martedì 16 luglio 2013

AUTHORITIES: il parere dell'Antitrust ai sensi dell'art. 21-bis della L. n. 287/1990 non è autonomamente impugnabile (T.A.R. Lazio, Roma, sentenza 15 marzo 2013 n. 2720).


AUTHORITIES:
 il parere dell'Antitrust 
ai sensi dell'art. 21-bis della L. n. 287/1990
 non è autonomamente impugnabile 
(T.A.R. Lazio, Roma, sentenza 15 marzo 2013 n. 2720)


Massima

1.   Il parere dell'Autorità Antitrust, che si inserisce nella fase preliminare in termini di necessarietà, venendo a costituire un presupposto indefettibile per l'azione giurisdizionale ai sensi dell'art. 21 bis, L. n 287 del 1990, mira solo a consentire un momento di interlocuzione preventiva dell'Autorità con l'Amministrazione emanante l'atto ritenuto anticoncorrenziale, allo scopo di stimolare uno spontaneo adeguamento della fattispecie ai principi in materia di libertà di concorrenza in esito ad un confronto dialettico che costituisce espressione del principio di leale collaborazione fra Pubbliche Amministrazioni. 
2.  Le determinazioni che la P.A. viene ad assumere, a seguito di detta interlocuzione, sia nel senso della conformazione al parere (con conseguente ritiro o modifica dell'atto), sia nel senso della conferma della soluzione originaria, non costituiscono estrinsecazione di un potere di autotutela stricto sensu inteso, non implicando alcun apprezzamento di natura tipicamente discrezionale orientato secondo i parametri tradizionali dell'autotutela. 
In particolare, ove l'Amministrazione ravvisi l'effettività o la fondatezza dei rilievi di cui al parere dell'Autorità, ha l'obbligo di conformare la propria azione alla salvaguardia dei principi in materia di concorrenza, non potendosi certo ipotizzare che, secondo i parametri propri dell'autotutela, rifiuti di modificare o ritirare l'atto lesivo della libertà di concorrenza solo per la mancanza dei presupposti dell'annullamento d'ufficio, L'Amministrazione non potrà, quindi, pur riconoscendo la violazione delle norme a tutela della concorrenza, decidere di non rimuovere o di non modificare l'atto originariamente adottato in ragione dell'asserito difetto dei presupposti di cui all'art. 21 nonies, L. n. n. 241 del 1990.
3.  Ciò in ossequio alla primaria esigenza della tutela della libertà di concorrenza, espressione di valori costituzionali e comunitari e strumento di attuazione del benessere sociale. 
4.  Ne consegue che anche le determinazioni adottate dall'Amministrazione in esito al parere reso dall'Autorità nella fase precontenziosa rimangono attratte al momento dell'interlocuzione di cui al secondo comma dell'art. 21 bis, senza assumere una valenza provvedimentale esterna come atti di autotutela e non può, quindi, configurarsi un onere di impugnativa specifica da parte dell'Autorità, una volta che questa decida di esercitare l'iniziativa giurisdizionale ex comma 1 avverso l'atto ritenuto anticoncorrenziale .


Sentenza non definitiva per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 4348 del 2012, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Beniamino Caravita Di Toritto, con domicilio eletto presso Beniamino Caravita Di Toritto in Roma, via di P.Ta Pinciana, 6; 
contro
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Ministero dello Sviluppo Economico, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
nei confronti di
Legacoop Servizi, Soc Mancinelli Due Srl, Soc Intertrasporti Srl; 
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Soc Roquette Italia Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Maria Alessandra Sandulli, Giuseppe Giacomini, Roberto Damonte, con domicilio eletto presso Maria Alessandra Sandulli in Roma, corso Vittorio Emanuele, 349;
ad opponendum:
Coordinamento Interprovinciale Fai, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Filippo Satta, Anna Romano, Augusto Zingaropoli, Gian Michele Roberti, con domicilio eletto presso Filippo Satta in Roma, Foro Traiano, 1/A;
Conftrasporto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Natale Callipari, con domicilio eletto presso Studio Legale Tomassini in Roma, via F. Lippi, 2; Confartigianato Trasporti, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Stefano Zunarelli, Vincenzo Cellamare, con domicilio eletto presso Vincenzo Cellamare in Roma, via della Scrofa, 64;
Transfrigoroute Italia Assotir, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Mario Sanino, Valentino Calandrelli, Giampaolo Ruggiero, Lorenzo Aureli, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, v.le Parioli, 180;
Federazione Italiana Autotrasporti Professionali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Claudio Di Tonno, Matteo Di Tonno, con domicilio eletto presso Maria Assunta Tucci in Roma, via Elvia Recina, 19; 
per l'annullamento
con il ricorso principale
- del provvedimento dell’Osservatorio sulle attività di autotrasporto del
2.11.2011 (“Costi di esercizio dell’impresa di autotrasporto per conto di terzi – costi minimi di esercizio che garantiscano il rispetto dei parametri di sicurezza (Articolo 83 bis, commi 1 e 2, commi 4 e 4-bis della legge 6 agosto 2008, n. 133 di conversione del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 e s.m.i.)”);
- del decreto del Direttore Generale del Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti del 22.11.2011, prot. n. 234-22/11/2011;
- della determinazione dell’Osservatorio sulle attività di autotrasporto del
14.12.2011;
- della successiva determinazione in data 21.12.2012;
con i motivi aggiunti
- della determina dell’Osservatorio in data 13 giugno 2012 e del provvedimento “Pubblicazione periodica dei costi di esercizio dell’impresa di autotrasporto per conto di terzi e dei costi minimi di esercizio che garantiscano il rispetto dei parametri di sicurezza” del 10 luglio 2012, aggiornata ai dati di giugno 2012.
