presenza di un
indirizzo non ancora consolidatosi dinanzi a questo Consiglio. Ancora il TAR
avrebbe finito per desumere la sussistenza dell’elemento soggettivo
dell’illecito esclusivamente dall’illegittimità riscontrata dalla sentenza che
aveva pronunciato l’annullamento della prima aggiudicazione a favore della
cooperativa “Insieme si può”.
3.3. Lamenta ancora l’amministrazione soccombente che
pur ritenendo corretto l’inquadramento dogmatico scelto dalla sentenza
appellata e, quindi, il riferimento al disposto dell’art. 1223 c.c., il danno
cagionato all’odierna appellata sarebbe consistito esclusivamente nel ritardo
con il quale le è stata aggiudicata la gara. Infatti, conseguenza immediata e
diretta dell’aggiudicazione valutata come illegittima sarebbe solo il ritardo
con il quale le ricorrenti di primo grado si sarebbe viste assegnare il
servizio. Mentre, la mancata assegnazione del servizio per il termine
originario di durata triennale sarebbe imputabile, da un lato, al ritardo (per
il periodo 31 marzo 2000 – 21 aprile 2000) con il quale l’ATI di cui è
capogruppo “Il Sestante” avrebbe offerto la documentazione richiesta prima
della stipula. Dall’altro, all’acquiescenza prestata dall’ATI in parola circa
la decisione dell’amministrazione comunale di aggiudicarle il servizio solo per
la residua durata di otto mesi e non per quella triennale originaria.
I comportamenti in questione sarebbero interruttivi
della causalità giuridica ed ex art. 1227, comma 2, c.c. e solleverebbero il
Comune trevigiano da responsabilità. Inoltre, nella memoria del 26 settembre
2012 l’appellante richiama la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio, n.
3/2011, che nel ritenere superata la cd. pregiudiziale amministrativa anche
prima dell’entrata in vigore del c.p.a., ed in particolare dei suoi artt. 30 e
124, sottolinea il rilievo sostanziale che assume il comportamento del
danneggiato che non si impegni in una tempestiva reazione processuale nei
confronti del provvedimento potenzialmente dannoso. In questi termini superando
la pregressa esegesi dell’art. 1227 c.c. circa la non esigibilità da parte del
creditore di iniziative di carattere processuale per impedire la produzione del
danno.
Sempre nella memoria del 26 settembre 2012 si paventa
l’ulteriore eventualità che l’acquiescenza dell’odierna appellata consistita
nel stipulare l’appalto per la durata inferiore di otto mesi vada qualificata
in termini di datio in solutum. La nuova prestazione accettata dall’appellata
esprimerebbe la volontà di sostituire la pregressa obbligazione con una
diversa. Né sul punto potrebbe obiettarsi che l’adempimento comunque offerto
dall’amministrazione comunale possa essere qualificato come adempimento
parziale, atteso che l’obbligazione gravante sull’appellante rientrerebbe nel
novero delle obbligazioni indivisibili.
3.4. Un ultimo motivo di censura è dedicato dalla
difesa dell’amministrazione appellante al meccanismo di quantificazione del
danno utilizzato dal TAR Veneto, che ha fatto ricorso in via analogica a quanto
disposto dall’art. 345 l. 2248/1865 all. F. In particolare, l’appellante
contesta che il criterio suddetto possa trovare asilo al di fuori del settore
dei lavori pubblici. Quindi, sottolinea che in materia di appalto di servizi la
determinazione del quantum del risarcimento non possa prescindere da una
effettiva dimostrazione del pregiudizio patrimoniale subito, che deve essere
offerta dal danneggiato.
