sabato 20 luglio 2013

EDILIZIA: abusi e distinzione tra i vari interventi in materia edilizia (T.A.R. Piemonte, Sez. I, sentenza 12 luglio 2013 n. 889)


EDILIZIA: 
abusi e distinzione tra i vari interventi in materia edilizia  (T.A.R. Piemonte, Sez. I, sentenza 12 luglio 2013 n. 889)


Massima

1. Per qualificare la natura degli abusi - nell’alternativa tra le due fattispecie del “risanamento” e della “ristrutturazione” - occorre premettere che gli interventi di risanamento conservativo, per costante giurisprudenza, sono preordinati alla conservazione dell'organismo edilizio e si caratterizzano essenzialmente per il mantenimento dei preesistenti elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio. Viceversa, nella ristrutturazione edilizia le opere sono funzionali non alla mera conservazione, ma all’integrale rinnovo delle strutture edilizie, potendo anche portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente.
2.  Ciò posto in linea generale, secondo l'orientamento della giurisprudenza maggioritaria, gli interventi edilizi che alterano, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportano l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia.
Ciò in quanto, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che siano modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi, ovvero l'ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d'uso esistente.
3.  Nel caso in esame la creazione di una nuova unità immobiliare, comportando l'inserimento di ulteriori impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, risulta incompatibile con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo che presuppongono, come detto, la realizzazione di lavori che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
4.  Ad analoghe conclusioni si perviene assumendo quale elemento discriminante il dato sostanziale dell’incremento del complessivo carico urbanistico, potenzialmente conseguente ad interventi di ristrutturazione, ed invece assente nell’ipotesi di restauro, risanamento o manutenzione (cfr. Cons. St. sez. IV, 19 novembre 2012, n. 5818).
5.  Correttamente quindi l’amministrazione comunale ha respinto l’istanza di sanatoria ritenendo che l’intervento in oggetto - integrando un’ipotesi di ristrutturazione edilizia (e non di semplice risanamento), non ammesso dall’art. 49 delle N.T.A. vigenti al momento dell’abuso (che consentivano solo interventi di manutenzione, risanamento e restauro) - fosse escluso dal regime di cui all’art. 13 L. 47/1985.


Sentenza per esteso

INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 893 del 2000, proposto da:
Colletta Quirino, rappresentato e difeso dagli avv.ti Riccardo Ludogoroff e Maria Teresa Fanzini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, corso Montevecchio, 50; 
contro
Comune La Loggia, rappresentato e difeso dall'avv. Giorgio Santilli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Torino, via Paolo Sacchi, 44; 
nei confronti di
Responsabile dei Servizi Tecnici Settore Edilizia del Comune; 

sul ricorso numero di registro generale 2857 del 2000, proposto da:
Manfrin Germano e Ramello Antonio, rappresentati e difesi dagli avv.ti Riccardo Ludogoroff e Maria Teresa Fanzini, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Torino, corso Montevecchio, 50; 
contro
Comune La Loggia, rappresentato e difeso dall'avv. Giorgio Santilli, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Torino, via Paolo Sacchi, 44; 
nei confronti di
Resp. Servizi Tecnici Ed. Privata ed Urbanistica- La Loggia-; 
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 893 del 2000:
del provvedimento prot. n. 919 del 27 gennaio 2000, notificato il 1° febbraio 2000, con il quale il Comune di La Loggia ha respinto l'istanza di concessione in sanatoria presentata dal ricorrente,
per l'annullamento, previa sospensione,
- dell'ordinanza di demolizione n. 1/2000 del 7 febbraio, notificata il 12 febbraio 2000, delle opere realizzate in parziale difformità dalla concessione edilizia;
- dell'ingiunzione di pagamento prot. n. 1255 dell' 8 febbraio 2000;
nonché
di ogni altro atto comunque connesso
con i motivi aggiunti depositati in data 17 ottobre 2000
per l'annullamento, previa sospensione,
- dell'ordinanza prot. n. 8588 notificata in data 11/9/2000, con la quale il Responsabile del Servizio Edilizia Privata ed Urbanistica del Comune di La Loggia ingiunge al ricorrente, il pagamento in solido di L. 379.987.820
nonché per l'annullamento
di tutti gli atti preordinati, consequenziali e comunque connessi al procedimento sanzionatorio.
quanto al ricorso n. 2857 del 2000:
delle ordinanze prot. nn. 8589 e 8590 del 6.9.2000, notificate rispettivamente i giorni 8.9.2000 e 13.9.2000, aventi ad oggetto "irrogazione sanzione pecuniaria - art. 12 comma 2 della L. 28.2.1985 n. 45", con la quale il Responsabile del Servizio Edilizia Privata ed Urbanistica del Comune di La Loggia ingiunge ai ricorrenti il pagamento in solido di £. 379.987.820;
nonché per l'annullamento
di tutti gli atti preordinati, consequenziali e comunque connessi al procedimento.

Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di La Loggia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2013 il dott. Giovanni Pescatore e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. Il sig. Quirino Colletta è nudo proprietario di un fabbricato, gravato da usufrutto in favore dei genitori, situato in Frazione Tetti Griffa, Comune di La Loggia, Via dei Campassi n. 7, su di un'area individuata a catasto al F. 14, mappali nn. 52, 128, 129, 130, 163, 164, 190, 191.
L'edificio, originariamente rurale, è stato risanato e recuperato a civile abitazione previo rilascio della concessione edilizia n. 35/89.
L’introduzione di varianti al progetto originario ha tuttavia reso necessaria la richiesta di formale autorizzazione in data 21 novembre 1998.
Su tale istanza la commissione edilizia in data 09 aprile 1990 ha espresso un parere favorevole condizionato alla presentazione di nuovi elaborati grafici. L’integrazione documentale tuttavia non è stata assolta, pur a fronte della prosecuzione dei lavori, che sono stati completati secondo ulteriori modifiche non comunicate all’amministrazione.
A lavori ultimati è stata presentata, in data 05 aprile 1993, una richiesta di concessione in sanatoria, ex art. 13 L. 47/1985, sulla quale la commissione edilizia ha espresso “parere favorevole, previo pagamento della sanzione ex legge 47/1985”.
Con nota in data 11 maggio 1993 il Comune ha richiesto per il prosieguo della pratica la presentazione del computo metrico (necessario per il calcolo della sanzione) e del parere della U.S.S.L. 32. Anche queste richieste documentali sono rimaste inevase.
L’istanza - ulteriormente reiterata con note del 15 aprile 1998 e del 5 novembre 1999 - ha avuto risposta solo in data 13 novembre 1999.
A quel punto la commissione edilizia ha potuto esprimere il proprio parere (comunicato con nota comunale del 27 gennaio 2000), ritenendo non assentibile l’intervento in quanto in contrasto con gli artt. 49 e 20.2 delle N.T.A..
Nel corso dell’anno 2000 sono infine intervenuti il diniego della concessione in sanatoria (atto prot. n. 919 del 27 gennaio 2000), l'ordinanza di demolizione delle opere asseritamente eseguite in parziale difformità dalla concessione edilizia n. 35/89 (ordinanza n.1/2000 del 7 febbraio 2000), nonché l’ingiunzione di pagamento della sanzione per ritardato versamento degli oneri concessori (in data 08 febbraio 2000).
2. I tre atti testé menzionati sono stati impugnati con il ricorso iscritto ad R.G. 893/2000.
3. In data 05 settembre 2000 l’ufficio tecnico del Comune di La Loggia ha effettuato un sopralluogo sulla località, per l’accertamento della consistenza degli abusi in funzione della demolizione da eseguire. Constatata l’impossibilità di demolire le opere abusive senza pregiudizio per quelle conformi, in data 06 settembre 2000 ha emanato tre distinte ordinanze (nn. 8588 - 8589 - 8590) contenenti la determinazione della sanzione pecuniaria alternativa, ex art. 12, comma 2, L. 47/1985, per un importo di £. 379.987.820,00, e ne ha intimato il pagamento, in solido tra di loro, al concessionario, al costruttore e al direttore dei lavori.
4. Con motivi aggiunti, notificati il 13 ottobre 2000 e depositati il 17 ottobre 2000, il ricorrente ha esteso l’impugnazione all’ordinanza prot. n. 8588, notificatagli in data 11 settembre 2000.
5. Parallelamente, nel distinto procedimento iscritto ad R.G. 2857/2000, i ricorrenti Manfrin e Ramello, in qualità rispettivamente di costruttore e direttore dei lavori, hanno impugnato le ordinanze sanzionatorie prot. n. 85889 e 8590, notificate nei loro confronti in data 8 e 13 settembre 2000, adottate sui medesimi presupposti e recanti il medesimo contenuto dell’ordinanza prot. n. 8588.
6. In entrambi i procedimenti è stata accolta l’istanza cautelare di sospensiva limitatamente all’irrogazione della sanzione pecuniaria.
