EDILIZIA:
i due "steps" di tutela del terzo avverso la DIA/SCIA (T.A.R. Roma, Sez. II-"ter"
sentenza 3 luglio 2013 n. 6571)
Massima
1. Il D.L. 138/11 (conv. con mod. in L. n. 148/11) ha introdotto nel corpus dell’art. 19 della L. n. 241/1990 un nuovo co. 6 ter, a mente del quale “La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, c. 1, 2 e 3 del D.Lvo 2 luglio 2010, n. 104”.
2. Tale circostanza ha senz’altro inverato il primo step fondamentale di tutela previsto dalla novella legislativa sopra indicata, consistente nel fatto che il controinteressato procedimentale all’attività (divenuto oggi ricorrente) possa sollecitare formalmente (in via stragiudiziale) la P.A. all’esercizio dei suoi poteri di controllo, verifica, vigilanza e/o inibizione dell’attività oggetto di D.I.A./S.C.I.A..
In ordine al secondo step di tutela (consistente in ciò, che a fronte della inerzia dell’amministrazione il privato può spiccare dinanzi al G.A. un’azione avverso il silenzio-rifiuto ex art. 31 c.p.a.), il Collegio coglie nell’atto introduttivo del giudizio la presenza di tutti gli elementi sostanziali dell’azione volta ad ottenere l’accertamento della illegittimità della condotta omissiva dell’amministrazione e la declaratoria dell’obbligo di provvedere, sicché l’azione esperita dal ricorrente può, in parte qua, esser qualificata (o convertita) in azione ex art. 31 c.p.a..
Sentenza per esteso
INTESTAZIONE
Il Tribunale Amministrativo Regionale per
il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1878 del 2012,
proposto da:
Salvatore Damico, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Di Meo, con domicilio eletto presso E Commerciale Sorrentino Studio Legale in Roma, via A. Emo, 144;
Salvatore Damico, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Di Meo, con domicilio eletto presso E Commerciale Sorrentino Studio Legale in Roma, via A. Emo, 144;
contro
Roma Capitale - Municipio XVI, rappresentato e difeso
dall'avv. Sergio Siracusa, con domicilio eletto presso Sergio Siracusa in Roma,
avv. Comune di Roma;
nei confronti di
Enea Massimi, rappresentato e difeso dall'avv. Daniele
De Bonis, con domicilio eletto presso Massimo De Bonis in Roma, v.le G.
Mazzini, 88;
per l'annullamento
-della determina dirigenziale n. 1082 del 6 luglio
2011, prot. 46880, a mezzo della quale il Municipio Roma XVI – Roma Capitale –
ha autorizzato il sig. Enea Massimi ad esporre all’esterno del locale, adibito
al bar, sito in Roma alla via dei Colli Portuensi n. 163, “opere pubblicitarie”
così individuate: “n. 1 insegna ... n. 2 faretti ... n. 1 tenda retrattile di
colore beige con mantovana senza messaggi pubblicitari delle dimensioni di mt.
2,63 x 1,30”; valevole anche come autorizzazione alla “occupazione di suolo
pubblico”, comunicata il 19 dicembre 2011 con nota di Roma Capitale di ritiro
dei documenti ottenuti a seguito di accesso;
-gli atti ed i provvedimenti indicati, ma non con
conosciuti, nella nota della Polizia Roma Capitale del 10/1/2011 comunicata il
9 febbraio 2012, prot. 6861;
-DIA prot. 58601 del 25/7/2011, per l’installazione
della recinzione perimetrale e integrazione;
-DIA prot. 66933 del 5/9/2011 per calcolo oneri di
costruzione;
-richiesta di occupazione di suolo pubblico, con
tavoli, sedie ed ombrelloni prot. 76025 dell’ 8/11/2011;
-comunicazione del 16^ Municipio di Roma Capitale
prot. 89462 del 29/12/2011 che ha dato la sospensione del parere per la
richiesta di OSP da trasformare in area privata esclusiva;
nonché,
la condanna di Roma Capitale al risarcimento dei danni
provocato per gli atti ed i fatti attinenti al presente giudizio e
quantificabili in euro 10.000,00.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma
Capitale - Municipio XVI e di Enea Massimi;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile
2013 il cons. Giuseppe Rotondo e uditi per le parti i difensori come
specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto
segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame - notificato il 17 febbraio
2012 mediante consegna dei plichi all’ufficiale giudiziario e depositato il
successivo 14 marzo - il ricorrente chiede, in uno con la condanna di Roma
Capitale al risarcimento dei danni, l’annullamento dei seguenti atti e
provvedimenti:
-determina dirigenziale n. 1082 del 6 luglio 2011,
prot. 46880, a mezzo della quale il Municipio Roma XVI – Roma Capitale – ha
autorizzato il sig. Enea Massimi ad esporre all’esterno del locale, adibito al
bar, sito in Roma alla via dei Colli Portuensi n. 163, “opere pubblicitarie”
così individuate: “n. 1 insegna ... n. 2 faretti ... n. 1 tenda retrattile di
colore beige con mantovana senza messaggi pubblicitari delle dimensioni di mt.