Al contrario, la sentenza del TAR accolla l’onere
della prova dell’ammontare della lesione patrimoniale a carico
dell’amministrazione, facendo discendere dalla mancata indicazione da parte del
Comune di Treviso di eventuali altri bandi aggiudicate a favore delle
appellate, la prova della quantificazione del danno a favore delle stesse nella
citata misura del 10% dell’utile d’impresa. Quest’inversione dell’onere della
prova rappresenta a giudizio della difesa del Comune di Treviso un errore in
diritto, che viola il principio processuale dell’onere della prova come quello
sostanziale dell’aliunde perceptum vel percipiendum. Infatti, anche quando viene
fatta applicazione del suddetto criterio si provvede ad una decurtazione
dell’ammontare del risarcimento pari al 50%, ogni qual volta il danneggiato non
fornisca la prova di non aver potuto utilizzare diversamente mezzi e risorse.
4. Si costituisce in appello Il Sestante coop. a.r.l.
in proprio e quale capogruppo dell’ATI costituita con Codess Cultura Soc. coop
a.r.l., per resistere alle richieste avanzate dall’appellante ed ottenere la
conferma della sentenza gravata.
4.1. A giudizio dell’appellata è priva di pregio la
censura inerente il difetto di interesse all’ottenimento del risarcimento per
equivalente, essendo già stata soddisfatta la pretesa dell’originaria
ricorrente in forma specifica in ragione della rinnovazione della procedura di
gara con conseguente aggiudicazione del servizio sia pure in misura temporale
ridotta. Fa notare il Sestante come sia necessario distinguere l’interesse
sostanziale sotteso all’ottenimento dell’aggiudicazione dell’appalto, da quello
strumentale alla rinnovazione della gara. Solo il secondo sarebbe stato
soddisfatto dalla nuova aggiudicazione, mentre il primo necessiterebbe di un
ristoro per equivalente.
4.2. Oppone ancora l’appellata che non assume rilievo
la mancata impugnazione dell’aggiudicazione a favore dell’originaria
ricorrente, atteso che la prospettata pregiudiziale di annullamento è stata
superata in via teorica dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema
Corte e che l’unica iniziativa che poteva essere intrapresa dall’appellata era
quella in concreto avviata di ottenere l’annullamento in forma specifica e per
equivalente. Chiosa, infine, sul punto l’appellata che ai sensi dell’art. 1227
c.c. il dovere di correttezza che si può esigere dal danneggiato non può andare
oltre l’avvio di attività che abbiano il sicuro risultato di ridurre il danno e
non quello di iniziare azioni giurisdizionali.
4.3. L’appellata, inoltre, conclude difformemente da
quanto denunciato dall’appellante in merito all’elemento soggettivo
dell’illecito. In particolare, rimarca che la ricorrenza dello stesso non
appare necessaria in caso di mancata aggiudicazione secondo l’insegnamento di
Corte giust., 14 ottobre 2004, in causa C-275/03. Né secondo il Sestante
l’amministrazione può invocare la presenza di un errore scusabile in presenza
di un orientamento giurisprudenziale costante a partire dalla pronuncia Cons.
St., Sez. V, 24 novembre 1997, n. 1367, circa la cumulabilità dei requisiti
delle imprese costituite in ATI ai fini dell’attribuzione dei punteggi di gara.
4.4. In ordine, infine, alla commisurazione del danno
l’appellata sostiene la correttezza della pronuncia gravata, perché conforme
alla prevalente giurisprudenza, avendo il TAR Veneto desunto l’assenza di
ulteriori impegni negoziali dalla richiesta avanzata in forma specifica dalla
ricorrente durante la pendenza del contratto.
DIRITTO
1. Preliminare alla soluzione delle molteplici censure
proposte avverso la gravata sentenza è la qualificazione della natura giuridica
della responsabilità della p.a., che secondo il TAR Veneto deve essere
ricondotta all’interno della responsabilità da “contatto sociale qualificato”.