- di ogni altro atto collegato o connesso, ivi compresi i verbali delle riunioni dell’osservatorio in data 8 e 15 maggio 2012, 6, 12 e 13 giugno 2012, 10 luglio 2012.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Ministero dello Sviluppo Economico;
Visti gli atti di intervento;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 novembre 2012 il dott. Giampiero Lo Presti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Visto l'art. 36, co. 2, cod. proc. amm.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
L’Autorità ricorrente, con l’atto di gravame principale ed i successivi motivi aggiunti, ha impugnato davanti a questo Tribunale, ai sensi dell’art. 21 bis della legge n. 287/90, tutti gli atti, meglio indicati in epigrafe, adottati dall’Osservatorio sulle attività di autotrasporto e dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti in attuazione della disposizione di cui all’art. 83 bis del d.l. n. 112 del 2008, come convertito in legge n. 133 del 2008, e successive modifiche ed integrazioni, introducendo in via preliminare questioni di incompatibilità della norma citata con la normativa europea e di legittimità costituzionale.
Deduce infatti la ricorrente, dopo avere ricostruito la disciplina normativa italiana in materia di autotrasporto su strada, la illegittimità dell'art. 83 bis del decreto legge n. 112 del 2008 e s.m.i. per violazione dei principi del diritto dell'UE in materia di concorrenza edi libera circolazione delle imprese, violazione degli articoli 49 e 56 TFUE in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, nonché dell'art. 96 TFUE, violazione dell'art. 4(3) TUE e dell'art. 101 TFUE.
Evidenzia nello specifico la ricorrente come la scelta del legislatore di determinazione coattiva dei costi minimi di esercizio, con fissazione di un sistema di tariffe unitario, si ponga in contrasto con il disposto degli artt. 4 e 101 del TFEU, considerato che se la fissazione di prezzi minimi per determinati beni, è una misura senz'altro idonea ad arrecare pregiudizio alle relazioniconcorrenziali, impedendo agli operatori di trarre vantaggio da prezzi di costo inferiori per proporre prezzi più allettanti e, dunque, ostacolando l'ingresso sul mercato di nuovi operatori, analogamente anche la fissazione di tariffe minime per i servizi costituisce una restrizione della concorrenza che lede il diritto alla libera prestazione dei servizi stessi ed il diritto di stabilimento riconosciuto a tutti i cittadini europei, in quanto, pur applicandosi indistintamente, di fatto impedisce o rende più difficile le attività di prestazione di servizi o l'esercizio del diritto di stabilimento del prestatore che sia cittadino di un altro Stato membro.
La denunciata incompatibilità tra il dettato dell’art. 83 bis, commi citati, e la normativa europea non potrebbe, a dire dell’Autorità ricorrente, essere superata neanche invocando la rispondenza delle restrizioni introdotte alla libertà di concorrenza con un interesse pubblico generale – la sicurezza stradale – rispetto al quale il sistema delle tariffe mensili imposte non si porrebbe come misura idonea e proporzionata al fine perseguito.
La fissazione di minimi tariffari, infatti, non garantirebbe un effettivo miglioramento degli standards di sicurezza; obiettivo invece utilmente perseguibile soltanto mediante il ricorso a diverse misure vincolanti sulle modalità di espletamento del servizio,che incidano sulle voci da cui dipende la sicurezza e ne verifichino il rispetto.
Il sistema di determinazione dei costi minimi della sicurezza, dunque, non risponderebbe a criteri predeterminati direttamente e proporzionalmente correlati alla esigenza di salvaguardia della sicurezza stradale.
La ricorrente ha altresì proposto questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 83 bis d.l. n. 112/2008 per violazione degli artt. 3 e 41 Cost., 11 e 117 comma primo Cost., nonché per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità , ritenendo la fissazione dei costi minimi ingiustificata in relazione all’esigenza di tutela della sicurezza, comunque inadeguata sul piano funzionale, discriminatoria e lesiva della libertà negoziale.
Ha infine dedotto l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, sia per invalidità derivata sia per vizi propri.
Le Amministrazioni intimate e gli intervenuti ad opponendum hanno insistito per il rigetto del gravame, evidenziando come la norma richiamata si inserisca in un sistema normativo di liberalizzazione regolata del settore dell’autotrasporto, rispondendo all’esigenza prioritaria di garanzia della sicurezza nella circolazione stradale.
All’udienza del 15 novembre 2012 la causa è stata assegnata in decisione, ai fini della definitiva pronuncia di merito, e decisa nelle camere di consiglio dei giorni 15 novembre 2012 e 17 gennaio 2013.
1. In via preliminare vanno esaminate le questioni di inammissibilità del ricorso principale e dei motivi aggiunti sollevate da Confartigianato trasporti.