2,63 x 1,30”; valevole anche come autorizzazione alla “occupazione di suolo
pubblico”, comunicata il 19 dicembre 2011 con nota di Roma Capitale di ritiro
dei documenti ottenuti a seguito di accesso;
-atti e provvedimenti indicati, ma non con conosciuti,
nella nota della Polizia Roma Capitale del 10/1/2011 comunicata il 9 febbraio
2012, prot. 6861;
-DIA prot. 58601 del 25/7/2011, per l’installazione
della recinzione perimetrale e integrazione;
-DIA prot. 66933 del 5/9/2011 per calcolo oneri di
costruzione;
-richiesta di occupazione di suolo pubblico, con
tavoli, sedie ed ombrelloni prot. 76025 dell’ 8/11/2011;
-comunicazione del 16^ Municipio di Roma Capitale
prot. 89462 del 29/12/2011 che ha dato la sospensione del parere per la
richiesta di OSP da trasformare in area privata esclusiva.
L’interessato espone in fatto che:
-svolge da oltre un ventennio la professione di
barbiere in un locale confinante a quello del controinteressato;
-a seguito di subentro nella gestione del vicino bar
da parte del sig. Massimi Enea, in data 4 aprile 2011, sono stati eseguiti
lavori comportanti anche modifiche ai luoghi pubblici prospicienti ai due
negozi;
-il controinteressato ha, tra l’altro, costruito un
gazebo con carattere di stabilità chiuso su ogni lato e costituente un vero e
proprio prolungamento dell’ambiente interno al bar;
-per dimensioni e forme tale Dehor, oltre ad occupare
il marciapiede, ha invaso anche una porzione di proprietà del ricorrente,
occludendone la visuale e compromettendone la luminosità, l’aria e
l’esposizione solare nonché provocando lo stillicidio delle acque meteoriche;
-inoltre, a seguito del completamento dei lavori,
hanno incominciato a promanarsi effluvi molto intensi di cucina nonostante il
sig. Massimo fosse sprovvisto di specifica autorizzazione a tavola calda;
-con istanza del 17 ottobre 2011, prot. n. CQ 69922,
il ricorrente ha chiesto di prendere visione degli atti del procedimento
presupposto ai lavori effettuati;
-Roma Capitale ha consentito l’accesso in data 10
novembre 2011, con nota comunicata il successivo 19 dicembre contenente, tra
l’altro: la determinazione dirigenziale n. 1082/2011 e la comunicazione di sub
ingresso nella somministrazione, prot. n. CQ 22296 del 5 aprile 2011;
-da tale documentazione è emersa l’assenza di
autorizzazioni per i lavori effettuati;
-tali circostanza sono state segnalate al Comune in
data 22 dicembre 2011;
-stante la mancanza di riscontri, il ricorrente ha
attivato nuovamente l’Amministrazione proponendo, in data 19 gennaio 2012,
nuova istanza di accesso e integrazione documentale;
-in esito a tale richiesta di accesso, egli ha
conosciuto la nota della Polizia Roma Capitale del 3 gennaio 2012, prot. 6405,
contenente in allegato il verbale di sopralluogo del 10 gennaio 2012;
-da tale sopralluogo è risultato che all’esterno del
negozio “è presente una recinzione metallica (tipo ringhiera) delimitante
l’area all’esterno dell’esercizio per circa mq 12. All’interno di quest’ultima
sono presenti n. 2 ombrelloni a copertura di tavoli e sedie”;
-dal suddetto verbale del emerge che tali atti in
possesso del sig. Massimi, essendo DIA o semplici “richieste”, non lo
legittimano in alcun modo all’occupazione abusiva del suolo pubblico il cui
utilizzo è subordinato alla concessione.