7. A seguito della costituzione in giudizio del Comune di la Loggia e dell’acquisizione d’ufficio degli atti del procedimento, i due ricorsi riuniti sono pervenuti a decisione all’udienza del 27 giugno 2013.
8. Questi i motivi dedotti.
8.1 Relativamente al diniego di concessione in sanatoria, il sig. Colletta - con una prima censura per eccesso di potere per errore essenziale e difetto assoluto del presupposto. Violazione di legge in relazione all’art. 3 Legge n. 241/1990. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e motivazione. Violazione dei principi generali di correttezza e buon andamento dell’amministrazione. Violazione dei principi generali della materia – contesta l’affermazione del Comune in base alla quale l’intervento oggetto di istanza di sanatoria, integrando un’ipotesi di ristrutturazione edilizia (e non di semplice risanamento), non sarebbe ammesso dall’art. 49 delle N.T.A. vigenti al momento dell’abuso, sicché resterebbe escluso dal regime di cui all’art. 13 L. 47/1985. A detta del ricorrente l’entità dell’intervento (consistente nella realizzazione di vani cantina interrati, nella suddivisione degli alloggi da due a tre e in alcune irrilevanti modifiche di facciata) risulterebbe invece compatibile con l’ipotesi del risanamento, ammessa dalle N.T.A..
Sotto un diverso profilo, viene contestato l’ulteriore rilievo del Comune secondo cui l’intervento si porrebbe in contrasto con l’art. 20/2 delle N.T.A., che ammette la ristrutturazione solo allorché vengano garantite le opere di urbanizzazione primaria, mancanti nel progetto presentato.
Secondo il ricorrente, nell’affermare ciò l’amministrazione avrebbe trascurato di considerare che l’area in questione era già dotata delle opere di urbanizzazione primaria.
Viene inoltre contestata la tardività del provvedimento impugnato, la carenza di adeguata motivazione sui profili sopra menzionati e la sua contraddittorietà rispetto ai due pareri favorevoli in precedenza espressi dalla commissione edilizia.
8.2 Con un secondo motivo - rubricato “illegittimità derivata. Erronea applicazione dell'art. 12 Legge n. 47/1985. Violazione dell'art. 3 Legge n. 241/1990” - i vizi dedotti con riferimento al diniego di concessione in sanatoria vengono estesi in via derivata all'ordinanza di demolizione n. 1/2000.
Il ricorrente contesta inoltre l’applicazione del primo comma dell’art. 12 L. 47/1985, in quanto la demolizione delle parti ritenute abusive non potrebbe avvenire senza pregiudizio delle parti regolarmente assentite con la concessione edilizia n. 35/89. Viene dedotto infine il difetto di motivazione, in quanto il notevole lasso di tempo trascorso dall’asserito abuso avrebbe imposto una motivata ponderazione tra il sacrificio della posizione privata del ricorrente e l’attuazione dell’interesse generale.
8.3 Con un terzo motivo - Illegittimità derivata. Erronea applicazione artt. 1 e 3 Legge n.10/1977 - i vizi dedotti con riferimento al diniego di concessione in sanatoria e all'ordinanza di demolizione vengono estesi in via derivata all'ingiunzione di pagamento. Il sig. Colletta deduce, inoltre, che il Comune di La Loggia avrebbe dovuto rideterminare il contributo commisurato al costo di costruzione tenendo conto del progetto di variante presentato. Non essendo mai stata effettuata tale rideterminazione, nessun inadempimento sarebbe imputabile alla parte richiedente.
9. Avverso l’ordinanza recante l’irrogazione della sanzione pecuniaria, ex art. 12, comma 2, L. 47/1985, impugnata con motivi aggiunti e con ricorso autonomo dai sigg.ri Manfrin e Ramello (nel procedimento iscritto ad R.G. 2857/2000), sono stati dedotti due ordini di motivi.
9.1 Con un primo – rubricato “violazione di legge in riferimento all’art. 12 ella L. 47/1985 e agli artt. 3, 7 e seguenti della L. 241/1990. Violazione del principio del giusto procedimento. Eccesso di potere per difetto dei presupposti di fatto e di diritto. Illegittimità derivata. Carenza di istruttoria. Ingiustizia grave e manifesta” – si lamenta: la mancanza di avviso di avvio del procedimento di adozione della misura sanzionatoria; la mancanza di accertamento tecnico sui presupposti della scelta fra demolizione e irrogazione della sanzione pecuniaria; la mancata esternazione dei criteri e delle basi di calcolo, dovendo il conteggio essere rapportato alle sole parti abusive dell’opera.