Si assume che il ricorso principale sia inammissibile , per sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento degli atti impugnati, considerato che detti atti sarebbero stati revocati e sostituiti con la delibera del 13 giugno 2012; il ricorso per motivi aggiunti, con il quale l’impugnazione è stata estesa proprio a detta delibera, sarebbe inammissibile in quanto non preceduto dalla procedura prevista dall’art. 21 bis della legge n. 287/90, comma secondo, secondo il quale l’Autorità “emette entro sessanta giorni un parere motivato, nel quale indica gli specifici profili delle violazioni riscontrate. Se la pubblica amministrazione non si conforma nei sessanta giorni successivi alla comunicazione del parere, l’Autorità può presentare, tramite l’Avvocatura dello Stato, il ricorso, entro i successivi trenta giorni”.
La tesi non può essere condivisa dal Collegio.
La questione rimanda, innanzi tutto, al tema generale dei presupposti di procedibilità o di ammissibilità del ricorso proposto dall’Autorità ai sensi dell’art. 21 bis citato, e al problema più specifico della configurabilità del parere reso in via preliminare dall’Autorità come presupposto necessario per la procedibilità e l’ammissibilità del ricorso giurisdizionale.
L’attribuzione della legittimazione a ricorrere direttamente in capo all’Autorità, in seno alla previsione di cui al primo comma dell’art. 21 bis, e prima che, soltanto al secondo comma, venga disciplinato lo speciale procedimento di interlocuzione con l’Amministrazione interessata, e nel quale si inserisce il parere preliminare dell’Autorità, potrebbe essere letta infatti come possibilità generale dell’Autorità di proposizione diretta del ricorso, senza necessità di previa esplicazione del procedimento di cui al secondo comma come presupposto di procedibilità o ammissibilità dell’iniziativa giurisdizionale.
L’opzione interpretativa, fondata sull’articolazione normativa della disposizione nelle due previsioni di cui al primo e al secondo comma dell’art. 21 bis, e per la quale dunque il secondo comma introdurrebbe, rispetto alla principale previsione del primo comma di immediata impugnabilità degli atti, solo una possibilità alternativa e secondaria di procedere, rimessa al prudente apprezzamento della stessa Autorità, pur garantendo una piena flessibilità degli strumenti di azione e, quindi, anche una maggiore duttilità delle iniziative riservate all’AGCOM, tale da assicurare risposte differenziate anche a seconda della maggiore o minore complessità delle questioni o dell’urgenza del ricorso alla tutela giurisdizionale, non sembra coerente con l’effettiva intenzione del legislatore, quale è possibile evincere da una doppia considerazione.
In primo luogo non vi sono argomenti letterali tali per ritenere che la norma, letta nel suo complessivo insieme, abbia voluto introdurre e disciplinare due modalità alternative del procedere, piuttosto che limitarsi a regolamentare nel secondo e nel terzo comma le modalità con cui il ricorso di cui al primo comma debba essere proposto.
La norma infatti, secondo una piana e ragionevole considerazione del suo dato letterale, disciplina l’esercizio della legittimazione al ricorso dell’AGCOM avverso atti amministrativi che assuma essere distorsivi della concorrenza, prevedendo al primo comma la stessa attribuzione della legittimazione, specificando al secondo comma, in rapporto di perfetta coincidenza oggettiva con il primo comma, le modalità di proposizione del ricorso e dettando, al terzo comma, le regole processuali applicabili.
In secondo luogo, sembra al Collegio che la scelta normativa di condizionare la proposizione del ricorso giurisdizionale al previo espletamento della procedura di cui al comma secondo sia espressione della volontà di assicurare un momento di interlocuzione preventiva dell’Autorità con l’amministrazione emanante l’atto ritenuto anticoncorrenziale, allo scopo di stimolare uno spontaneo adeguamento della fattispecie ai principi in materia di libertà di concorrenza.
In altri termini, la configurazione della legittimazione dell’Autorità al ricorso giurisdizionale si pone, nell’attuale dato normativo, come extrema ratio, anche in considerazione del fatto che dà luogo ad un giudizio fra pubbliche amministrazioni; privilegiando piuttosto il legislatore modalità preventive di perseguimento dell’obiettivo di garanzia della libertà concorrenziale riconducibili, nella specie, al rapporto di leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni.
Del resto, la previsione di un termine speciale dimezzato , di trenta giorni, per la proposizione del ricorso – come anche l’applicazione di un rito processuale speciale accelerato - si giustifica proprio in considerazione del fatto che l’iniziativa giurisdizionale è preceduta dalla fase procedimentale di interlocuzione con l’amministrazione emanante l’atto oggetto di contestazione.
Ciò chiarito, si pone però il problema del regime dei motivi aggiunti, in assenza di specifica previsione normativa.
E tuttavia, ove si consideri che con il ricorso per motivi aggiunti sono impugnabili atti che si pongono in rapporto di sicura connessione oggettiva e soggettiva con quello oggetto del gravame principale ( cfr. tra le tante, Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2003 n. 7632), e quindi, in sostanza, atti che si inseriscono nella medesima sequenza procedimentale di quello già gravato, non vi è motivo di ritenere che anche la proposizione dei motivi aggiunti debba essere preceduta dalla reiterazione del procedimento interlocutorio di cui al secondo comma dell’art. 21 bis citato.