Come seguono i motivi di ricorso:
1) violazione degli artt. 7 e segg. della L. n.
241/1990 e dell’art.78, c. 1, D.Lvo 267/2000 nonché eccesso di potere sotto
vari profili:
1.1) il ricorrente rivestiva nell’ambito del
procedimento amministrativo di autorizzazione, conclusosi con l’impugnato
provvedimento n. 1082/2011, la qualità di controinteressato cui doveva essere
comunicato l’avvio del procedimento;
2) violazione dell’art. 63 del D.Lvo n. 446/1997, del
DPR n. 380/2001 e dell’art. 28, D.Lvo n. 114/1998; illegittimità manifesta del
provvedimento impugnato per illegittimità della causa, dell’oggetto e/o del
titolo del provvedimento; sviamento:
2.1) lo strumento utilizzato dall’Amministrazione
doveva essere la concessione del suolo pubblico;
2.2) l’opera realizzata non è una tenda ma un gazebo,
in completa difformità con quanto autorizzato;
2.3) non si è tratta di un semplice subentro negli
impianti pubblicitari già esistenti bensì, anche di installazioni di nuove
opere che avrebbero dovuto essere consentite secondo la normativa di cui al DPR
380/2001;
2.4) l’art. 2 del regolamento Osp prescrive il divieto
di occupare il suolo pubblico in assenza di una specifica concessione priva dei
pareri minimi obbligatori previsti dall’art. 4 bis del Regolamento;
2.5) nel provvedimento impugnato non sono indicati: la
porzione del suolo sia data in concessione, le forme dell’occupazione, la sua
durata, l’indicazione della superficie concessa;
2.6) l’autorizzazione è stata concessa per soli fini
pubblicitari e non per la somministrazione di prodotti alimentari;
3) violazione del Regolamento comunale 21/12/1998 e
del DPR 380/2001; violazione del principio di tipicità dei provvedimenti
amministrativi, abnormità dell’uso del suolo pubblico; difetto di concessione:
4.1) il fabbricato posto sul suolo pubblico è
incompatibile con quanto autorizzato dall’Amministrazione;
4.2) l’occupazione del suolo con tende non può avere
una struttura permanente;
4.3) l’opera realizzata – un gazebo – costituisce
ampliamento della superficie interna del bar che reca un forte pregiudizio alla
fruibilità del locale attiguo a Barberia in violazione dell’art. 6 del
Regolamento;
5) error in procedendo; violazione del
dovere di controllo e vigilanza da parte della P.A.; violazione dell’art. 8 del
Regolamento comunale 21/12/1998:
5.1) l’Amministrazione è venuta meno ai doveri di
controllo e vigilanza di cui all’art. 19 della L. n. 241/1990 sulle attività
abusive.
Si sono costituti in giudizio Roma Capitale e
controinteressato eccependo inammissibilità ed infondatezza del gravame.
Nel corso del giudizio, le parti hanno deposito
documenti e memorie.
Con ordinanza n. 1472/2012, è stata respinta la
domanda di sospensione cautelare.
All’udienza del 23 aprile 2013, la causa è stata
trattenuta per la decisione.
Come sopra esposto, il ricorrente – premesso di
svolgere da oltre un ventennio la professione di barbiere in un locale
confinante a quello del contro interessato – ha chiesto l’annullamento della
determinazione dirigenziale n. 1082 del 6 luglio 2011, prot. 46880, a mezzo
della quale il Municipio Roma XVI – Roma Capitale – ha autorizzato il
controinteressato sig. Enea Massimi ad esporre all’esterno del locale, adibito
al bar, sito in Roma alla via dei Colli Portuensi n. 163, “opere pubblicitarie”
così individuate: “n. 1 insegna ... delle dimensioni di mt 3,90 x 0,60 con
messaggio: “MASSIMI CAFFE”; n. 2 faretti delle dimensioni di mt. 0,30 x 0,25
montati simmetricamente all’immobile; n. 1 tenda retrattile di colore beige con
mantovana senza messaggi pubblicitari delle dimensioni di mt. 2,64 x 1,30”.