9.2 Con un secondo motivo – rubricato “violazione di legge in relazione all’art. 6 della L. 47/1985. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta. Sviamento. Difetto di istruttoria e motivazione” – si lamenta il fatto che la sanzione sia stata irrogata in via solidale con il direttore dei lavori e il costruttore; si afferma, inoltre, che il provvedimento risulterebbe ingiusto, in quanto adottato in pendenza di giudizio e dopo un lungo protrarsi del procedimento.
Sempre con i motivi aggiunti è stata formulata istanza di risarcimento dei danni.
10. I profili di connessione oggettiva e soggettiva giustificano la riunione dei due procedimenti iscritti ad R.G. 893/00 e 2857/00.
11. Il primo ricorso (R.G. 893/00) non pare meritevole di accoglimento.
La successione cronologica dei fatti rende innanzitutto palese l’inconsistenza della censurata tardività degli atti impugnati. Nelle premesse in fatto, sono stati posti in rilievo i mutamenti di percorso indotti dal variare dei progetti sottoposti dal ricorrente all’amministrazione comunale, al fine del conseguimento dell’autorizzazione in variante e, successivamente, della concessione in sanatoria. Da queste consecutive variazioni progettuali è derivata la necessità di rinnovo delle attività istruttorie, le cui risultanze non possono essere genericamente censurate per contraddittorietà, stante le diversità dei dati sostanziali alle stesse sottesi.
La prolungata inerzia manifestata dal ricorrente nel dare riscontro alle richieste di documentazione integrativa (soddisfatte solo con nota del 10 dicembre 1999), ha determinato - per ragioni certo non imputabili al Comune di La Loggia - il ritardo nell’espletamento della procedura di sanatoria.
Non sussistono elementi, pertanto, per poter formulare addebiti di colpevole ritardo in capo all’amministrazione.
12. Parimenti infondata appare la censura riguardante la consistenza degli abusi edilizi.
Le modifiche al progetto licenziato sono desumibili dalle planimetrie allegate in atti. Tali variazioni sono consistite nell’incremento di un’unità immobiliare della consistenza iniziale prevista in due unità; in alcune modifiche degli interni e della facciata; nella costruzione di locali cantina completamente interrati.
12.1 Per qualificare la natura degli abusi - nell’alternativa tra le due fattispecie del “risanamento” e della “ristrutturazione” - occorre premettere che gli interventi di risanamento conservativo, per costante giurisprudenza, sono preordinati alla conservazione dell'organismo edilizio e si caratterizzano essenzialmente per il mantenimento dei preesistenti elementi tipologici, formali e strutturali dell’edificio. Viceversa, nella ristrutturazione edilizia le opere sono funzionali non alla mera conservazione, ma all’integrale rinnovo delle strutture edilizie, potendo anche portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente.
12.2 Ciò posto in linea generale, secondo l'orientamento della giurisprudenza, condiviso dal Collegio, gli interventi edilizi che alterano, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportano l'inserimento di nuovi impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro o risanamento conservativo, ma rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia (cfr. da ultimo T.A.R. Brescia sez. II, 2 marzo 2012, n. 355; T.A.R. Lazio sez. I, 05 aprile 2013, n. 3506). Ciò in quanto, affinché sia ravvisabile un intervento di ristrutturazione edilizia è sufficiente che siano modificati la distribuzione della superficie interna e dei volumi, ovvero l'ordine in cui risultavano disposte le diverse porzioni dell'edificio, per il solo fine di rendere più agevole la destinazione d'uso esistente (T.A.R. Napoli sez. VII, 07 giugno 2012, n. 2712; T.A.R. Latina sez. I, 12 gennaio 2010, n. 5; T.A.R. Molise sez. I, 27 marzo 2009, n. 99).
12.3 Nel caso in esame la creazione di una nuova unità immobiliare, comportando l'inserimento di ulteriori impianti e la modifica e ridistribuzione dei volumi, risulta incompatibile con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo che presuppongono, come detto, la realizzazione di lavori che lascino inalterata la struttura dell'edificio e la distribuzione interna della sua superficie.