Quest’impostazione trae linfa dalla considerazione che
il rapporto tra cittadino ed amministrazione non può essere equiparato ad una
relazione occasionale, nella quale due soggetti giuridici entrano in contatto
solo in occasione dell’evento illecito. Ma, al contrario, è il frutto della
violazione di quegli obblighi procedimentali che incomobono
sull’amministrazione a tutela del privato. La presenza di una relazione tra
soggetti individuati non consentirebbe di ricostruire il paradigma della
responsabilità dell’amministrazione alla stregua del modello aquiliano.
Inoltre, quest’approccio sterilizza l’esigenza circa
l’indagine sulla spettanza del provvedimento e consente di superare senza
occuparsene della questione relativa alla pregiudiziale amministrativa. Ciò in
quanto la lesione viene recata dalla violazione di un obbligo procedimentale e
non dal provvedimento in sé. Si tratta di un orientamento sposato
episodicamente non solo da questo Consiglio (Cons. St., sez. VI, n. 1945/2003),
ma anche dalla Cassazione (Cass. Civ., Sez. I, n. 157/2003), e più di recente
anche da TAR Lazio, sez. III-ter, n. 1527/2007. Poiché nel diritto i bisogni
finiscono per dare vita alle norme ed alle loro interpretazioni non appare
inutile rammentare che la tesi del contatto sociale qualificato nasce in
Germania per far fronte al cd. Enumerationprinzip del § 832 BGB. Ossia in
costanza di una disciplina normativa distante da quella che regola il danno da
aggiudicazione illegittima nel nostro ordinamento. È stata, infatti, la
delimitazione dei diritti soggettivi coperti dal rimedio aquiliano a fornire
nel diritto tedesco la spinta per la creazione della tesi del contatto sociale
qualificato, che genera un obbligo di protezione pur in assenza di un obbligo
primario di prestazione.
Nel nostro ordinamento la norma indicata quale fonte
di simili obblighi è l’art. 1173 c.c., nella parte in cui fa riferimento “…ad
ogni altro atto o fatto idoneo a produrlo in conformità dell’ordinamento
giuridico”. Uno dei settori di elezione della tesi in parola è, com’è noto,
quello della responsabilità precontrattuale, pur se nell’ambito dell’Unione
europea la scelta per la tesi della responsabilità extracontrattuale appare
prevalere come dimostrato da Corte Giust., 17 settembre 2002 e dal legislatore
dell’Unione europea che nel Regolamento n. 864/2007, cd. Roma II, all’art. 2
comprende tra le obbligazioni extracontrattuali anche quelle cagionate da danno
conseguenza di culpa in contraendo.
Nella fattispecie all’esame del Consiglio deve, però,
escludersi la ricorrenza di una responsabilità da contatto sociale qualificato,
atteso che l’odierna appellata ha avanzato istanza di ristoro patrimoniale a tutela
del proprio interesse legittimo all’aggiudicazione della gara d’appalto. In
questo senso il presunto danneggiato non si duole dell’inottemperanza ad un
obbligo gravante in capo all’amministrazione comunale, quanto dello scorretto
esercizio del potere amministrativo. Occorre, quindi, distinguere la
responsabilità della p.a. che discende dal cattivo esercizio del potere da
quella che può derivare dal mancato adempimento di un obbligo. Ipotesi
quest’ultima, non ricorrente nella fattispecie in esame, che pare avvicinarsi
al paradigma della responsabilità contrattuale nell’accezione datane da Cass.,
Sez. Un., 26 giugno 2007, n. 14712. Sul tema un richiamo merita anche Cass.
civ., Sez. I, 21 novembre 2011, n. 24438.
Pertanto, va respinta la tesi secondo la quale nel
caso si avanzi richiesta di risarcimento del danno per la mancata
aggiudicazione si è in presenza di un contatto sociale che genera una
responsabilità latu sensu contrattuale. Diversamente ragionando si giungerebbe
ad un’inaccettabile sovrapposizione delle posizioni di interesse legittimo e di
diritto soggettivo, ricostruendo la prima categoria alla stregua di un
interesse alla legittimità dell’attività amministrativa, immediatamente leso
dalla mera presenza di un vizio di legittimità.