L’interessato lamenta sostanzialmente:
-mancata comunicazione di avvio del procedimento
autorizzatorio (conclusosi con la D.D. n. 1082/2011)
-difformità delle opere poste in essere rispetto a
quelle assentite, consistenti nella realizzazione (abusiva) di un gazebo (c.d.
Dehor) ;
-mancato esercizio dei poteri di vigilanza, controllo
e repressione sulle opere asseritamente abusive (id est, Gazebo);
-occupazione si suolo pubblico senza titolo
concessorio;
-attività di somministrazione alimenti e bevande senza
titolo autorizzativo.
Giova una breve esposizione dei fatti, alla luce anche
degli sviluppi che la vicenda ha avuto a seguito dell’ordinanza cautelare n.
1472/2012.
Il sig. Massimi (controinteressato), in data 26 maggio
2011, presentò domanda di voltura per impianto pubblicitario, precedentemente
autorizzato a Belloni Massimo. Contestualmente, egli chiese all’intimata
Amministrazione l’assenso per l’installazione di una nuova insegna con
messaggio pubblicitario “MASSIMI CAFFE’” e due faretti.
Le istanze scontarono parere favorevole della U.O.T.
del Municipio Roma XVI in data 27 maggio 2011.
Il successivo 6 luglio, seguì la determina
dirigenziale n. 1082 con la quale il dirigente comunale rilasciò, uno
actu, autorizzazione sia per gli impianti pubblicitari che per quelli
oggetto di voltura.
Con separato atto, lo stesso controinteressato inoltrò
al Comune una D.I.A., in data 25 luglio 2011, per la realizzazione di una
“recinzione con ringhiera e cancelletti della corte esterna di competenza”.
Il sig. Massimi diede immediatamente avvio ai lavori
di recinzione di cui alla suddetta d.i.a..
Il successivo 8 novembre, il Massimi presentò, infine,
richiesta di concessione di occupazione suolo pubblico per apporre tavoli,
sedie ed ombrelloni nello spazio antistante il proprio locale.
Contestualmente, egli diede comunicazione di avere
convertito l’area prospiciente (interessata alla occupazione di cui sopra) da
privata aperta al pubblico (Dicatio ad patriam) ad area privata
esclusiva.
L’Amministrazione, in data 1 marzo 2012, con nota
prot. CQ 16713, preso atto della impossibilità di privatizzare un tratto di
marciapiede soggetto a servitù di pubblico passaggio, comunicò al
controinteressato l’avvio del procedimento per la rimozione della suddetta
occupazione.
Il 17 maggio 2012, in camera di consiglio, la Sezione
emanò l’ordinanza cautelare n. 1472 con la quale “Considerato ... che
l’occupazione di suolo pubblico, come risulta anche dalla documentazione
fotografica del ricorrente, insiste nell’arco prospettico prospiciente il
locale/bar di che trattasi tanto da non richiedere la c.d. liberatoria da parte
del ricorrente, titolare della barberia confinante; che ... si è in attesa di
conoscere l’esito del procedimento avviato in seguito alla richiesta di
occupazione di suolo pubblico presentata dal controinteressato ...”, respinse
l’istanza incidentale del ricorrente.
Roma Capitale diede seguito all’iter amministrativo
e, previa acquisizione dei pareri negativi espressi nella conferenza dei
servizi del 4 aprile 2012, adottava la D.D. n. 1404 del 7 giugno 2012 di
rigetto di occupazione suolo pubblico, ordinò la rimozione di quanto realizzato
con ombrelloni, tavoli e sedie.
Questo il quadro fattuale (originario e sopravvenuto)
che fa da sfondo alla vicenda.
Prima di affrontare il merito della controversia,
occorre esaminare le eccezioni di inammissibilità del ricorso.
Controparti hanno eccepito:
-difetto di interesse ad agire;
-non impugnabilità delle D.I.A. n. 58601/2011, per
l’installazione della recinzione perimetrale, e n. 66933/2011 per calcolo oneri
di costruzione trattandosi di atti privati che non costituiscono provvedimenti;
-tardività del ricorso rispetto alla piena conoscenza
dei fatti lesivi.