12.4 Ad analoghe conclusioni si perviene assumendo quale elemento discriminante il dato sostanziale dell’incremento del complessivo carico urbanistico, potenzialmente conseguente ad interventi di ristrutturazione, ed invece assente nell’ipotesi di restauro, risanamento o manutenzione (cfr. Cons. St. sez. IV, 19 novembre 2012, n. 5818). Non pare, infatti, seriamente dubitabile che l’incremento di un’unità immobiliare all’interno di uno stabile costituisca fattore dotato di diretta incidenza sul parametro del peso urbanistico: la sola alterazione dell'originaria consistenza fisica di un immobile, anche sotto il profilo della sua distribuzione interna, implica la necessità di dotare le nuove unità immobiliari, ricavate dal frazionamento mediante strutture murarie, dei relativi servizi accessori ad uso abitativo, degli impianti e dei necessari spazi pertinenziali, con conseguente incremento del carico urbanistico (T.A.R. Liguria sez. I, 17 aprile 2003, n. 496; Cons. St. sez. V, 23 maggio 2000, n. 2988).
Correttamente quindi l’amministrazione comunale ha respinto l’istanza di sanatoria ritenendo che l’intervento in oggetto - integrando un’ipotesi di ristrutturazione edilizia (e non di semplice risanamento), non ammesso dall’art. 49 delle N.T.A. vigenti al momento dell’abuso (che consentivano solo interventi di manutenzione, risanamento e restauro) - fosse escluso dal regime di cui all’art. 13 L. 47/1985.
13. Va quindi esaminato l’ulteriore assunto di parte ricorrente secondo cui la zona era “già dotata di opere di urbanizzazione primaria” – sicché non sussisterebbe alcun contrasto tra il progetto presentato per la sanatoria (privo dell’indicazione delle opere di urbanizzazione primaria) e l’art. 20/2 delle N.T.A., che ammetteva la ristrutturazione solo allorché fossero state garantite le opere di urbanizzazione primaria.
Il Comune ha replicato sul punto allegando l’estratto planimetrico del P.R.G. dal quale si ricava che la rete fognaria (colorata in rosso) è inesistente nell’intera zona di Tetti Griffa. È agli atti, inoltre, una relazione tecnica del 10 dicembre 1999, a firma del geom. Ramello (professionista incaricato dal ricorrente), dalla quale risulta che l’edificio, quanto a smaltimento delle acque reflue, è allacciato a due fosse biologiche con annessi pozzi neri.
Le circostanziate allegazioni documentali della parte resistente non sono state adeguatamente confutate dal ricorrente, il quale si è limitato a replicare che la variante al P.R.G.C. attesta l’esistenza della rete fognaria. Trattasi tuttavia di variante approvata (nel 1999) in epoca successiva alla presentazione dell’istanza di sanatoria (datata 05 aprile 1993), quindi non rilevante ai fini dell’accoglimento dell’istanza di sanatoria.
Come noto, l'accertamento di conformità, oggi previsto dall'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 e disciplinato dall'allora vigente art. 13, l. n. 47 del 1985, è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo, ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l'area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell'istanza di sanatoria (cd. " doppia conformità "). In assenza di tale presupposto, le conseguenti determinazioni dell’amministrazione assumono connotazione eminentemente oggettiva e vincolata, priva di apprezzamenti discrezionali, dovendo l'autorità procedente valutare l'assentibilità dell'opera eseguita sulla base della normativa urbanistica ed edilizia vigente in relazione ad entrambi i momenti considerati dalla norma. Nel caso di specie non potrebbe sostenersi che le opere fossero conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica, applicabile per l'area su cui sorgono, vigente al momento della loro realizzazione e della presentazione dell'istanza di sanatoria.
Le ragioni esposte, confermate dal parere della commissione edilizia, giustificano appieno i rilievi fondanti il diniego di sanatoria.


14. La seconda serie di motivi si appunta sull’ordine di demolizione.
Va innanzitutto respinto il rilievo inerente la carenza di adeguata motivazione, argomentato sulla base del fatto che il notevole lasso di tempo trascorso dall’asserito abuso avrebbe imposto una motivata ponderazione tra la posizione privata sacrificata e l’attuazione dell’interesse pubblico.
Sul punto è sufficiente rilevare che l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato alla constatata abusività, che non richiede alcuna specifica valutazione delle sottese ragioni d'interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione (cfr. Cons. St. sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2185; sez. V, 17 settembre 2012, n. 4915).
Né può ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il tempo non può giammai legittimare (cfr. Cons. St. sez. IV, 10 giugno 2013 n. 3182; T.A.R. Liguria sez. I, 29 gennaio 2013, n. 217; T.A.R. Napoli sez. II, 12 marzo 2013, n. 1410 e sez. III, 8 marzo 2013, n. 1374).