Se infatti la caratterizzazione funzionale di quel procedimento è quella di consentire una previa interlocuzione sulle possibili lesioni dei principi concorrenziali implicati dall’azione amministrativa esaminata, con fissazione nel parere dell’Autorità degli specifici profili delle violazioni contestate, allorquando l’atto successivo o consequenziale si ponga in linea di continuità con quello originariamente gravato, inserendosi nella medesima sequenza procedimentale, ed evidenziando analoghi profili di lesività rispetto all’interesse tutelato dall’AGCOM, la reiterazione del preventivo modulo procedimentale potrebbe risultare inutile ed antieconomica.
Va osservato, peraltro, che lo strumento del ricorso per motivi aggiunti, nel processo amministrativo, risponde a finalità di economicità, celerità e non aggravamento per un verso, e per altro verso alla prioritaria esigenza di garantire un simultaneus processus per la definizione di fattispecie o vicende sostanzialmente unitarie o strettamente connesse. Finalità che si evidenziano anche , e con maggior forza, nei riti speciali , alla cui disciplina l’art. 21 bis terzo comma rimanda espressamente.
Il richiamo di cui al terzo comma citato ai riti speciali vale, quindi,a ribadire la priorità, anche nel procedimento de quo, delle esigenze di celerità e buon funzionamento; evidenziando uno dei principi ispiratori della normativa in esame alla luce dei quali l’interprete è tenuto a risolvere anche eventuali dubbi ermeneutici.
L’eccezione proposta da Confartigianato trasporti va, alla luce di tutto quanto esposto, disattesa.
2. Sotto ulteriore profilo, poi, Conftrasporto rileva la cessazione della materia del contendere o, comunque, la sopravvenuta carenza di interesse all’annullamento degli atti impugnati in via principale , essendo stati i medesimi revocati e sostituiti dalla determinazione dell’Osservatorio del 13 giugno 2012, ed eccepisce quindi l’improcedibilità del ricorso principale.
L’eccezione va disattesa.
Premesso, infatti, che l’atto sopravvenuto è stato impugnato con motivi aggiunti, osserva il Collegio che, anche a seguito della nuova delibera di determinazione dei costi minimi, permane l’interesse della ricorrente all’annullamento anche degli atti pregressi, considerato che il regime dei costi minimi rimane fissato, per il periodo di tempo fino all’adozione della nuova delibera, dalle determinazioni di cui agli atti pregressi, che hanno regolato in maniera vincolante l’esercizio dell’autonomia negoziale, e la stipulazione dei contratti, nell’arco temporale della loro efficacia e fino al momento della loro revoca e sostituzione.
Peraltro, anche il provvedimento del 13 giugno 2012 , di reiterazione di un regime di costi minimi in attuazione dell’art. 83 bis, continua ad evidenziare, secondo la prospettazione dei motivi aggiunti, le medesime violazioni dei principi a tutela della libertà di concorrenza contestate dall’Autorità ricorrente con il ricorso principale nei confronti degli atti pregressi; cosicchè in nessun modo può ritenersi cessata la materia del contendere a seguito dell’adozione della delibera del 13 giugno 2012.
2.1 Viene poi eccepita la decadenza dell’Autorità dal potere di azione giurisdizionale, per effetto della tardività del parere rispetto al termine di sessanta giorni previsto dal secondo comma dell’art. 21 bis.
Si assume in particolare che detto termine decorra dal momento in cui può essere ritenuta certa la conoscenza da parte dell’Antitrust di situazioni suscettibili di violazione dei principi concorrenziali e che, nel caso di specie, detta conoscenza può essere ricondotta quanto meno al tempo delle segnalazioni effettuate dall’Autorità al Ministero Infrastrutture e Trasporti e al Parlamento sulle medesime questioni sollevate poi con il parere (luglio 2010 e dicembre 2011), con conseguente tardività del parere emesso in data 5 marzo 2012.
L’assunto non può essere condiviso dal Collegio.
Dalla formulazione letterale della norma di cui al secondo comma dell’art. 21 bis emerge infatti con chiarezza che il decorso del termine di sessanta giorni per l’emissione del parere è riferito alla conoscenza dello specifico atto, ritenuto anticoncorrenziale, e che sarà oggetto dell’eventuale ricorso giurisdizionale all’esito della fase precontenziosa.
Inoltre, secondo i principi generali del processo amministrativo, la parte che eccepisce la tardività deve fornire quanto meno un principio di prova in ordine alla data della piena conoscenza.
Nel caso di specie Conftrasporto si limita a riferire in maniera generica di segnalazioni dell’Autorità al Ministero Infrastrutture e Trasporti e al Parlamento sulle medesime questioni sollevate poi con il parere nei mesi di luglio 2010 e dicembre 2011, mentre l’Autorità ricorrente allega di avere avuto conoscenza piena degli atti dell’Osservatorio successivamente impugnati, soltanto a seguito della notificazione di ricorsi presentati da soggetti privati contro i medesimi atti, avvenuta in data 4 gennaio 2012, con conseguente tempestività, rispetto al termine dei sessanta giorni, del parere emesso in data 5 marzo 2012.
In disparte la superiore considerazione, il Collegio osserva peraltro, per quanto interessa ai fini del presente giudizio, che, pur costituendo l’espletamento della fase precontenziosa condizione per l’esercizio dell’azione giurisdizionale, non sembra potersi ritenere, in mancanza di espressa previsione normativa in tal senso, che l’eventuale tardività del parere rispetto alla scadenza del termine di sessanta giorni previsto possa implicare la decadenza del potere di azione e la conseguente inammissibilità del ricorso giurisdizionale proposto direttamente avverso l’atto anticoncorrenziale.