Le eccezioni sono infondate.
Sul difetto dell’interesse ad agire.
Il ricorrente è titolare di attività commerciale
attigua e confinante con quella del controinteressato.
Tale circostanza fa ragione sulla obiettiva, evidente
sussistenza del criterio della “vicinitas” alla fonte di lesione, idonea a
supportare la legittimazione attiva al ricorso.
In ordine all’aspetto più specifico dell’interesse
processuale, il Collegio rileva che, giusta prospettazione del ricorrente, la
determinazione dirigenziale viene assunta quale fonte di pregiudizio concreto
ed attuale per l’attività economica in corso di esercizio nel locale di
barberia, sotto i profili della asserita perdita di visuale del negozio, di
avviamento commerciale, di stillicidio di acque piovane nonché di perdita della
clientela.
Evidente il pregiudizio personale, concreto ed attuale
in capo al ricorrente idoneo a radicare l’interesse ad agire.
Sulla non impugnabilità delle denunce di inizio
attività.
Il D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (conv.con mod. in L. n.
148/2011) ha introdotto nel corpus dell’art. 19 della L. n.
241/1990 un nuovo comma 6 ter, a mente del quale “La segnalazione
certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio
attività si riferiscono ad attività liberalizzate e non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono
sollecitare l’esercizio delle verifiche spettanti all’amministrazione e, in
caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, c. 1, 2 e
3 del D.Lvo 2 luglio 2010, n. 104”.
E’ evidente, dunque, sulla scorta del chiaro tenore
testuale della richiamata disposizione normativa, che del tutto
inammissibilmente D’Amico ha proposto ricorso avverso atti non impugnabili (id
est, D.I.A./S.C.I.A.).
Il Collegio osserva, tuttavia, che il ricorrente,
percepita l’immutazione dello stato dei luoghi, si è attivato sollecitamente
presso l’intimata Amministrazione sia per conoscere il contenuto degli atti
inerenti l’esecuzione dei lavori, sia per segnalare le circostanze reputate
incompatibili con la pianificazione comunale e, dunque, passibili di verifica
da parte dell’Ente (istanze 17/10/2011, 22/12/2011 e 19/1/2012).
L’Amministrazione, pertanto, è stata resa edotta della
presenza di una situazione ritenuta illegittima e determinata dalla presenza di
opere asseritamente abusive (id est, gazebo, recinzione).
La documentazione depositata in giudizio rende ragione
al fatto che il ricorrente (terzo rispetto alla D.I.A.) si sia concretamente
onerato di sollecitare l’esercizio delle verifiche di conformità spettanti
all’Amministrazione.
Tale circostanza ha senz’altro inverato il primo step fondamentale
di tutela previsto dalla novella legislativa sopra indicata, consistente nel
fatto che il controinteressato procedimentale all’attività (divenuto oggi
ricorrente) possa sollecitare formalmente (in via stragiudiziale) la P.A.
all’esercizio dei suoi poteri di controllo, verifica, vigilanza e/o inibizione
dell’attività oggetto di D.I.A./S.C.I.A..
In ordine al secondo step di tutela
(consistente in ciò, che a fronte della inerzia dell’amministrazione il privato
può spiccare dinanzi al G.A. un’azione avverso il silenzio-rifiuto ex art.
31 c.p.a.), il Collegio coglie nell’atto introduttivo del giudizio la presenza
di tutti gli elementi sostanziali dell’azione volta ad ottenere l’accertamento
della illegittimità della condotta omissiva dell’amministrazione e la
declaratoria dell’obbligo di provvedere, sicché l’azione esperita dal
ricorrente può, in parte qua, esser qualificata (o convertita) in
azione ex art. 31 c.p.a..
Sulla tardività.
L’eccezione riposa sul fatto che il ricorrente abbia
avuto piena conoscenza dei fatti in un momento anteriore a quello di visione
degli atti, esattamente il 7 novembre 2011 data di fine lavori; da cui, la
tardività del ricorso siccome notificato ben oltre il sessantesimo giorno da
quella data decorrente.