1.1. Tanto premesso, occorre ricondurre la vicenda
prospettata nell’ambito della disciplina dell’illecito aquiliano sia pure con
le peculiarità di regime che discendono dall’influsso del diritto dell’Unione
europea già a far data dalla previsione di un rimedio risarcitorio disposto
dall'art. 2, n. 1, lett. c), dell'originaria direttiva 89/665/CEE. Al riguardo,
occorre precisare che il richiamo alla natura extracontrattuale dell’illecito a
carico dell’amministrazione appare come descrittivo di un rimedio che si colloca
al di fuori della disciplina della responsabilità contrattuale, ma presenta
caratteristiche proprie che designano uno strumento di tutela per equivalente
del danno prodotto dalla stazione appaltante al concorrente illegittimamente
pretermesso nell’aggiudicazione della gara. Da ciò deriva che lo strumento
ideato dal legislatore comunitario presenta connotati che lo differenziano dal
paradigma normativo descritto dall’art. 2043 c.c., specie in termini di
criterio di imputabilità dell’illecito.
2. Questa stessa Sezione con una recentissima
pronuncia (Cons. St., sez. V, 8 novembre 2012, n. 5686) ha già scandagliato
l’irrilevanza dell’elemento nella colpa, sulla scia della giurisprudenza della
Corte di Giustizia (da ultimo, Corte di Giustizia del 30 settembre 2010, Graz
Stadt) nell’individuazione della responsabilità dell’amministrazione in materia
di affidamento di appalti pubblici rammentando come in ragione di quanto
previsto dall’art. 2, d.lgs. 163/2006, ma in fondo anche da quanto statuito, in
generale, dall’art. 1 l. 241/90, questo peculiare regime di responsabilità
valga sia per gli appalti di rilievo comunitario che per gli altri appalti
pubblici.
L’esigenza che il diritto dell’Unione europea ispirato
alla massima concorrenza nel settore degli appalti pubblici trovi cogente
attuazione ha spinto il legislatore dell’Unione ad introdurre un rimedio che
massimizza in sede giurisdizionale l’effettività del rispetto delle norme e dei
principi di derivazione comunitaria, eliminando ogni possibilità che
l’amministrazione possa sottrarsi al ristoro patrimoniale, opponendo eventuali
l’esistenza di eventuali esimenti fondate sull’assenza di un comportamento
colpevole tenuto dall'Amministrazione aggiudicatrice.
Pertanto, come chiarito già dalla citata pronuncia n.
5686/2012: “L'ordinamento comunitario dimostra che ciò che rileva é
l'ingiustizia del danno e non l'elemento della colpevolezza; ciò determina ipso
facto la creazione di un diritto amministrativo comune a tutti gli Stati membri
nel quale i principi che si elaborano a livello comunitario, in applicazione
dei Trattati, trovano humus negli ordinamenti interni, e costituiscono una
sorta di sussunzione unificante di regole riscontrabili in tali ordinamenti.
In questo processo di astrazione è inevitabile che i
principi di diritto interno vengano sostituiti da principi caratterizzati da
più larga acquisizione, poiché il ravvicinamento e l'armonizzazione normativa
premia il principio maggiormente condiviso, come è quello della responsabilità
piena della p.a. senza aree di franchigia.
Peraltro, l'assenza, nella disciplina comunitaria
degli appalti, di qualsivoglia riferimento ad un'indagine in ordine
all'elemento soggettivo della responsabilità, lungi dall'essere una
dimenticanza, si spiega ponendo mente al fatto che, di norma, la via del
risarcimento per equivalente viene percorsa qualora risulti preclusa quella
della tutela in forma specifica; la reintegrazione in forma specifica
rappresenta, peraltro, in ambito amministrativo l'obiettivo tendenzialmente primario
da perseguire e il risarcimento per equivalente costituisce invece una misura
residuale, di norma subordinata all'impossibilità parziale o totale di giungere
alla correzione del potere amministrativo, come dimostra, d'altra parte, anche
la vicenda giurisprudenziale e normativa relativa alla dichiarazione di
inefficacia del contratto d'appalto, come da ultimo risolta per effetto del
d.lgs. n. 53-2010, le cui previsioni sono confluite nel Codice del processo
amministrativo agli artt. 121 e ss.