Ciò anche in quanto oggetto del giudizio, come appresso si chiarirà meglio, è in maniera diretta l’atto ritenuto anticoncorrenziale.
3. Federazione Italiana Autotrasportatori Professionali FIAP, con l’atto di intervento ad opponendum notificato in data 28 giugno 2012, ha poi eccepito l’inammissibilità del ricorso principale per carenza di interesse, in ragione della mancata impugnazione, e del conseguente consolidamento, della nota in data 21 marzo 2012 con la quale il Ministero Infrastrutture e Trasporti ha ritenuto di non potere aderire e di non volersi conformare alle prescrizioni di cui al parere dell’Autorità del 5 marzo 2012.
L’onere di impugnazione di detta determinazione, ai fini della persistenza di un interesse concreto ed attuale all’annullamento dell’atto impugnato in via principale, e ritenuto anticoncorrenziale, deriverebbe altresì, secondo l’interveniente FIAP, dallo stesso disposto di cui all’art. 21 bis.
L’eccezione rimanda alla questione più generale relativa all’individuazione dell’oggetto del ricorso dell’Autorità ex art. 21 bis, trattandosi preliminarmente di stabilire se l’iniziativa giurisdizionale debba essere indirizzata contro l’atto originario, e considerato dall’Autorità lesivo di principi in materia di libertà di concorrenza e buon funzionamento del mercato, ovvero proprio contro l’atto con il quale l’Amministrazione decida di non conformarsi al parere interlocutorio ( e , quindi, in caso di inerzia, avverso il silenzio).
Osserva in proposito il Collegio che il primo comma dell’art. 21 bis stabilisce in maniera espressa che il ricorso dell’AGCM è proposto avverso “ gli atti amministrativi generali, i regolamenti e i provvedimenti di qualsiasi pubblica amministrazione che violino le norme a tutela della concorrenza e del mercato”.
La norma, già secondo il suo dato letterale, sembra indicare chiaramente che l’atto impugnabile è l’atto ritenuto lesivo della concorrenza, e non l’atto successivo con il quale l’Amministrazione decida di non conformarsi al parere interlocutorio dell’Autorità; sembra quindi escludere la sussistenza di un onere di contestazione generalizzato degli ulteriori atti della fase precontenziosa.
Il secondo comma, che fa riferimento al parere e concede all’Amministrazione un tempo per adeguarsi ad esso, non individua l’oggetto del giudizio, limitandosi, come sopra menzionato, a dettare le regole procedimentali per l’esercizio del potere di azione in sede giurisdizionale.
La conclusione resta avvalorata dalla considerazione dell’elemento funzionale della disposizione.
Come già accennato, il parere dell’Autorità, che si inserisce nella fase preliminare in termini di necessarietà, venendo a costituire un presupposto indefettibile per l’azione giurisdizionale, mira solo a consentire un momento di interlocuzione preventiva dell’Autorità con l’amministrazione emanante l’atto ritenuto anticoncorrenziale, allo scopo di stimolare uno spontaneo adeguamento della fattispecie ai principi in materia di libertà di concorrenza in esito ad un confronto dialettico che costituisca espressione del principio di leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni.
Le determinazioni che l’Amministrazione viene ad assumere, a seguito di detta interlocuzione, sia nel senso della conformazione al parere (con conseguente ritiro o modifica dell’atto), sia nel senso della conferma della soluzione originaria, non costituiscono estrinsecazione di un potere di autotutela strictu sensu inteso, non implicando alcun apprezzamento di natura tipicamente discrezionale orientato secondo i parametri tradizionali dell’autotutela.
In particolare, ove l’Amministrazione ravvisi l’effettività o la fondatezza dei rilievi di cui al parere dell’Autorità, ha l’obbligo di conformare la propria azione alla salvaguardia dei principi in materia di concorrenza, non potendosi certo ipotizzare che, secondo i parametri propri dell’autotutela, rifiuti di modificare o ritirare l’atto lesivo della libertà di concorrenza solo per la mancanza dei presupposti dell’annullamento d’ufficio.
L’Amministrazione non potrà, quindi, pur riconoscendo la violazione delle norme a tutela della concorrenza, decidere di non rimuovere o di non modificare l’atto originariamente adottato in ragione dell’asserito difetto dei presupposti di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/90.
Ciò in ossequio alla primazia della tutela della libertà di concorrenza, espressione di valori costituzionali e comunitari e strumento di attuazione del benessere sociale.
Ne consegue che anche le determinazioni adottate dall’Amministrazione in esito al parere reso dall’Autorità nella fase precontenziosa rimangono attratte al momento dell’interlocuzione di cui al secondo comma dell’art. 21 bis, senza assumere una valenza provvedimentale esterna come atti di autotutela; e non può quindi configurarsi un onere di impugnativa specifica da parte dell’Autorità, una volta che questa decida di esercitare l’iniziativa giurisdizionale ex comma 1 avverso l’atto ritenuto anticoncorrenziale.
4. Sotto diverso profilo, poi, si contesta la tardività del ricorso principale rispetto alla scadenza del termine di trenta giorni, fissato dal comma 2 dell’art. 21 bis citato, assumendosi che, nel caso in cui intervenga una determinazione negativa dell’Amministrazione, rispetto alle indicazioni del parere reso dall’Autorità, prima della scadenza del termine di sessanta giorni all’uopo previsto, il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso inizierebbe a decorrere già dalla data di comunicazione della predetta determinazione anziché dalla data di scadenza dei sessanta giorni.