Il Collegio ritiene che l’interesse azionato in
ricorso vada valutato nel suo complesso, alla luce sia della causa
petendi che del comportamento tenuto dall’interessato nell’ambito del
rapporto con l’Amministrazione per la cura del proprio interesse.
Il ricorrente, come sopra anticipato ad altri fini,
non appena percepita la consistenza dei lavori si è immediatamente attivato presso
gli Uffici comunali (cfr. istanza del 17 ottobre 2011) per conoscere gli atti
ed i documenti relativa alla pratica. Tanto egli ha fatto in epoca anteriore
alla fine dei lavori (7 novembre 2011).
Il comportamento poco collaborativo del controinteressato
(che si era opposto alla visione degli atti) ed i tempi necessari per la
conclusione del procedimento hanno sbloccato l’accesso agli atti soltanto a
partire dal 19 dicembre 2011.
Il Collegio ritiene, anche nell’ottica di una lettura
costituzionalmente orientata dell’art. 29 c.p.a. (art. 111 Cost.), che il dies
a quo del termine per la proposizione del ricorso impugnatorio debba
decorrere, nella particolarità del caso - tenuto conto degli sviluppi
procedimentali e del comportamento delle parti nonchè dei principi di leale
collaborazione, del giusto processo e della tutela piena ed effettiva che la
giurisdizione amministrativa deve assicurare secondo i canoni della
Costituzione e del diritto europeo (artt. 1 e 2. D.Lvo n. 104/2010) – dalla
data in cui il ricorrente è stato messo nelle condizioni di avere piena
cognizione degli atti relativi alla pratica del controinteressato; momento in
cui egli ha potuto percepirne, anche attraverso la motivazione, l’effettiva
lesività in uno con la loro piena conoscenza legale.
Orbene, poiché il ricorso in esame è stato notificato
il successivo 17 febbraio 2012 (mediante consegna dei plichi all’ufficiale
giudiziario), il ricorso in esame può considerare tempestivamente proposto.
Si può passare, ora, all’esame di merito del gravame.
Parte ricorrente lamenta, sostanzialmente, i seguenti
vizi:
-mancata comunicazione di avvio del procedimento
autorizzatorio (conclusosi con la D.D. n. 1082/2011);
-contraddittorietà del titolo autorizzativo
all’installazione degli impianti pubblicitari per inidoneità del medesimo ad
assentire l’occupazione del suolo pubblico;
-difformità delle opere poste in essere rispetto a
quelle autorizzate, consistenti nella realizzazione (abusiva) di un gazebo
(c.d. dehor);
-mancato esercizio dei poteri di vigilanza, controllo
e repressione sulle opere asseritamente abusive (id est, gazebo);
-occupazione di suolo pubblico senza titolo
concessorio;
-attività di somministrazione alimenti e bevande senza
titolo autorizzativo.
Per l’esame delle censure non si può prescindere dagli
sviluppi (sopra anticipati) che la vicenda ha avuto in ordine alla richiesta di
occupazione suolo pubblico avanzata dal controinteressato in data 8 novembre
2011.
Il procedimento de quo si è concluso,
nelle more del giudizio - anche su sollecitazione della Sezione (cfr ordinanza
n. 1472/2012) - con esito negativo per il controinteressato.
L’iter della pratica, già oggetto di
azione repressiva da parte dell’Amministrazione (cfr. nota CQ 16713 del 1 marzo
2012), dopo aver scontato i pareri negativi espressi nella conferenza dei
servizi del 4 aprile 2012, ha avuto come atto esitale e definitivo la
determinazione dirigenziale n. 1404 del 7 giugno 2012 recante il rigetto
dell’istanza di occupazione e la contestuale rimozione di quanto realizzato con
ombrelloni, tavoli e sedie.
Non par dubbio, al Collegio, che tale sopravvenienza
fattuale incida negativamente sulla persistenza dell’interesse alla decisione
del ricorso in parte qua, atteso che l’interesse sostanziale del
ricorrente – volto a censurare l’illegittima occupazione del suolo in
difformità ai parametri normativi – ha trovato comunque realizzazione.
L’interessato, per vero, lamenta tuttora la mancata
rimozione materiale delle suppellettili e materiali.