In tal modo, dunque, il ricorrente che non ottiene
direttamente il bene della vita a cui aspira, ossia la riedizione della gara o
l'aggiudicazione definiva può aspirare alla monetizzazione del pregiudizio
subito; se, tuttavia, anche tale ultima via di ristoro venisse resa
impraticabile o assolutamente impervia, il privato rischierebbe di restare
sprovvisto di qualsiasi forma di tutela.
Quanto prefigurato è esattamente ciò che accade
qualora una normativa nazionale subordini il risarcimento del danno al positivo
riscontro della colpa della stazione appaltante”.
2.1. Seguendo quest’impostazione ciò che rileva,
quindi, è la presenza di un giudicato amministrativo rappresentato nella
fattispecie dalla sentenza del TAR Veneto n. 2287/1999, che ha dimostrato
l’illegittimità dell’aggiudicazione a favore della Cooperativa “Insieme si può”
a discapito dell’odierna appellata. Sussistono, pertanto, gli elementi
costitutivi della responsabilità dell’amministrazione comunale, posto che la
gara è stata aggiudicata all’originaria ricorrente a riprova del nesso di
causalità tra aggiudicazione illegittima e lesione dell’interesse legittimo
vantato dalla danneggiata, nonché il danno provocato all’ATI costituita da Il
Sestante Soc. coop a.r.l. con Codess Cultura Soc. coop a.r.l., consistente
nella mancata integrale esecuzione del contratto.
2.2. Ancora non può addebitarsi al danneggiato
un’eventuale acquiescenza rispetto alla decisione dell’amministrazione comunale
di aggiudicare, tale da configurare un’interruzione del nesso causale ex art.
1227, comma 2, c.c.. Il cd. duty to mitigate che grava sul creditore
danneggiato e che pure deve spingersi sino ad intraprendere azioni
giurisdizionali, secondo quanto rimarcato da Cons. St., Ad. Plen., n. 3/2011,
appare in concreto soddisfatto, considerato che Il Sestante Soc. coop a.r.l.
nel giudizio conclusosi con la citata sentenza del TAR Veneto n. 2287/1999,
aveva tempestivamente avanzato richiesta di risarcimento in forma specifica,
solo parzialmente soddisfatta con l’aggiudicazione dell’appalto per la durata
temporale residua rispetto a quella triennale originariamente prevista. Va,
inoltre, rimarcato come la scelta dell’amministrazione comunale di prolungare
la durata triennale del contratto si sarebbe posta come autonoma determinazione
che non avrebbe eliso i danni provocati dall’illegittima aggiudicazione e
cagionati nel periodo temporale nel quale il contratto veniva eseguito dalla
Cooperativa “Insieme si può”. Pertanto, nessun onere di impugnazione valutabile
ex art. 1227 c.c. può ritenersi addossato al danneggiato.
2.3. Quanto alla prospettazione dell’aggiudicazione a
favore dell’ATI di cui Il Sestante Soc. coop a.r.l. è capogruppo in termini di
datio in solutum, la stessa appare del tutto scorretta sul piano giuridico, e
mira esclusivamente ad invocare un effetto estintivo di un precedente obbligo a
carico dell’amministrazione comunale, con un supposto effetto satisfattorio a
favore del creditore danneggiato che appare del tutto inesistente. L’istituto
de quo, infatti, rappresenta un modo di estinzione diverso dall’adempimento, e
presuppone l’esistenza di un obbligo che può essere soddisfatto con un
adempimento. Nella fattispecie, invece, l’obbligo di ristoro patrimoniale a
carico dell’amministrazione comunale sorge da un illecito cagionato dal cattivo
uso del potere amministrativo esercitato nel corso della procedura di gara.