La tesi non è condivisa dal Collegio in considerazione del fatto che, come sopra ricostruito, il ricorso non ha ad oggetto l’atto adottato ( o il silenzio tenuto) dall’Amministrazione in esito al parere, in quanto esso non costituisce estrinsecazione di un potere di riesame.
Tutta la fase precontenziosa prevista dal comma 2 ha una finalità di interlocuzione , preliminare all’eventuale contenzioso, e ispirata al principio di leale collaborazione, tendente a consentire l’acquisizione e la ponderazione, da parte delle varie amministrazioni procedenti, degli elementi di cognizione espressi dall’Autorità nell’esercizio di una competenza tecnica specialistica e nell’ottica della salvaguardia del bene primario della concorrenza.
La scansione temporale di detto procedimento risponde , nel suo complesso, al fine di garantire una sollecita conformazione dell’azione amministrativa alla preminente esigenza di garanzia e tutela dei principi concorrenziali.
In particolare, la determinazione adottata dall’Amministrazione, entro il termine di sessanta giorni successivi al parere non assume valenza provvedimentale autonoma, e non comporta la consumazione di un potere ( nello specifico di un potere di autotutela e riesame). Conseguentemente, è ben possibile che, anche a seguito dell’adozione di una determinazione negativa, nel termine di sessanta giorni possano intervenire ulteriori diverse determinazioni della stessa amministrazione, all’interno di un processo di confronto dialettico con l’Autorità.
Per tale ragione il Collegio ritiene che il termine di trenta giorni decorra soltanto dalla scadenza del termine di sessanta giorni che segna la conclusione della fase precontenziosa.
5. Ulteriormente, viene denunciata l’inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti per essere l’Autorità, in ambedue i casi, rappresentata e difesa da un patrocinatore privato in violazione dell’obbligo, previsto dall’art. 21 bis cit., di ricorso all’avvocatura dello Stato per l’esercizio dello specifico potere di azione previsto dalla stessa norma.
Osserva sul punto il Collegio che l’obbligo di patrocinio erariale previsto dall’art. 21 bis in capo all’Autorità antitrust, per la proposizione dello speciale ricorso in questione, si pone in rapporto di conformità con la previsione di cui all’art. 1 r.d. n. 1611/1933 sul patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura per tutte le amministrazioni dello Stato, fra le quali consolidata giurisprudenza annovera anche le Autorità indipendenti.
La previsione specifica, rispetto al precetto generale menzionato, sembra valere a concretizzare il precetto di cui all’art. 43 del r.d. n. 1611/1933 in fattispecie in cui la situazione di conflitto, prevista come eccezionale dallo stesso art. 43, tende ad assumere carattere di ordinarietà: la previsione dell’obbligo specifico dell’Autorità di ricorrere al patrocinio erariale, nonostante l’azione de qua venga normalmente esercitata nei confronti di amministrazione statali anch’esse soggette all’obbligo generale di rappresentanza e difesa in giudizio per mezzo dell’avvocatura dello stato, implica cioè che, in simili fattispecie, di potenziale conflitto di interessi, l’onere del ricorso al patrocinatore privato per la soluzione del conflitto gravi di norma in capo all’amministrazione resistente.
Tuttavia, nel caso di specie, al momento dell’esercizio dell’azione giurisdizionale da parte dell’Autorità, l’atto in questa sede impugnato era già stato impugnato da soggetti privati e, nel relativo giudizio (RG n. 48/2012) , l’Amministrazione intimata era costituita per mezzo dell’Avvocatura dello Stato. Conseguentemente la situazione di conflitto , in deroga alla regola generale, non poteva non implicare la necessarietà del ricorso da parte dell’Autorità al patrocinatore privato.
L’eccezione di inammissibilità va dunque disattesa.
6. Viene infine eccepita l'illegittimità costituzionale dell’art. 21 bisdella legge n. 287/1990 per violazione degli artt. 24, 103,113 e 95 Cost.
La disposizione introdurrebbe, secondo gli intervenienti, una legittimazione al ricorso dell’Autorità Antitrust del tutto disancorata da "interessi strutturalmente propri e fondamentalmente privati'', la sussistenza dei quali soltanto consentirebbe, secondi i principi generali, l'accesso alla giurisdizione amministrativa. Il ricorso, come delineato dalla norma, finirebbe con l’atteggiarsi come una sorta di "azione d'ufficio", estranea alle previsioni costituzionali ed in violazione del principio di separazione dei poteri.
La tesi non è condivisa dal Collegio e il timore di illegittimità costituzionale della norma in esame è destituito di fondamento alla luce delle considerazioni che seguono.
La disposizione, lungi dall’introdurre una ipotesi eccezionale di giurisdizione amministrativa di diritto oggettivo, in cui l’azione giurisdizionale mira alla tutela di un interesse generale e non di situazioni giuridiche soggettive di carattere individuale, che porrebbe problemi di compatibilità specie con l’art 103 Cost. ( secondo il quale gli organi della giustizia amministrativa hanno giurisdizione in materia di interessi legittimi e, nei soli casi previsti dalla legge, di diritti soggettivi), delinea piuttosto un ordinario potere di azione, riconducibile alla giurisdizione a tutela di situazioni giuridiche individuali qualificate e differenziate, benché soggettivamente riferite ad una autorità pubblica.