Il Collegio - in disparte la circostanza per cui tale
profilo d’interesse sembra fuoriesca dall’orbita causale della causa
petendi di ricorso, afferendo piuttosto alle modalità di esecuzione
degli ordini – rileva, dalla documentazione fotografica depositata da Roma
Capitale (cfr. documentazione 11 giugno 2012), che l’area de qua non
è più occupata con ombrelloni, sedie e tavoli; non solo, ma che anche il c.d.
gazebo è stato rimosso, restando tuttora installati soltanto la tenda e la
recinzione.
Vengono meno, pertanto, tutte le ragioni di doglianza,
sostanziali e formali, legate alla occupazione di suolo pubblico (difformità
delle opere poste in essere rispetto a quelle autorizzate, mancato esercizio
dei poteri di vigilanza, controllo e repressione sulle opere asseritamente
abusive (id est, gazebo); occupazione si suolo pubblico senza titolo
concessorio).
Potrebbe, invero, residuare in parte qua l’interesse
del ricorrente alla decisione del ricorso ai fini risarcitori.
Sennonché, la domanda di risarcimento dei danni, uno
actu azionata con quella annullatoria, s’appalesa generica siccome non
sufficientemente supportata in punto di fatto in ordine al pregiudizio concreto
ed effettivo che l’interessato avrebbe subito a causa della condotta
asseritamente illegittima dell’Amministrazione.
In altri termini, il ricorrente si è limitato a
prospettare il danno senza allegare, tuttavia, elementi di prova a sostegno
delle perdite commerciali asseritamente subite.
Ne consegue, pertanto, per tale specifico profilo,
l’infondatezza della domanda risarcitoria senza che rilevi, a tale fine,
l’indagine incidentale sulla (eventuale) illegittimità del comportamento tenuto
dall’Amministrazione.
Si tratta, a questo punto, di scrutinare la
legittimità:
-della D.D. n. 1082/2011, con la quale
l’Amministrazione ha autorizzato il controinteressato alla installazione di “n.
1 insegna ... n. 2 faretti ... n. 1 tenda retrattile di colore beige con
mantovana senza messaggi pubblicitari ...”;
-della recinzione dell’area;
-dell’attività di somministrazione alimenti e bevande
esercitata senza titolo autorizzativo.
Sulla D.D. n. 1082/2011.
Parte ricorrente deduce contraddittorietà della
determinazione impugnata nella parte in cui autorizza l’installazione di
impianti pubblicitari senza messaggi pubblicitari.
Essa sostiene che lo strumento utilizzato
dall’Amministrazione doveva essere la concessione di suolo pubblico atteso che
l’autorizzazione recava ad oggetto l’installazione di una tenda.
La censura è infondata.
Dalla mera lettura della D.D. n. 1082/2011 si evince per
tabulas che il dirigente comunale, mediante l’impugnato provvedimento,
ha licenziato uno actu sia l’autorizzazione alla installazione
delle insegne e faretti sia la concessione alla occupazione di suolo pubblico
(ancorché nominata autorizzazione alla OSP) con riferimento alle installazioni
aggettanti sul suolo (id est, tenda).
Sulla recinzione.
Il ricorrente lamenta l’illegittima apposizione della
recinzione su suolo utilizzato dalla collettività per pubblico passaggio e
contesta, in parte qua, il mancato esercizio dei poteri di
controllo, sanzionatori e repressivi da parte dell’Amministrazione.
La censura non ha pregio.
In punto di fatto, consta che nell’area antistante il
locale del sig. Massimi insiste una recinzione per la quale il
controinteressato ha presentato in data 25 luglio 2011 apposita D.I.A..
Il Dipartimento Programmazione e Attuazione
Urbanistica, con nota prot. 60704 del 24 luglio 2012, ha ravvisato la
compatibilità della DIA con la deliberazione n. 75/2010 (Regolamento OSP),
senza riscontrare motivi di contrasto rispetto alla normativa
urbanistico-edilizia vigente.
In particolare, la recinzione de qua risulta
conforme all’art. 87 del Regolamento Edilizio di Roma Capitale (norma evocata
dal ricorrente come parametro di illegittimità della recinzione).
Detta disposizione, infatti, al comma 1 prevede che
“le aree di proprietà privata... e spazi di uso pubblico ... debbono essere, al
pari di ogni altra area scoperta, debitamente recintate”.