14.1 Il ricorrente lamenta ancora, sempre sotto il profilo della carenza di motivazione, l’assenza nell’ordine di demolizione del giudizio sintetico-valutativo, di natura discrezionale, circa la rilevanza dell'abuso e la possibilità di sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria. Anche tale censura non pare dotata di fondamento.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, il menzionato giudizio sintetico - valutativo si inserisce in un momento successivo all’ordine di demolizione, allorché il privato non ottemperi spontaneamente alla demolizione e l'autorità, in conseguenza, indirizzi agli uffici competenti l’ordine di esecuzione in danno dei proprietari. Solo in questo secondo momento diventa attuale il problema della legittimità di un'ingiunzione a demolire sprovvista di qualsiasi valutazione intorno agli eventuali pregiudizi sulla staticità degli immobili ed alla eventuale, conseguente, applicazione dell'alternativa sanzione pecuniaria (cfr. T.A.R. Lazio 2 marzo 2012 n. 2165).


15. Venendo all’ingiunzione di pagamento datata 8 febbraio 2000, avente ad oggetto la liquidazione dei costi di costruzione dei lavori oggetto della concessione edilizia n. 35/89, la parte ricorrente deduce che il Comune di La Loggia avrebbe dovuto rideterminare l’importo del contributo, commisurandolo al progetto di variante e tenendo conto della tipologia degli interventi ivi contemplati e delle aliquote regionali agli stessi applicabili. Non essendo mai stata effettuata tale rideterminazione, nessun inadempimento sarebbe imputabile al richiedente. Secondo questa impostazione, pertanto, in presenza di variante, sarebbe illegittima la pretesa del Comune di riscuotere il contributo per il costo di costruzione relativo alla concessione originaria.
15.1 In aggiunta al rilievo esposto, la parte ricorrente eccepisce la prescrizione del credito inerente il contributo edilizio.
15.2 Il motivo è infondato sotto entrambi i profili.
Va precisato, preliminarmente, che l’ingiunzione di pagamento datata 8 febbraio 2000 riguarda esclusivamente i costi di costruzione, essendo incontestato l’avvenuto versamento della parte di contributo commisurata all’incidenza delle opere di urbanizzazione.
Nel merito, con riferimento all’eccezione di prescrizione occorre rilevare che il termine prescrizionale applicabile ai crediti vantati dal Comune per oneri di urbanizzazione e costi di costruzione è quello decennale, siccome stabilito in via generale dall'art. 2946 c.c. (cfr. T.A.R. Catanzaro sez. I, 14 aprile 2011, n. 522 e sez. II, 12 giugno 2006, n. 628; T.A.R. Salerno sez. II, 22 aprile 2005, n. 647).
Quanto al dies a quo, la giurisprudenza differenzia le due ipotesi e, per quanto concerne il credito a titolo di oneri di urbanizzazione, lo individua nella data di rilascio della concessione, poiché è da tale momento che viene determinato e che diventa esigibile (T.A.R. Campania sez. II, 11 luglio 2006, n. 7392; T.A.R. Catanzaro 22 novembre 2000 n. 1439; T.A.R. Pescara, 10 maggio 2002 n. 477); mentre, per quanto concerne il credito a titolo di costo di costruzione - poiché l'importo dovuto, sebbene determinato all'atto del rilascio della concessione, viene corrisposto in corso d'opera (con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune) non oltre sessanta giorni dall'ultimazione dei lavori – individua il dies a quo del termine ordinario prescrizionale non nella data stabilita in concessione per l'ultimazione dei lavori, ma in quella in cui l'opera è stata effettivamente ultimata, tenuto conto che di questo elemento di fatto deve essere data contezza all'amministrazione da parte del privato, sicché, in difetto di tale elemento, il termine prescrizionale non decorre nei confronti dell'amministrazione creditrice (T.A.R. Salerno, 16 maggio 1997 n. 293; T.A.R. Catanzaro sez. I, 14 aprile 2011, n. 522).
Nel caso in esame non risulta essere stata effettuata alcuna comunicazione di ultimazione dei lavori. In ogni caso, se anche - per mera ipotesi - detto termine avesse iniziato a decorrere, la nota del 15 aprile 1998 n. 4645, inoltrata dal Comune alla parte privata con raccomandata a.r. in data 21 aprile 1998, sarebbe valsa a interrompere la prescrizione.