3. Occorre, da ultimo, soffermarsi sulla questione
relativa al quantum del risarcimento. Ed in particolare sull’osservanza
dell’onere della prova in capo al danneggiato ex art. 2697 c.c., ripreso
dall’art. 124 c.p.a., e sui criteri da utilizzare per determinare l’ammontare
del risarcimento del danno.
3.1. Un principio di prova in ordine all’ammontare del
danno sofferto dall’originaria ricorrente può desumersi dall’offerta economica
presentata per l’aggiudicazione del servizio da parte dell’odierna appellata,
sula quale la stessa avrebbe lucrato l’utile di impresa. Corretto, pertanto,
appare il ragionamento operato dal primo Giudice che ha utilizzato quali
elementi oggettivi: l’offerta presentata dall’ATI di cui Il Sestante Soc. coop
a.r.l. è capogruppo per l’esecuzione triennale del servizio (1 settembre 1998 –
31 dicembre 2000) e quella oggetto del contratto stipulato con
l’amministrazione comunale (1 maggio 2000 al 31 dicembre 2000). Condivisibile
appare anche il richiamo ad un criterio equitativo del 10% dell’offerta
economica calcolata sottraendo quella recepita nel contratto stipulato a quella
inizialmente proposta nella procedura illegittimamente aggiudicata a favore della
Cooperativa “Insieme si può”.
3.2. Non può convenirsi con le conclusioni del TAR
Veneto, invece, quanto all’applicazione automatica del criterio desunto in via
analogica dall’art. 345. l. 2248/1865 all. F, considerato che in questo modo si
introdurrebbe una forma di indennizzo predeterminato che contrasta con i
principi probatori sopra richiamati. Al riguardo, va rilevato come al parametro
in questione non possa farsi integralmente ricorso in difetto della
dimostrazione da parte del danneggiato dell’impossibilità di utilizzare
diversamente gli strumenti d’impresa, in quanto tenuti a disposizione in vista
dell'aggiudicazione. Pertanto, appare ragionevole decurtare del 50% la somma
calcolata dalla pronuncia gravata a titolo di ristoro patrimoniale, che risulta,
quindi, essere quella di € 18,498.08. Sulle somme corrisposte a titolo di
risarcimento del danno da responsabilità extracontrattuale devono comunque
riconoscersi gli interessi maturati e la rivalutazione monetaria da computarsi
alla data del verificarsi dell’illecito, in funzione compensativa in relazione
alla mancata tempestiva disponibilità in capo al debitore della somma dovuta a
titolo di risarcimento del danno. Pertanto, occorre operare la rivalutazione
del credito secondo valori monetari correnti e computare gli interessi
calcolati dalla data del fatto non sulla somma complessiva rivalutata alla data
della liquidazione, bensì sulla somma originaria rivalutata anno dopo anno,
cioè con riferimento ai singoli momenti con riguardo ai quali la predetta somma
si incrementa nominalmente in base agli indici di rivalutazione monetaria.
4. Il parziale accoglimento delle ragioni
dell’appellante e la complessità delle questioni trattate consentono di
compensare le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione
Quinta), definitivamente pronunciando, accoglie in parte l’appello, come in
epigrafe proposto e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza
appellata, condanna il Comune di Treviso, a titolo di risarcimento del danno, a
favore della appellata Il Sestante Soc. coop a.r.l., anche quale mandataria
capogruppo dell’ATI costituita dalla medesima società con Codess Cultura Soc.
coop a.r.l.,, della somma complessiva di euro 18,498.08 (diciottomilaquattrocentonovantotto,08)
alla quale dovranno aggiungersi gli interessi e la rivalutazione monetaria.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 26 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Manfredo Atzeni, Presidente FF
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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