L’interesse sostanziale, alla cui tutela l’azione prevista dall’art. 21 bis in capo all’Autorità Antitrust è finalizzata, assume i connotati dell’interesse ad un bene della vita: il corretto funzionamento del mercato, come luogo nel quale trova esplicazione la libertà di iniziativa economica privata, intesa come “pretesa di autoaffermazione economica della persona attraverso l’esercizio della impresa” (cfr. Cass. Sez. un. 4.2.2005 n. 2207), tutelato a livello comunitario e costituzionale, costituisce il riferimento oggettivo di una pretesa, giuridicamente rilevante e meritevole di salvaguardia, ad un bene sostanziale.
Un bene della vita, dunque, che non si risolve nel mero interesse generale al rispetto delle regole ed alla legalità dell’azione amministrativa ( rispetto ai parametri di legge che regolano il funzionamento del libero mercato), ma che assume una specifica dimensione sostanziale , che si concretizza e si specifica nelle diverse fattispecie nelle quali trovano applicazione le norme a tutela del buon funzionamento del libero mercato.
Le norme sulla libertà di concorrenza disciplinano fattispecie nelle quali si muovono interessi individuali, concreti e qualificati, e quindi fondano situazioni giuridiche soggettive in capo a tutti coloro che agiscono sul mercato, imprese e consumatori, la cui violazione consente l’attivazione dei rimedi giurisdizionali ( ivi compresi quelli di tipo risarcitorio).
L’Autorità AGCM , per la sua stessa caratterizzazione normativa, diventa soggetto primario della salvaguardia dell’interesse al corretto funzionamento del mercato: essa è per legge l’affidataria dell’interesse alla concorrenza, in quanto effettivamente portatrice di un interesse sostanziale protetto dall’ordinamento (nella specie, nella forma dell’interesse legittimo), che si soggettivizza in capo ad essa come posizione differenziata rispetto a quella degli altri attori del libero mercato.
E la titolarità di detto interesse ad un bene della vita dipende dalla scelta del legislatore di affidamento alla stessa Autorità dei compiti di tutela del corretto funzionamento del mercato.
L’interesse di cui l’Autorità è portatrice è interesse pubblico, benché individuale e differenziato rispetto all’interesse generale o all’interesse diffuso in maniera indistinta sulla collettività: e si specifica come interesse pubblico alla promozione della concorrenza e alla garanzia del corretto esplicarsi delle dinamiche competitive, come condizione e strumento per il benessere sociale.
Lo stesso interesse rispetto al medesimo bene della vita, dunque, viene ad atteggiarsi come pubblico o privato, a seconda del soggetto che ne è portatore nelle diverse fattispecie in cui viene in rilievo l’esigenza primaria di garanzia della concorrenza; e proprio detto interesse, che è pubblico nella tutela apprestata dalle norme che fissano i poteri e le attribuzioni dell’AGCM, vale a fondare la legittimazione processuale di cui all’art. 21 bis citato.
Il nuovo potere dell’AGCM, più che come potere di azione nell’interesse generale della legge in uno specifico settore, effettivamente di difficile riconduzione all’interesse legittimo, diventa così, per scelta del legislatore, uno degli strumenti volti a garantire l’attuazione dell’interesse pubblico, ma pur sempre particolare e differenziato, alla migliore attuazione del valore “concorrenza”, di cui è specifica affidataria l’Autorità.
E ciò anche in possibile rapporto di contrapposizione o diversità con gli ulteriori interessi, pubblici o privati, di altri soggetti che operano sul mercato, come interesse comunque leso dalla mera violazione delle norme a tutela della libertà di concorrenza, e dunque direttamente soddisfatto dal ripristino della legalità violata.
Un interesse che, proprio perché comunque leso per la mera violazione delle norme sulla concorrenza, pone un’esigenza di tutela, e di attivazione dei rimedi anche giurisdizionali di tutela, pure quando, e anche sebbene, la lesione del mercato non si traduca in una lesione particolare di posizioni giuridiche soggettive di privati ( imprese, consumatori, associazioni di categoria).
Proprio la peculiarità della dimensione ontologica del bene della vita “concorrenza”, e la primazia della sua rilevanza nel quadro dei valori costituzionali e comunitari, impone che la”giustiziabilità” dell’interesse al libero mercato sia garantita anche quando la violazione delle norme sulla concorrenza non evidenzi una lesione concreta di interessi di operatori privati e non sussistano quindi posizioni giuridiche soggettive private legittimanti l’attivazione dei rimedi di reazione nell’ordinamento.
La scelta del legislatore di introduzione di un potere di azione giurisdizionale dell’Autorità a tutela di tale interesse, pubblico ma diverso dall’interesse generale al rispetto della legge affidato al potere giurisdizionale, è dunque una scelta di stretto diritto positivo, che non è condizionata dal vigente quadro costituzionale; ma che, anzi, si inserisce nell’ambito degli strumenti di garanzia di effettività del corrispondente valore costituzionale, garantendone una tutela completa.