15.3 Superata l’eccezione preliminare, occorre esaminare la tesi svolta dalla parte ricorrente in merito all’entità del credito vantato dal Comune. In proposito si osserva che tutte le procedure edilizie successive alla concessione n. 35/89 non hanno avuto esito, in quanto il progetto di variante è stato abbandonato in itinere dalla parte richiedente, mentre la procedura di sanatoria non si è mai perfezionata. Il solo titolo edilizio di cui il ricorrente si è legittimamente avvalso, portandolo ad esecuzione, consiste quindi nella concessione n. 35/1989. Il Comune, quindi, ha correttamente fatto riferimento ai lavori licenziati con la concessione n. 35/89 ai fini della determinazione degli oneri dovuti dal privato.
Il conteggio del contributo non poteva, pertanto, che coincidere con quello già effettuato al momento del rilascio della concessione, non essendo intervenute ulteriori e successive autorizzazioni edilizie.
La doglianza in esame non può quindi trovare accoglimento.


16. Restano da esaminare i motivi aggiunti.
Le tre ordinanze di pari contenuto adottate in data 06 settembre 2000, fanno tutte applicazione dell’art. 12, secondo comma, della L. 47/1985 (“quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il sindaco applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dalla concessione, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura dell'ufficio tecnico erariale, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”).
Detti provvedimenti vengono censurati per la mancata comunicazione di avvio del procedimento di adozione della misura sanzionatoria; per il mancato accertamento istruttorio sui presupposti della scelta fra demolizione e irrogazione della sanzione pecuniaria; nonché per la inadeguata esternazione dei criteri e delle basi di calcolo della sanzione.
I ricorrenti lamentano, inoltre, il fatto che la sanzione sia stata irrogata in via solidale con il direttore dei lavori e il costruttore, e censurano di ingiustizia i provvedimenti impugnati, in quanto adottati in pendenza di giudizio e dopo un lungo protrarsi del procedimento.
16.1 Seguendo l’ordine di formulazione delle censure, si osserva quanto segue.
Innanzitutto, i ricorrenti non hanno ragione di dolersi di supposte violazioni delle disposizioni riguardanti le facoltà di partecipazione al procedimento. Per un verso, infatti, il provvedimento adottato ai sensi dell'art. 12 comma 2 della L. 47/1985, nel disporre il pagamento di una sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione, ha corrisposto ad un’aspettativa manifestata dalla stessa parte ricorrente nei suoi atti difensivi (cfr. pag. 9 del ricorso)
Per altro verso, i ricorrenti non hanno articolato alcuna argomentazione per minare la fondatezza delle conclusioni cui è pervenuta l'amministrazione comunale, cosicché, ai sensi dell’art. 21 octies L. 241/1990, non è possibile ritenere che il contenuto dispositivo del provvedimento sarebbe stato diverso ove fosse stata garantita la partecipazione procedimentale dell'interessato.
In aggiunta ai rilievi che precedono, va osservato che l’avvio del procedimento, quanto meno nei confronti del Colletta e del Manfrin, è stato comunicato due volte, in data 1 febbraio 2000 e 12 febbraio 2000: in entrambe le occasioni l’amministrazione ha esplicitato la possibilità di avvalersi dell’art. 12 L. 47/1985.
16.2 Circa le attività istruttorie preliminari alla scelta tra demolizione e applicazione della sanzione pecuniaria, è utile osservare che nel sopralluogo effettuato dai tecnici comunali in data 06 settembre 2000 è stata appurata l’impossibilità di limitare la demolizione alle sole parti abusive. La tesi, come detto, è stata propugnata dal ricorrente sin dal ricorso introduttivo (cfr. pag. 9), sicché la censura svolta sul punto non pare supportata da interesse ad agire.
16.3 Quanto alle risultanze del conteggio, esso si è basato sul computo dei costi di costruzione fornito dalla parte privata in data 10 dicembre 1999 e riguardante le sole opere abusive (per le quali veniva richiesta sanatoria). L’adesione da parte dell’amministrazione a tale analitico conteggio non giustifica censure circa l’incompletezza e l’erroneità del calcolo, in quanto, per un verso, si tratta di dati elaborati direttamente dalla proprietà; mentre, per altro verso, detta erroneità dei conteggi viene dedotta in termini del tutto generici e indeterminati.
Il calcolo in questione consiste nella duplicazione (ai sensi del secondo comma dell’art. 12 L. 47/1985) del costo di produzione delle opere eseguite in difformità dalla concessione edilizia. Tale costo di produzione era stato determinato, appunto, nel computo metrico estimativo fornito dal sig. Colletta in data 13 dicembre 1999 ai fini del perfezionamento della pratica di sanatoria.
L’importo, pari a £. 189.993.910, è la risultante dell’applicazione dei listini delle opere edili in Milano, correnti nel mese di agosto 1999 alle sole opere oggetto della richiesta di concessione in sanatoria, come chiarito nelle premesse del documento.