L’area in questione è privata, di proprietà esclusiva,
soggetta a passaggio pubblico; ad essa, pertanto, trova pertinente applicazione
l’art. 87 citato.
Va soggiunto, che l’area in questione non risulta
iscritta nell’elenco delle strade pubbliche e, quindi, del demanio stradale;
pertanto, sempre ai sensi del menzionato art. 87, tali aree “anche se già
aperte al pubblico transito ... non sono considerate pubbliche”
Posto, dunque, che l’area de qua è
privata, di proprietà esclusiva, e che l’art. 87 del Regolamento Edilizio ne
prevede e consente la recinzione, il problema da risolvere riguarda la
compatibilità della recinzione con il passaggio pedonale e con la deliberazione
C.C. n. 75/2010.
Sul primo punto (compatibilità con il passaggio
pedonale), il Comando di Polizia Locale di Roma Capitale ha verificato se le
opere poste in essere potessero rendere più gravoso l’esercizio del passaggio
pedonale.
Il Comando di Polizia Locale, con nota n. 63336 del
7/12/2012, “a seguito di sopralluogo, ha verificato che tali opere, che vanno a
delimitare l’area privata antistante l’esercizio, lasciano libero per il
passaggio pedonale il restante marciapiede pubblico per circa tre metri di
larghezza”.
Successivamente, la Direzione U.O.T. del Municipio con
nota prot. CQ96962 del 13/12/2012, ha provveduto alla verifica delle opere
poste in essere dal sig. Massimo riscontrando le stesse realizzate
correttamente in regime di DIA.
Ne è seguita la nota CQ2613 del 10/1/2013, con cui la
stessa Direzione ha comunicato che dal documento inviato dal Dipartimento
risulta la legittimità della recinzione posizionata su area privata di
proprietà esclusiva e che “dallo stesso discende(va) la mancanza di presupposti
giuridici per provvedimenti repressivi da parte della UOT essendo le opere
realizzate conformi al progetto assentito”.
Sul secondo punto (compatibilità con la delibera
75/2010), l’Amministrazione ha correttamente rilevato l’applicabilità del
Regolamento su aree pubbliche o private aperte al pubblico ma non su quelle
private di proprietà esclusiva (non iscritte nell’elenco delle strade
pubbliche).
Anche in questo caso l’Amministrazione, all’esito
delle verifiche di cui sopra, ha riscontrato la legittimità della D.I.A.
concludendo per l’insussistenza dei presupposti per l’esercizio dei poteri
repressivi.
Orbene, le verifiche da ultimo citate - unitamente
alla circostanza per cui lo stesso ricorrente si era onerato di sollecitare
l’Amministrazione all’esercizio dei poteri di vigilanza in ordine all’avvio
dell’attività segnalata – consentono, sotto altro profili, di ritenere
realizzata la tutela secondo lo schema contemplato nell’art. 19, c. 6 ter della
L. n. 241/1990.
Sull’attività di somministrazione alimenti e bevande.
Il controinteressato, con SCIA prot. 2296 del 5 aprile
2011, è subentrato nell’attività di somministrazione alimenti e bevande.
Tale circostanza, invero, già di per sé legittima
l’imputazione dell’attività commerciale.
La doglianza, tuttavia, sembra piuttosto investire
l’uso di cucina calda con immissioni di fumo provenienti da una sedicente canna
fumaria per il quale difetta apposito titolo.
La censura non ha pregio in punto di fatto.
La Polizia di Roma Capitale ha accertato che “nel
laboratorio dell’esercizio di somministrazione ... non sono presenti fornelli
per poter cucinare” e che “in assenza di canna fumaria viene servito buffet
freddo; la pasticceria viene da laboratori esterni; è presente forno a micro
onde per scaldare i piatti congelati”.
Ne consegue il rigetto della censura.
In conclusione, per quanto sopra argomentato, il
ricorso in esame non è meritevole di accoglimento e va, perciò, respinto.
La complessità della controversia, tenuto conto anche
del corso degli accadimenti, giustificano la compensazione delle spese
processuali tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in
epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del
giorno 23 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Maddalena Filippi, Presidente
Germana Panzironi, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE
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IL PRESIDENTE
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/07/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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