Una scelta che completa la gamma delle attribuzioni e dei poteri che il legislatore attribuisce all’Autorità AGCM individuata come soggetto, altamente qualificato, portatore del bene della vita (la concorrenza, appunto) e quindi titolare del relativo interesse pubblico, soggettivo e differenziato rispetto all’interesse generale, da un parte, e dall’altra rispetto agli interessi particolari dei soggetti privati che possono, nelle singole fattispecie in cui venga in gioco l’attuazione della concorrenza, trovarsi in una situazione differenziata rispetto alla generalità dei consociati.
Tale forma di speciale legittimazione costituisce, per un verso, il completamento del potere già riconosciuto all’AGCM dall'art. 15 del Reg. CE n. 3/2001; per altro verso, la trasposizione interna di un procedimento previsto dalla normativa dell’Unione quale il ricorso per inadempimento promosso dalla Commissione europea dinanzi alla Corte di Giustizia contro lo Stato che violi gli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione (art. 258 TFUE).
Ed invero, l'art. 15, comma 3, del Reg. (CE) n. 1/2003 prevedeva già che le Autorità degli Stati membri potessero intervenire in un giudizio pendente dinanzi alle giurisdizioni nazionali, presentando osservazioni scritte o, previa autorizzazione del giudice, anche orali, in applicazione degli art. 101 e 102 TFUE.
L'art. 21-bis , dunque, implementa il ruolo dell'AGCM, trasformandola da mera interveniente che svolge osservazioni a parte processuale che agisce in giudizio, per poter così assicurare la piena effettività delle regole preordinate alla tutela della concorrenza.
Il quadro legislativo e giurisprudenziale offre, del resto, sempre più frequenti esempi di aperture alla legittimazione di soggetti pubblici e di associazioni ad agire a tutela di interessi superindividuali.
Si pensi in primo luogo alle due ipotesi di legittimazione delle associazioni di categoria ad agire a tutela degli interessi collettivi e degli interessi diffusi previste dall’art. 4 della legge n. 180 del 2011 ( legittimazione delle associazioni rappresentate in almeno cinque camere di commercio e delle loro articolazioni territoriali e di categoria ad agire in giudizio sia a tutela di interessi relativi alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale, sia a tutela di interessi omogenei relativi solo ad alcuni soggetti; legittimazione delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale, regionale e provinciale ad impugnare gli atti amministrativi lesivi degli interessi diffusi).
Una significativa anticipazione della progressiva apertura della legittimazione ad agire era però rinvenibile già nel d. lgs. n. 198 del 2009, che, in attuazione dell’art. 4 della legge 4 marzo 2009 n. 15, in materia di ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, aveva riconosciuto la possibilità di agire in giudizio per «ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio», oltre che ai singoli titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori, alle “associazioni o comitati a tutela degli interessi dei propri associati”.
In questa stessa prospettiva, la giurisprudenza amministrativa si era già spinta a riconoscere la configurabilità di una legittimazione ad agire correlata «per un verso, all’esistenza di interessi giuridicamente rilevanti e omogenei per una pluralità di utenti e consumatori, per altro verso, alla riferibilità di tali interessi ad un soggetto titolare, ed infine, all’esistenza di una lesione diretta, concreta ed attuale dei propri interessi» riconoscendo, per esempio, all’Ente locale territoriale, ente esponenziale e rappresentativo degli interessi della propria comunità nelle materie di competenza istituzionale, una più ampia legittimazione per «altre materie non direttamente conferitegli dalla legge». ( cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 dicembre 2010, n. 8683).
7. Conclusivamente, dunque, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21 bis può essere dichiarata manifestamente infondata, considerata, con valore assorbente, la necessaria correlazione dei poteri giurisdizionali riconosciuti dall’art. 103 al Consiglio di Stato e agli altri organi di giustizia amministrativa con il valore primario che l’ordinamento costituzionale e dell’Unione riconoscono alla concorrenza, cui si correla la responsabilità dello Stato per la violazione delle norme UE: in questo quadro, infatti, si colloca la coerente attribuzione ad un organo pubblico come l’AGCM del potere di agire anche in sede giurisdizionale in caso di violazione delle norme che tutelano tale valore.
8. Definite tutte le questioni preliminari, nel merito, poi, il Tribunale, lette le osservazioni delle parti, ed aderendo alla domanda proposta in tal senso dalla stessa ricorrente, ritiene di disporre ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia, avente ad oggetto l’interpretazione delle norme del Trattato in materia di libertà di concorrenza e di libera circolazione delle imprese, e in particolare degli artt. 4 (3) TUE ( Trattato Unione Europea) e 101 TFUE, nonché degli artt. 49 e 56 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea), in materia di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, e dell’art. 96 TFUE, per chiarire se le richiamate disposizioni siano compatibili con il regime di fissazione dei costi minimi di esercizio nel settore dell’autotrasporto, introdotto dal legislatore italiano con l’art. 83 bis del d.l. n. 112 del 2008, come convertito in legge n. 133 del 2008, e successive modifiche ed integrazioni, e attuato con i provvedimenti impugnati in questa sede: ed a questo provvede con separata ordinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della superiore questione , con la quale dispone la sospensione del presente giudizio.
9. Resta salva la determinazione di ogni ulteriore questione di merito e sulle spese del giudizio che viene rimessa alla sentenza definitiva.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter), non definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, rigetta le eccezioni preliminari indicate in parte motiva.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 15 novembre 2012 e 17 gennaio 2013, con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Daniele, Presidente
Giampiero Lo Presti, Consigliere, Estensore
Donatella Scala, Consigliere


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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