Nel lamentare la non correttezza del calcolo, i ricorrenti non indicano quali specifici parametri o coefficienti sarebbero stati omessi o erroneamente applicati. La genericità delle deduzioni - particolarmente eloquente se si considera la paternità dei dati in contestazione - priva di consistenza e rende non accoglibile la censura in esame.
16.4 Va infine chiarito il profilo di doglianza riguardante l’estensione soggettiva della sanzione.
L’art. 6 della L. 47/1985 prevede che “il titolare della concessione, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché - unitamente al direttore dei lavori - a quelle della concessione ad edificare e alle modalità esecutive stabilite dalla medesima. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l'esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso”.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale, la norma si limita ad individuare le categorie di soggetti che, quali responsabili a vario titolo dell'abuso edilizio, sono in astratto destinatari della sanzione, e quindi soggetti passivi della correlativa obbligazione. Tuttavia, la sanzione pecuniaria, collegata al singolo abuso edilizio, resta oggettivamente unica per ciascun abuso, e non applicabile distintamente, individualmente e in misura piena nei confronti di ciascuno dei responsabili. Ciò in quanto le sanzioni pecuniarie comminate per abusi edilizi non sono sanzioni punitive (cioè correlate esclusivamente alla responsabilità personale dell'autore della violazione), ma costituiscono misure con finalità ripristinatorie, di carattere meramente patrimoniale, trasmissibili agli eredi.
Né il fatto che l'art. 6 della L. n. 47/1985 preveda il vincolo della solidarietà solo per il recupero delle spese sostenute dall'amministrazione per l'esecuzione in danno, significa che la sanzione pecuniaria sia reiterabile nei confronti di ciascuno dei possibili soggetti passivi; la disposizione si può intendere nel senso che l'obbligazione grava in via principale sul responsabile primario dell'abuso (titolare della concessione, se è stato rilasciato un titolo edilizio; committente, in caso di interventi senza titolo), e in via sussidiaria sugli altri soggetti, salvo rivalsa di questi nei confronti del primo (T.A.R. Milano sez. II, 04 aprile 2007, n. 1397).
In conclusione, quindi, il titolare della concessione, il committente, il costruttore e il direttore dei lavori sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché al contenuto della concessione ad edificare e alle modalità esecutive stabilite dalla medesima. Essi sono altresì tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso (T.A.R. Lecce sez. I, 07 luglio 2006, n. 3921).
Nel caso di specie, le ordinanze hanno fatto applicazione dei principi sopra indicati, avanzando una richiesta di pagamento rivolta ai soggetti ritenuti responsabili della difformità delle opere.
Il riferimento alla “solidarietà” - superfluo e non del tutto appropriato, se rapportato all’esatta esegesi della norma - non pare tuttavia indicativo di un’errata applicazione dell’art. 6 L. 47/1985, se solo si considera che: I) l’obbligazione solidale non è collettiva o cumulativa, quindi non comporta il pagamento del debito da parte di tutti i soggetti obbligati, sicché è da escludersi che l’amministrazione abbia voluto reiterare la sanzione nei confronti di tutti i soggetti ritenuti responsabili dell’abuso; II) i sigg.ri Ramello e Manfrin risultano destinatari delle sanzioni nella loro specifica veste, rispettivamente, di direttore e di esecutore dei lavori, il che vuol dire che l’addebito di responsabilità è stato formulato in ragione del ruolo dagli stessi assunto in relazione all’esecuzione delle opere edili.
Sotto entrambi i profili le ordinanze impugnate si pongono in linea con le indicazioni desumibili dall’art. 6.
Va da sé che sui destinatari delle ordinanze grava l’onere della prova della loro estraneità all’abuso, in difetto della quale l’amministrazione potrà riscuotere l’importo della sanzione rifacendosi in via principale sul responsabile primario dell'abuso (titolare della concessione), e in via sussidiaria sugli altri soggetti.
Per tutte le ragioni esposte i ricorsi riuniti non possono trovare accoglimento.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti,
li respinge entrambi.
Condanna le parti ricorrenti a rifondere in favore della parte resistente le spese di lite che liquida in complessivi €. 3.000,00, oltre Iva, cpa e accessori di legge, ponendo tale importo a carico del Colletta nella misura dei 2/3, e a carico di Manfrin e Ramello, in via solidale, nella misura di 1/3.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani, Presidente
Paola Malanetto, Primo Referendario
Giovanni Pescatore, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/07/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)


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